RELIGIONE
Le origini e i benefici della Via Crucis
dal Numero 27 del 9 luglio 2017
di Don Matteo De Meo

La pratica della Via Crucis è la più celebre e popolare devozione cristiana in cui si commemora e si partecipa spiritualmente alla Passione e Morte di Gesù Cristo. Le sue origini sono antichissime, ma la sua diffusione nella forma attuale risale al XVII secolo. Ad essa la Chiesa, nostra Madre premurosa, ha annesso delle preziose indulgenze.

Per ogni cristiano partecipare alla Via Crucis significa entrare nel mistero dei patimenti di Nostro Signore Gesù Cristo, unendosi al dolore di Maria Santissima; contemplare Gesù e Maria mentre compiono l’atto supremo voluto dall’Eterno Padre per il nostro riscatto e la salvezza dell’anima nostra.
Per questo la pietà cristiana ha voluto intrecciare, nel corso dei secoli, questo pio esercizio con preghiere mariane quali l’Ave Maria, lo Stabat Mater e la giaculatoria Santa Madre. E se si vuole che essa sia una ripetizione il più possibile simile al viaggio del Calvario bisogna che sia fatto in compagnia di Maria per imparare da Lei a comprendere, compatire e consolare le sofferenze di Gesù.
Possiamo dire che le primitive forme della futura Via Crucis possono essere ravvisate nella processione che si snodava in Terra Santa a Gerusalemme, fra i tre edifici sacri eretti sulla cima del Golgota – l’Anastasis, la chiesetta ad Crucem e la grande chiesa del Martyrium – e nella “via sacra”, un cammino attraverso i Santuari di Gerusalemme che si desume dalle varie “cronache di viaggio” dei pellegrini dei secoli V e VI.
La Via Crucis, nella sua forma attuale, risale al Medioevo inoltrato. Nel corso del Medioevo, infatti, l’entusiasmo sollevato dalle Crociate, il rifiorire dei pellegrinaggi a partire dal secolo XII e la presenza stabile, dal 1233, dei Frati Minori Francescani nei “luoghi santi” suscitarono nei pellegrini il desiderio di riprodurli nella propria terra.
Verso la fine del secolo XIII la Via Crucis è già menzionata, non ancora come pio esercizio, ma come cammino percorso da Gesù nella salita al Monte Calvario e segnato da una successione di “stazioni”.
La pratica della Via Crucis nasce dalla fusione di tre devozioni che si diffusero, a partire dal secolo XV, soprattutto in Germania e nei Paesi Bassi:
- la devozione alle “cadute di Cristo” sotto la croce;
- la devozione ai “cammini dolorosi di Cristo”, che consiste nell’incedere processionale da una chiesa all’altra in memoria dei percorsi di dolore compiuti da Cristo durante la sua Passione;
- la devozione alle “stazioni di Cristo”, ai momenti in cui Gesù si ferma lungo il cammino verso il Calvario o perché costretto dai carnefici, o perché stremato dalla fatica, o perché, mosso dall’amore, cerca ancora di stabilire un dialogo con gli uomini e le donne che partecipano alla sua Passione. Spesso “cammini dolorosi” e “stazioni” sono consequenziali nel numero e nel contenuto (ogni “cammino” si conclude con una “stazione”) e queste ultime vengono indicate erigendo una colonna o una croce nelle quali è talora raffigurata la scena oggetto di meditazione.
La Via Crucis, nella sua forma attuale, con le stesse quattordici stazioni disposte nello stesso ordine – la condanna a morte, il carico della croce, le tre cadute lungo la via, l’incontro con il gruppo di donne gerosolimitane, col Cireneo, con Maria Santissima e con la Veronica, la spoliazione delle vesti, la crocifissione, la morte, la deposizione dalla croce, la sepoltura – è attestata in Spagna nella prima metà del secolo XVII, soprattutto in ambienti francescani.
Dalla Penisola iberica la pratica passò prima in Sardegna, allora sotto il dominio della corona spagnola, e poi nella Penisola italica. Qui trovò un instancabile propagatore in san Leonardo da Porto Maurizio, frate minore francescano, che suggellava le sue missioni popolari, con l’erezione di una Via Crucis.
Il pio esercizio della “Via Crucis” divulgato nel 1700 con grande fervore e zelo da san Leonardo da Porto Maurizio (1751), trovò forse in sant’Alfonso Maria de’ Liguori il suo migliore autore.

Indulgenze annesse alla Via Crucis

Oggi si tende a parlare poco delle indulgenze!
Purtroppo, ci troviamo di fronte ad uno, ma non unico, fra i contenuti della nostra Fede, che oggigiorno si preferisce tacere; una specie di verità non gradevole per le orecchie del mondo che rischia di marchiare di impopolarità o di anacronismo chi ad essa volesse ancora far ricorso...! Ma comunque la si pensi, l’indulgenza appartiene al deposito della nostra Fede e come tale è una verità che va insegnata, conosciuta e accolta (1).
Innanzitutto cosa sono le indulgenze?
Esse sono «la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 147l).
Per comprendere questa definizione occorre innanzitutto distinguere la colpa dalla pena. La colpa è l’offesa arrecata a Dio, la pena invece una conseguenza, o per meglio capirci, il “prezzo” della colpa. Alla colpa grave segue una pena eterna, che è la lontananza per sempre da Dio nell’eternità del fuoco dell’inferno.
La colpa ci viene perdonata attraverso la Confessione sacramentale, la quale ci restituisce l’amicizia con Dio e con essa, di conseguenza, ci viene cancellata anche la pena eterna. Rimane però la pena temporale, dovuta, come spiega il Catechismo, ad «un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio» (CCC 1472).
Tale pena temporale si sconta in parte con il dolore e l’amore con cui ci siamo accostati al Sacramento del perdono, in parte con la penitenza imposta dal confessore, come anche con le opere di misericordia corporale e spirituale esercitate nell’arco della nostra vita terrena. Tuttavia, per noi poveri peccatori che racimoliamo giorno dopo giorno colpe su colpe, questo normalmente non è sufficiente. Se, difatti, volessimo scontare tutto in questa vita, evitando secoli di espiazione in Purgatorio, dovremmo avere una vita di rigorosa penitenza e di grande carità; una vita santa a cui siamo comunque tutti chiamati! Ma quanta debolezza in noi e quanta fragilità!
La Chiesa nostra madre, desiderosa di portarci tutti in Cielo con sicurezza e nel più breve tempo possibile, secondo la missione ricevuta dallo stesso Cristo, si offre pertanto al posto nostro per “pagare” tutto o in parte, il debito contratto davanti a Dio, servendosi dei meriti di Gesù Cristo, della sua Madre Corredentrice e di tutti i martiri e i santi; e queste sono le indulgenze!
Quando la Chiesa “paga” una parte del debito si ha un’indulgenza parziale, quando lo “paga” tutto, plenaria. La Chiesa con ciò non vuole esonerarci dal nostro dovere quotidiano di soddisfare e riparare alle nostre iniquità, quanto piuttosto di aiutarci nel compiere un’opera che altrimenti per noi resterebbe impossibile o estremamente difficile. Noi, purtroppo, non comprendiamo fino in fondo che cosa sia il peccato e quali conseguenze produca, ma se avessimo gli occhi dei santi e dei mistici vedremmo pienamente la sua malizia e con quale severità giustamente Dio lo punisca.
Come accennato nella definizione data sopra, tratta dal Catechismo, l’applicazione delle indulgenze può avvenire solo quando la colpa dei peccati è già stata rimessa, o attraverso il sacramento della Confessione se si tratta di colpa mortale, o da un sincero pentimento nel caso di quella veniale. La pena della colpa non rimessa non è cancellabile, giacché per rimuovere l’effetto è necessario rimuoverne prima la causa. Per questo motivo l’indulgenza plenaria è lucrabile solo dall’anima distaccata da ogni peccato, fosse anche veniale, giacché senza pentimento è impossibile ottenere il perdono della colpa e quindi per conseguenza anche la cancellazione della sua relativa pena. In tal caso l’indulgenza lucrata resterebbe solo parziale, non potendosi estendere a tutte le pene. Inoltre, «è necessario eseguire l’opera indulgenziata e adempiere tre condizioni: Confessione sacramentale, Comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice» (2).
Tali indulgenze, poi, possono essere applicate per noi stessi o per i defunti (cf. CCC 1471). Tuttavia si tenga presente che nel caso dei defunti essa non è fatta a modo di assoluzione, per il fatto che i defunti non sono più sudditi della Chiesa e restano perciò al di fuori della sua giurisdizione. Le indulgenze nel loro caso sono fatte unicamente a modo di suffragio, cioè di semplice offerta a Dio, affinché si degni di applicarne il merito in quella misura che a Lui piace, secondo i disegni della sua imperscrutabile sapienza e infinita bontà. Ciò che è sicuro, è che noi possiamo dare ai nostri cari defunti un immenso sollievo e procurare a noi stessi tanti e tali beni che solo in Cielo potremo capire in pienezza.
Detto ciò, consideriamo in particolare le indulgenze annesse alla pia pratica della Via Crucis.
Si concede l’indulgenza plenaria al fedele che: nella solenne azione liturgica del Venerdì Santo partecipa devotamente all’adorazione della Croce, compie il pio esercizio della Via Crucis o vi si unisce devotamente mentre esso è compiuto dal Sommo Pontefice e viene trasmesso per mezzo della televisione o della radio. Il pio esercizio della Via Crucis rinnova il ricordo dei dolori che il divino Redentore patì nel tragitto dal pretorio di Pilato, dove fu condannato a morte, fino al monte Calvario, dove per la nostra salvezza morì in croce.
Per l’acquisto dell’indulgenza plenaria valgono queste norme: l) il pio esercizio deve essere compiuto dinanzi alle stazioni della Via Crucis legittimamente erette; 2) per l’erezione della Via Crucis occorrono quattordici croci, alle quali si sogliono utilmente aggiungere altrettanti quadri o immagini che rappresentano le stazioni di Gerusalemme; 3) secondo la più comune consuetudine il pio esercizio consta di quattordici pie letture, alle quali si aggiungono alcune preghiere vocali. Tuttavia per il compimento del pio esercizio è sufficiente la pia meditazione della Passione e Morte del Signore, e perciò non è necessaria una particolare considerazione sui singoli misteri delle stazioni; 4) occorre spostarsi da una stazione all’altra. Se il pio esercizio si compie pubblicamente e il movimento di tutti i presenti non può farsi con ordine, basta che si rechi alle singole stazioni almeno chi dirige, mentre gli altri rimangono al loro posto; 5) i fedeli che sono legittimamente impediti potranno acquistare la medesima indulgenza dedicando alla pia lettura e meditazione della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo un certo spazio di tempo, ad esempio, un quarto d’ora; 6) al pio esercizio della Via Crucis sono equiparati, anche per quanto riguarda l’indulgenza, gli altri pii esercizi, approvati dall’Autorità competente, nei quali si commemora la Passione e la Morte del Signore, sempre mantenendo la divisione in quattordici stazioni; 7) presso gli Orientali, dove non esista l’uso di questo pio esercizio, per l’acquisto di questa indulgenza è valido un altro pio esercizio in memoria della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo stabilito da Patriarchi ognuno per i propri fedeli.
Per la Via Crucis per le anime purganti è sufficiente recitare un Requiem invece del Gloria.  

 
NOTE
1) Cf. Manuale delle Indulgenze, Editrice Vaticana, Roma 1999.
2) Indulgentiarum Doctrinam, n. 12.

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits