La scoperta di un sistema solare a circa 40 anni luce da noi ha risollevato l’incognita dell’esistenza di vita aliena. Ciò che più disturba il dibattito non è tanto la possibilità in quanto tale, ma la “fede”, scientificamente ingiustificata, nella “generazione spontanea della vita”.
I toni dell’annuncio sono stati, da subito, trionfalistici: «Nasa, scoperto un sistema planetario alieno: “Una nuova Terra? Non è più questione di se ma quando”. Si tratta di un passo importante verso un obiettivo prioritario per la scienza: trovare – dice Thomas Zurbuchen, associate administrator del Direttorato Nasa – una risposta alla domanda se siamo soli nell’Universo». «Questa scoperta – commenta Nichi D’Amico, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) – è importante non solo dal punto di vista scientifico, ma anche culturale. Sapere con sempre maggiore sicurezza che oltre il nostro Sistema solare ci sono luoghi potenzialmente favorevoli alla vita è semplicemente affascinante»1. Un’altra testata on-line proclama: «Nasa, la Terra ha sette “sorelle”: scoperto un nuovo sistema planetario». Il fisico Giovanni Bignami, su Repubblica.it, si spinge oltre: «E adesso cerchiamo tracce di vita»...
Ma di che cosa si tratta effettivamente? Che cosa si è trovato davvero nel cielo? Per comprenderlo è necessario fare una piccola cronistoria della scoperta. Nel 2015 un gruppo di astronomi guidati da Michaël Gillon dell’Institut d’Astrophysique et de Géophysique presso l’Università di Liegi in Belgio, mediante il telescopio Trappist dell’Osservatorio di La Silla, nel deserto di Atacama in Cile, ha individuato tre pianeti che orbitano intorno ad una stella della nostra galassia. Il metodo utilizzato è quello fotometrico dei transiti. In che cosa consiste? L’idea è veramente geniale: se si riesce a trovare una stella abbastanza “piccola”, abbastanza “vicina”, abbastanza “fredda” e che possieda il piano di rivoluzione dei suoi pianeti allineato con la Terra, il passaggio ravvicinato di questi davanti alla stella produrrà una piccola occultazione, una “eclissi” molto parziale, un indebolimento della sua luce che però risulta misurabile con gli strumenti attuali. Come è agevole intuire da questa serie di “abbastanza” il compito non era facile. Ma d’altro canto di stelle in cielo ce ne sono molte e così, anche grazie ad una dose notevole di fortuna, è saltata fuori un’ottima candidata: Trappist-1, nota anche come 2MASS J23062928-0502285. Si tratta di una stella nana rossa ultrafredda di classe spettrale M8, distante 39,5 anni luce dal sistema solare, osservabile nella costellazione dell’Aquario.
Trappist-1 ha appena l’8% della massa del Sole, la sua temperatura effettiva è di soli 2.550 gradi Kelvin (poca cosa rispetto ai 5.778 del nostro Sole). Il suo diametro è circa il 12% di quello solare. La sua età è relativamente giovane.
Il gruppo ha effettuato varie osservazioni da settembre a dicembre 2015, ma solo nel maggio 2016 ha pubblicato i primi risultati. Molto incoraggianti perché apparivano chiaramente tre esopianeti. Il 22 febbraio 2017 la NASA ha annunciato di aver scoperto altri 4 esopianeti attorno alla stella grazie al telescopio spaziale infrarosso Spitzer, portando a 7 il numero totale dei pianeti del sistema. L’interesse aumenta in quanto almeno tre (e, f, g) di questi si trovano nella “zona abitabile”. Ciò vuol dire che orbitano alla distanza ottimale dalla stella per contenere la temperatura tra 0°C e 10°C in modo da avere acqua allo stato liquido. Potrebbero quindi ospitare oceani e (secondo molti studiosi) potenzialmente la vita. I sei pianeti più vicini alla stella sono paragonabili per dimensioni e temperatura alla Terra e probabilmente hanno una composizione rocciosa.
Orbene anche dal punto di vista squisitamente scientifico l’entusiasmo dei primi giorni merita di essere alquanto stemperato; infatti come accade per la maggior parte dei pianeti situati in vicinanza di nane rosse, nella zona abitabile, sono presenti imponenti effetti gravitazionali e mareali. Gli eventuali pianeti sarebbero quindi in rotazione sincrona, cioè mostrerebbero alla stella sempre la stessa faccia (come la luna con la terra). E ci sarebbero di conseguenza anche enormi differenze di temperatura tra la faccia permanentemente illuminata (dayside) che sarebbe rovente e quella permanentemente scura (nightside) che, al contrario, sarebbe coperta di ghiacci perenni. I condizionali sono d’obbligo perché ancora conosciamo pochissimo di questo sistema planetario così remoto.
Per esempio se fosse presente un’atmosfera gassosa sarebbe del tutto logico aspettarsi dei venti fortissimi che renderebbero la vita impossibile sia nelle regioni più esposte che in quelle meno esposte alla illuminazione della stella. Rimarrebbero come posti migliori per la vita quelli vicino alle regioni crepuscolari, interposti tra le due facce. Senza contare che un altro aspetto negativo per la presenza di vita è rappresentato dalla variabilità intrinseca delle nane rosse, spesso soggette a brillamenti, cioè a violentissime esplosioni del plasma, molto più devastanti rispetto a quelle di stelle come il Sole. Un unico, immane “soffio” il vento solare sarebbe in grado di spazzar via l’atmosfera di questi pianeti posti a così breve distanza. E con l’atmosfera anche ogni speranza di vita. Perciò andiamoci cauti con le aspettative. Tuttavia per completezza di informazione riportiamo i parametri orbitali, massa e raggio dei pianeti (denominati da b ad h) rispetto a quelli terrestri:
Tenendo presente che una UA (Unità Astronomica) corrisponde a poco meno di 150 milioni di km cioè la distanza media che c’è tra Sole e Terra, si vede che questi esopianeti girano intorno alla stella Trappist-1 a distanze veramente esigue: qualche milione di km che è veramente pochissimo, quasi la lambiscono. La durata dell’anno della stella “b” è di un giorno e mezzo! Insomma tutto è molto, molto diverso da quanto accade qui sulla Terra. Ciò nonostante la comunità scientifica internazionale continua pervicacemente a parlare di “sette sorelle del pianeta Terra”: niente di più falso. Tetragoni, impassibili ed impermeabili a qualsiasi critica gridano euforici alla possibilità che ci sia la vita. Ma poi di quale vita si tratta? Tutto il clamore suscitato non è perché ci si aspetti di trovare qualche “merluzzo alieno” o qualche medusa verde che nuota in un oceano siderale (per questo basterebbe esplorare le profondità delle fosse oceaniche terrestri), non è questo, loro puntano sulla presenza di vita intelligente. Cioè – secondo le loro parole – vogliono vedere se “siamo soli nell’Universo”. Beninteso, non c’è niente di male o di perverso nel domandarsi se esistono esseri extraterrestri intelligenti ed evoluti magari più di noi, il rischio è un altro. Se passa l’idea che la “vita intelligente” è qualcosa di comunissimo nell’Universo, se viene accettato il paradigma di pensiero che l’intelligenza umana non è niente di eccezionale ma è un “normale sottoprodotto” della materia cosmica che si evolve, qualcosa di triviale, di scontato, che sta dietro l’angolo e quasi inevitabile come le montagne e i fiumi, allora si sta compiendo un’operazione illecita per non dire truffaldina. Allora si vuol a tutti i costi immanentizzare l’essere intelligente e volitivo. Insomma la Vita senziente non sarebbe più il grande miracolo operato dal Dio Creatore che disse: «“Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,26), ma sarebbe piuttosto un accidente cosmico, un’evenienza fisico-chimica che dalla materia inorganica passa spontaneamente a quella organica vivente, basta che vi siano acqua, temperatura e pressione adatte. Materialismo bell’e buono che nega ogni trascendenza. Troppo semplicistico.
Un’ultima osservazione: il sistema Trappist-1 si colloca a 39,5 anni luce dalla Terra. Senza sciorinare cifre da capogiro che direbbero ben poco, si deve tener presente che se inviassimo una navicella spaziale (ancorché evolutissima) alla volta di uno dei suoi pianeti alla velocità dello shuttle, essa arriverebbe alla meta tra un milione e mezzo di anni! Un viaggio (di sola andata) di un milione e mezzo di anni! Temo che per incontrare gli alieni dovremmo prima allungare un po’ la vita umana...
NOTA
1 ilfattoquotidiano.it/Scienza - di Davide Patitucci, 22 febbraio 2017.