FEDE E CULTURA
I limiti della satira
dal Numero 2 del 15 gennaio 2017
di Antonio Farina

“Correggere i costumi ridendo”, quella che sarebbe la vera missione della buona satira scade con facilità nell’irriverenza, sconfinando nel sacrilego. Quando ad essere nel mirino è il mondo islamico, il prezzo da pagare è spesso molto alto; se invece le offese colpiscono il culto cristiano si assiste all’assenza di ogni reazione, eppure anche il più semplice buon senso popolare ammonisce: “Scherza coi fanti e lascia stare i Santi”.

Per sua definizione la satira è un genere di composizione poetica a carattere moralistico o comico, che mette in risalto, con espressioni che vanno dall’ironia pacata e discorsiva fino allo scherno e all’invettiva sferzante, costumi o atteggiamenti comuni alla generalità degli uomini, o tipici di una categoria o di un solo individuo.
Restano famose nella letteratura le satire di Aristofane nell’antica Grecia oppure quelle di Lucilio, Orazio Flacco (i Sermones), Marziale, Petronio (celebre il suo romanzo grottesco e volgare Satyricon) del mondo latino. Bersaglio preferito degli scrittori satirici sono la classe politica, i potenti (sempre che non siano dittatori o Imperatori), i costumi sociali in generale, ma non sono rare le incursioni in altri ambiti come per esempio quello religioso o delle gerarchie ecclesiastiche fino ai massimi livelli. Oggigiorno la satira ha debordato dagli angusti confini della pagina scritta ed è approdata, con risultati molto controversi, sul piccolo schermo, su internet, sui social forum, sui network, nella pubblicità perfino. Disgustose e non di rado irritanti sono per esempio le “macchiette” di Crozza sul Santo Padre del quale vengono, in modo gratuito, oltraggioso ed insolente, messe in risalto le imperfezioni della pronuncia italiana oppure le movenze corporali. Il tutto fatto passare in prima serata, con grande profusione di pubblicità, mentre gli Italiani sono seduti a tavola o si distendono in poltrona. Sempre più spesso, dimentichi dei loro scopi originali, cioè veicolare delle palesi verità, seminare dubbi, smascherare ipocrisie e pregiudizi, gli umoristi nostrani scivolano dall’ironia al sarcasmo, dalla celia all’irriverenza, dallo scherzo allo scherno, dal verso giocoso alla battuta di cattivo gusto. Castigare ridendo mores, questo è l’obiettivo dei veri autori satirici, ma non è facile fare della buona satira e mantenere un atteggiamento corretto. È più facile strappare una risata con uno sberleffo ed uno scherno che esprimere un contenuto etico o una critica costruttiva. Quando poi la satira assume i connotati deteriori di un attacco dissacrante, ridicolizzante o troppo mordace, si rischia davvero grosso.
Ne sanno qualcosa quelli del giornale satirico francese Charlie Hebdo. La testata, fondata nel 1970, ha spesso pubblicato vignette, articoli giornalistici caustici ed irriverenti un po’ contro tutti, ma specialmente se la prende con quelli della politica, il Cristianesimo, l’islam e l’ebraismo. Particolarmente gravi le offese arrecate in passato alla Santissima Vergine Maria che avrebbero dovuto indignare il mondo intero e non solo quello di religione Cattolica. Poi dal 9 febbraio 2006 Charlie Hebdo ha pubblicato una serie di caricature di Maometto che hanno scatenato forti proteste e risentimenti in tutti i Paesi islamici culminati con l’attacco terroristico, a firma di Al Qaeda, avvenuto il 7 gennaio 2015 che ha provocato la morte di dodici persone e il ferimento di altre undici. È doloroso osservare come da una parte (l’islam) si ecceda nella condanna e dall’altra (il Cristianesimo) si minimizzi l’accaduto: tranne qualche rimostranza dei soliti cosiddetti “tradizionalisti” e qualche timida protesta di facciata non è successo niente. Eppure un proverbio dice: “Scherza coi fanti ma lascia stare i Santi”, il che significa che si può scherzare con cose profane ma non con quelle sacre, e anche prendere confidenza con le persone alla buona ma non con quelle superiori. Non si debbono cioè prendere alla leggera le cose serie.
La tentazione di dileggiare il sacro e prendere in giro Santi, Profeti, Autorità religiose e perfino Dio stesso è vecchia quanto la religione. Terribile al riguardo quanto riportato nella Sacra Scrittura: nel Secondo libro dei Re (2,21) è narrato questo episodio che ha come protagonista il grande Profeta Eliseo, successore di Elia. «Eliseo si recò alla sorgente dell’acqua e vi versò il sale, pronunziando queste parole: “Dice il Signore: Rendo sane queste acque; da esse non si diffonderanno più morte e sterilità”. Le acque rimasero sane fino ad oggi, secondo la parola pronunziata da Eliseo. Di lì Eliseo andò a Betel. Mentre egli camminava per strada, uscirono dalla città alcuni ragazzetti che si burlarono di lui dicendo: “Vieni su, pelato; vieni su, calvo!”. Egli si voltò, li guardò e li maledisse nel nome del Signore. Allora uscirono dalla foresta due orse, che sbranarono quarantadue di quei fanciulli. Di là egli andò al monte Carmelo e quindi tornò a Samaria».
        Potremmo giudicare eccessiva la punizione inferta da Dio a quarantadue fanciulli che, al contrario di tanti adulti, non avrebbero avuto la maturità, la conoscenza e il buon senso di non offendere il “portavoce” del Signore, ma non è così. Con Dio non si scherza, neanche nei giochi dei bambini. Il Signore conosceva perfettamente la malizia di quei piccoli cuori ed ha agito di conseguenza. Inoltre secondo una dottrina consolidata della Teologia morale la gravità di una offesa non è legata solo alla tipologia dell’azione commessa ma dipende anche dalla dignità della persona colpita: poiché Dio ha una dignità assoluta ed infinita un oltraggio fatto ad un uomo può rimanere forse una venialità ma se rivolto al Signore diventa un peccato mortale. Si potrebbero portare molti esempi ma la questione è pacifica.
Anche nell’ordinamento giuridico laico è così: prendere in giro una persona qualunque non è mai una cosa lodevole ma di solito ci si passa su specialmente se l’offeso possiede una certa dose di autoironia, viceversa se si prende di mira con parole inadeguate la massima autorità civile si rischia (o si rischiava) di essere incriminato per vilipendio del Capo dello Stato. A fortiori non dovrebbe passare impunita o comunque non deprecata, un’offesa rivolta al Papa o alla Religione, o alla Chiesa, ecc. Ricordiamo che Nostro Signore Gesù Cristo durante la sua cruentissima Passione ha molto sofferto sia nel Corpo che nello Spirito. Egli, che ha pagato col suo Sangue la nostra Salvezza e Redenzione, ha dovuto subire acerbissime umiliazioni. Umiliazioni, offese, insulti, sputi, derisioni, dileggi, sberleffi, lazzi, motteggi volgari. Erode l’ha trattato alla stregua di un mentecatto, il sinedrio lo considerava un impostore e un bestemmiatore e lo ha assoggettato ad un’iniqua sentenza. «Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la corte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!”. E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo» (Mt 27,29). Tutto questo Egli sopportò per amor nostro, per strapparci dalla perdizione eterna. Non paghi dell’annientamento umano, non sazi di prevaricare un Innocente: «Lo bendavano e gli dicevano: “Indovina: chi ti ha colpito?”. E molti altri insulti dicevano contro di lui» (Lc 22,64). Al colmo dell’ingiuria si giunse con l’esposizione dell’Ecce Homo: «...gli venivano davanti e gli dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: “Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa”. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”» (Gv 19,14). Poi Gesù fu crocifisso nudo ed esposto alla curiosità della folla inferocita. «Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”» (Lc 23,35). Quante ne ha dovuto sopportare Nostro Signore! Ed è Lui il Re di tutti i Martiri, poiché al contrario degli uomini, Egli non è mai stato in balìa dei suoi aguzzini ma tutto ha accettato e sofferto pur di redimere l’umanità dal peccato. Sarebbe bastato un Suo pensiero e l’universo sarebbe stato annichilito, annientato, ridotto al nulla in una frazione di secondo. Tutto sarebbe tornato nel Nulla da dove è stato tratto. Che fine avranno fatto i sarcastici, dissacranti, derisori del Figlio di Dio? Che ne è stato di Caifa, dei dottori della Legge, della plebaglia sulla Via della Croce, della soldataglia romana e delle guardie del Tempio? Non lo sappiamo perché Gesù nel suo impeto d’Amore diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Noi invece lo sappiamo perfettamente perché adesso conosciamo chi è il Figlio dell’Altissimo, Colui che tornerà alla fine dei tempi quale Giusto Giudice della Storia umana. Non abbiamo alibi, non abbiamo scusanti, il risolino sardonico che si disegna sulla bocca di quelli che sbeffeggiano la Fede, il Papa, la Religione e Dio stesso si tramuterà in una smorfia di terrore: «Pietà di noi, Signore, pietà di noi, già troppo ci hanno colmato di scherni, noi siamo troppo sazi degli scherni dei gaudenti, del disprezzo dei superbi» (Sal 123).

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