Quando il Redentore fu confitto alla Croce «si fece buio su tutta la terra»: un fatto reale, non simbolico, che trova riscontri anche negli archivi di Roma e d’Atene. Perché stupirsi? Colui che si voleva eliminare si definì «la Luce del mondo». Chi ancora sceglie di crocifiggerlo col peccato non può che trovarsi in quelle fitte tenebre.
Ecco, finalmente i “briganti” nel sinedrio, per mezzo di un discepolo che lo ha venduto per 30 denari, sono riusciti ad acchiapparlo e lo hanno processato con furia belluina. Lo hanno consegnato a Pilato, il Governatore romano della Giudea, e con il suo consenso lo hanno sbattuto sulla croce, a un passo fuori di Gerusalemme.
Pensano che ora tutto sia finito, ma cominciano invece i guai più paurosi. Gesù di Nazareth pende dalla croce, ridotto tutto a una piaga, vestito solo della Sua pelle, ma il cielo si oscura, il terremoto scuote la terra. Raccontano, quasi impassibili, gli Evangelisti riguardo a quel giorno, venerdì 7 aprile dell’anno 30, vigilia di Pasqua: «Era l’ora sesta quando si fece buio su tutta la terra, sino all’ora nona» (Lc 23,44). «Venuta l’ora sesta scesero le tenebre su tutta la terra, sino all’ora nona» (Mc 15,33). E Matteo: «Dall’ora sesta in poi si fece buio su tutta la terra, fino all’ora nona» (Mt 27,45).
L’ora sesta è mezzogiorno. L’ora nona, le tre del pomeriggio. Tre ore di tenebre, di buio fitto su tutta la terra. Notate: non solo a Gerusalemme, ma «su tutta la terra», dicono i tre Evangelisti.
Il liberto e il filosofo
Ricordate, amici, che i novatori di ieri e di oggi, con ignoranza o mala fede, dicono che di Gesù e del Fatto cristiano, non ci sarebbe traccia negli autori pagani, nella cultura pagana del Suo tempo. Secondo i novatori poi, i Vangeli, più che storia vera e documentata, sarebbero in fondo più che altro delle “professioni di fede” in Gesù. In realtà non è così e lo abbiamo documentato in precedenti articoli su questo Settimanale, che hanno avuto una notevole risonanza. Ora, pensiamo noi, se quando Gesù fu crocifisso, si fece buio “su tutta la terra”, questo buio inatteso, è stato notato lontano dalla Giudea, dai pagani? C’è qualche traccia di un loro stupore, di un loro terrore provato?
Certamente sì: c’è traccia. Al solito, quanto scriviamo, sono solo appunti. Altri ne hanno scritto meglio, altri ne scriverà meglio ancora.
Intanto cominciamo da Giuseppe Flavio, storico ebreo, testimone contemporaneo della terribile guerra e distruzione di Gerusalemme, tra il 66 e il 70 d.C., da parte della decima legio fretensis, la legione che Roma teneva di stanza nello Stretto (= fretum) di Messina, comandata prima da Vespasiano, poi da Tito, diventati l’uno dopo l’altro Imperatori di Roma, i “Flavi” appunto. Nel suo libro Antiquitates iudaicae (18, 167), parla di un certo Tallo, un samaritano, prima schiavo, poi liberto di Tiberio, il secondo Imperatore di Roma.
Costui doveva essere un uomo colto, tant’è che redasse alcuni libri di “Storie” del suo tempo: nel terzo libro, scrivendo in greco, tratta appunto dell’oscuramento del cielo avvenuto il giorno della morte di Gesù e visto anche a Roma, dove lui si trovava a servizio dell’Imperatore Tiberio. Tallo spiega in modo “scientifico” questo oscuramento sostenendo che si trattò di un’eclissi di sole.
Quindi anche i “romani de Roma” videro farsi buio su tutta la terra, quel venerdì di primavera, nel plenilunio di marzo dell’anno XVII dell’Impero di Tiberio, corrispondente al 30 d.C.: anche l’Imperatore dovette vedere oscurarsi il cielo e, quando poté collegare questo fatto alla morte di Gesù, anche questo contribuì a scuoterlo profondamente.
Nel III secolo, al tempo dei “Severi”, troviamo a Roma lo scrittore Sesto Giulio Africano, uomo di tutto rispetto, storico, Cristiano, che l’Imperatore Settimio Severo (197-211 d.C.) chiamò a dirigere la biblioteca imperiale al Pantheon. Nella sua opera Chronographia (18, 1), Giulio Africano scrisse: «Una terribile oscurità si abbatté su tutto il mondo, le rocce furono spezzate da un terremoto e molti luoghi della Giudea e del territorio restante furono abbattuti».
Ma tutto questo concorda con quanto gli Evangelisti scrissero nei versetti citati all’inizio, riguardo al buio su tutta la terra e allo sconvolgimento della natura che seguì la morte di Gesù: «Il velo del tempio si squarciò in due dall’alto in basso, la terra si scosse e le pietre si spezzarono e si aprirono le tombe» (Mt 28,51-52).
Ma Giulio Africano continua nell’opera citata: «Tallo, nel terzo libro delle sue “Storie”, definisce questa oscurità come eclissi di sole, a mio parere però senza ragioni». E dice anche perché: «Non si dà eclissi di sole quando c’è luna piena»: com’era infatti alla morte di Gesù.
Da Roma ora spostiamoci ad Atene. Nel II Notturno del Mattutino del 9 ottobre nell’antico Breviario romano, noi leggiamo: «Dionigi apparteneva all’Areopago di Atene. Personaggio di grande sapere e di somma importanza, era uno dei grandi uomini della sua epoca [siamo nella prima metà del I secolo d.C.], possedeva ricchezze ingenti e una scienza che si sarebbe estesa sino alle stelle».
Continua il racconto storico: «Studiando un giorno, il movimento degli astri, Dionigi l’Areopagita vide oscurarsi il sole, sparire la luna, tremare la terra, e allora egli uscì nella mirabile sentenza: “O l’Autore della natura soffre, o la macchina del mondo si sconvolge”. Quando disse ciò stando sulla collina di Marte ad Atene, sul Calvario a Gerusalemme moriva in croce il Redentore anche per la sua salvezza. Però, affinché un tale personaggio abbandonasse la religione degli avi pagani, era necessario qualcosa di straordinario.
Narrano gli Atti degli Apostoli (17,16-34) che verso l’anno 51 d.C. l’Apostolo Paolo giunse ad Atene e, indignato del vederla in preda a tanta idolatria e corruzione, incominciò con il suo solito ardire, prima a disputare nella sinagoga con i Giudei e nel foro con quelli che incontrava (per condurli a Gesù Cristo). Giunto all’Areopago, Paolo pronunciò davanti ai dotti di Atene il suo discorso più famoso, annunciando Gesù Crocifisso, morto e risorto. La maggior parte dei dotti lo derisero, ma alcuni tra cui Dionigi in primo luogo, si convertirono a Gesù. Dionigi divenne quel grande santo e martire che per la parola dell’Apostolo Paolo si diede tutto al Signore Gesù».
A noi in questo momento interessa cogliere la testimonianza di Dionigi ancora pagano che fu sconvolto dalle tenebre scese anche ad Atene, alla morte di Gesù in croce. Davvero dunque, bene avevano scritto gli Evangelisti: «Si fece buio su tutta la terra». Buio a Roma, nonostante la sua potenza giuridica e militare. Buio ad Atene, la città degli artisti e dei filosofi, che tuttavia non bastano a far luce sul mistero dell’esistenza, quando non c’è Gesù Cristo.
Lo testimoniano gli scritti di Tallo il liberto, e di Dionigi, il filosofo. I quali rendono testimonianza così, forse senza saperlo del tutto, alla Verità di Gesù e dell’Avvenimento cristiano.
Archivisti a Roma
Le tenebre scesero quel giorno di primavera anche a Roma vi sparsero il panico e suscitarono interpretazioni religiose presso i sacerdoti dei culti pagani ufficiali. Il fatto venne registrato negli archivi di Roma. Lo narra Tertulliano, illustre giurista, nel suo Apologeticum, scritto attorno al 200 d.C., che sfida i suoi interlocutori pagani a documentarsi proprio sulla morte di Gesù e su quelle tenebre a lui legate: «I notabili dei Giudei erano esasperati da Gesù perché una grande folla accorreva a Lui. Così alla fine lo denunciarono a Ponzio Pilato che governava la Giudea per conto di Roma e con la violenza delle loro richieste, forzarono costui a farlo crocifiggere. Tuttavia appeso alla croce, Gesù compì molti prodigi, propri solo di quella morte. Infatti esalò lo spirito con le sue ultime parole, prevenendo il compito del carnefice. In quell’istante il giorno scomparve mentre il sole era ancora a metà del suo corso... Questo avvenimento celeste è riportato nei vostri archivi».
Ecco, dunque, di Gesù Crocifisso, mentre le tenebre coprono ancora Roma, testimoniano gli stessi archivisti dell’Urbe. Tertulliano richiama i pagani che perseguitano i Cristiani – Gesù stesso – ad aprire i loro archivi e a rendersi conto che là dentro “carta canta” per Gesù Crocifisso, Signore della natura anche nella sua morte.
La stessa sfida (“Leggete i vostri archivi”) è lanciata da Origene (185-253 d.C.) uno degli uomini più dotti del Cristianesimo delle origini, poco dopo, nella sua polemica contro Celso, il difensore della paganità; risulta poi ripetuta un po’ più tardi da Rufino di Aquileia, lo scrittore che tradusse in latino la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (268-338 d.C.) e l’aggiornò aggiungendovi un paio di capitoli nuovi. Sarebbe stato un comportamento temerario, se questi archivi romani non fossero esistiti, carichi di testimonianze su Gesù: soprattutto se si aggiunge che gli stessi autori cristiani ora citati parlano di testimonianze conservate in archivio anche per quanto riguarda il terremoto cui fa cenno l’Evangelista Matteo.
Non c’è alcun dubbio: la stessa Roma imperiale, nelle fonti conservate dei suoi archivisti, testimonia la crocifissione e morte di Gesù mentre si fece buio su tutta la terra. Quando Gesù Cristo viene tolto di mezzo e muore sulla croce, dappertutto, anche nei centri dell’Impero e del mondo intero, scendono le tenebre in pieno giorno, e si fa buio, un buio terribile e pauroso. Fatto storico, provato, dirompente a Gerusalemme come ad Atene e a Roma, ma, eliminato Gesù, il buio è ancora più spettrale nelle anime e nei rapporti tra gli uomini e i popoli.
Luce nella notte
Di questo buio spettrale scrive in termini oggi più che mai toccanti il venerabile Santo Padre Pio XII nella sua prima Enciclica Summi pontificatus (20 ottobre 1939): «Narra il Santo Vangelo che quando Gesù venne crocifisso, “si fece buio su tutta la terra” (Mt 27,45): spaventoso simbolo di ciò che avvenne e continua ad avvenire spiritualmente dovunque l’incredulità cieca e orgogliosa di sé, ha di fatto escluso Cristo dalla vita moderna, specialmente dalla vita pubblica, e con la fede in Cristo ha scossa anche la fede in Dio. I valori morali secondo i quali in altri tempi si giudicavano le azioni private e pubbliche, sono andati per conseguenza in disuso; e la tanto vantata laicizzazione della società che ha fatto sempre più rapidi progressi, sottraendo l’uomo, la famiglia e lo stato all’influsso benefico e rigeneratore di Dio e dell’insegnamento della Chiesa, ha fatto riapparire anche in regioni nelle quali per tanti secoli brillarono i fulgori della civiltà cristiana, sempre più chiari, sempre più distinti, sempre più angosciosi i segni di un paganesimo corrotto e corrompitore: “Quando ebbero crocifisso Gesù, si fece buio su tutta la terra”».
Ma oggi le tenebre sono ancora più fitte perché si è giunti ormai a un “umanesimo senza Cristo”, ciò che è il peggiore disumanesimo, e, come scrisse il Card. Giuseppe Siri (1906-1989) nel suo Getsemani, libro tradotto in più lingue in ogni parte del mondo, a “una teologia senza Cristo”. Non resta allora che l’abisso della putrefazione dell’uomo, nonostante i decantati valori umani.
C’è un solo rimedio, una sola via di scampo – una sola salvezza – e lo vaticinò il Profeta Zaccaria (Zc 12,10) citato dall’Evangelista Giovanni (Gv 19,37): “Volgere lo sguardo da subito a Gesù, Colui che per noi è stato trafitto”. Solo allora la notte comincerà a diradarsi fino a sparire e apparirà un nuovo giorno, pieno di luce, preludio di nuova primavera.