CATECHESI
Il senso cristiano della sofferenza
dal Numero 13 del 30 marzo 2025
di Padre Maurizio M. Mazzieri/5
L’interrogativo sul perché della sofferenza trova una risposta esauriente solo guardando la Croce di Cristo. Il cammino quaresimale è un’opportunità per scoprire il modo per affrontare la sofferenza e trasformarla in amore.
Il percorso quaresimale ci chiama ad un cambiamento radicale della nostra vita per uniformarci sempre più a Cristo, e in questo cammino non possono mancare le sofferenze e i patimenti che, se uniti a quelli di Nostro Signore, possono portare grandi grazie. La Chiesa e i Padri hanno sempre insegnato che il dolore umano, se vissuto con fede e offerto a Dio, può diventare un mezzo di santificazione e di partecipazione al mistero della salvezza operata da Cristo. In questo modo vediamo come la sofferenza, se vissuta con Cristo, non sia mai inutile. L’unione tra la sofferenza redentiva e l’amore verso il prossimo nel cammino quaresimale trova il suo senso più profondo nella Croce di Cristo. Nel Cristianesimo, il dolore non è mai fine a se stesso, ma è sempre legato all’amore. Gesù sulla Croce soffre per amore dell’umanità e, nel farlo, ci mostra che anche noi possiamo trasformare il nostro dolore in un dono per gli altri. Gesù, infatti, non solo ha accolto il dolore per la salvezza dell’umanità, ma lo ha fatto come atto supremo d’amore. San Paolo ci ricorda che l’amore autentico è un amore che sa soffrire: «Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2). Accettare la sofferenza e offrirla non significa chiudersi in un dolore sterile, ma renderlo fecondo, aprendoci ai bisogni degli altri. Questo atteggiamento è essenziale nel cammino quaresimale, che è un tempo di conversione e di apertura a Dio e al prossimo. A tal proposito san Giovanni Crisostomo diceva: «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non disprezzarlo quando è nudo. Non onorarlo qui in chiesa con vesti di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre il freddo e la nudità». Attraverso il Magistero di san Giovanni Paolo II, il significato della sofferenza cristiana ha trovato un approfondimento nella Lettera Apostolica Salvifici Doloris (1984), in cui il Papa spiega che la sofferenza umana trova il suo senso più profondo quando è unita a quella di Cristo: «Nella Croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza [ma] operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione». Il dolore, allora, non è più solo un peso da sopportare, ma la via per conformarsi a Cristo e per contribuire, nel mistero della Comunione dei Santi, alla redenzione del mondo; un cammino verso la Risurrezione dove il dolore non è mai fine a se stesso. Il dolore cristiano non è mai disperazione, ma speranza. La Croce non è la fine, ma il passaggio alla gloria della Pasqua. Molti Padri della Chiesa e molti Santi hanno parlato della sofferenza come mezzo di purificazione e di partecipazione al Sacrificio di Cristo: il cristiano quando offre la propria sofferenza a Dio la trasforma in un atto di amore redentivo. Sant’Agostino sottolineava che il dolore vissuto con fede diventa un’opportunità di conversione e di unione con Dio. Egli scrive: «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te». San Francesco d’Assisi abbracciava i lebbrosi non solo per carità, ma perché vedeva in loro Cristo sofferente. Santa Teresa di Lisieux parlava della sofferenza come mezzo per amare di più Dio e i fratelli. San Pio da Pietrelcina, con le sue stimmate, soffriva fisicamente e spiritualmente, ma usava questa sofferenza come preghiera per la conversione delle anime. San Giovanni Paolo II, nonostante le sue malattie, vedeva nella sofferenza un modo per avvicinarsi a Cristo Crocifisso. Santa Teresa di Calcutta soleva ripetere spesso alle sue suore che l’amore, per essere vero, deve far male: «Non amiamo a parole ma amiamo fino al punto che l’amore ci faccia male. L’amore non fece male a Gesù? Egli per noi è morto! Ecco, oggi tocca a voi, oggi tocca a me amare il prossimo come Gesù amò noi. Non abbiate paura a dire di sì a Gesù», perché richiede sacrificio e donazione totale. La Quaresima ci chiama proprio a seguire questi esempi, unendo la nostra sofferenza a quella di Cristo trasformandola in carità concreta verso gli altri, così ogni nostra sofferenza vissuta con amore e ogni atto di carità compiuto con sacrificio diventa una partecipazione alla vittoria di Cristo sulla morte. Il cammino quaresimale ci insegna che l’amore autentico passa sempre attraverso la sofferenza accolta e donata. Solo così possiamo trasformare il nostro dolore e quello del mondo in speranza e redenzione.
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