Uno dei doveri del cristiano è quello di imitare la dolcezza di Gesù. Operazione difficilissima, ma doverosa. Se non sempre riusciamo ad essere dolci, non dobbiamo scoraggiarci... dobbiamo però sforzarci di esserlo!
O Signore che sei dolce e soave, insegnami la dolcezza del cuore, la soavità del tratto.
La dolcezza è il fiore della carità; è una partecipazione di quella soavità infinita con cui Dio guida e governa tutte le cose. Nessuno vuole il nostro bene, la nostra santificazione con tanta forza come Dio, e tuttavia Egli non lo vuole con durezza, rigidità o violenza, ma con forza sommamente soave, sempre rispettando la nostra libertà, sostenendo i nostri sforzi, attendendo la nostra adesione alla grazia con pazienza e dolcezza infinita [...].
La carità fraterna deve fiorire in questo spirito di soavità che, anziché esasperare le piaghe altrui le addolcisce, anziché aumentare i pesi li alleggerisce, anziché rendere più duro l’adempimento del dovere lo rende più facile e soave. La carità ha questa dolcezza con tutti, anche con gli ostinati, anche con i tardi e i pigri nel corrispondere al bene, anche con i deboli che sempre ricadono negli stessi difetti. Anche se in un cuore ci fosse solo un briciolo di bene, bisogna circondare questo briciolo di cure amorevoli per aiutarne lo sviluppo [...].
Nei contatti col prossimo talvolta la nostra carità è messa a dura prova e, di fronte al comportamento irritante di certe persone, i propositi di dolcezza vengono ben presto travolti da movimenti di sdegno, di collera. Ciò non deve scoraggiarci, trattandosi in genere di reazioni spontanee indipendenti dalla volontà, ma non deve neppure autorizzarci a seguire gli impulsi della passione col pretesto che è troppo difficile resistere e che ci sentiamo trascinati nostro malgrado. È sempre in mano nostra il poter reagire e ci riusciremo più facilmente quanto più la nostra reazione sarà pronta, energica e soave insieme. Santa Teresa di Gesù Bambino insegnava a una novizia: «Quando si sente esasperata contro qualcuno, il mezzo per ritrovare la pace è di pregare per quella persona e di chiedere a Dio di ricompensarla per la sofferenza che le procura». E suggeriva di prevenire questi incontri cercando di «addolcire anticipatamente il cuore».
Del resto, se al prossimo adirato rispondiamo con ira, non facciamo che aumentare l’incendio, mentre bisogna cercare di spegnere la collera opponendovi dolcezza e mansuetudine. La dolcezza però non è condiscendenza e tanto meno connivenza col male: vi sono pure dei casi in cui, come insegna il Vangelo, la correzione fraterna è un dovere che s’impone, e allora è un vero atto di carità. Ma perché sia davvero tale non deve mai essere fatta con l’intento di umiliare, di mortificare e tanto meno di offendere il colpevole [...]. In questi casi la correzione, lungi dall’essere un atto di carità, è totalmente contraria a questa virtù e, anziché fare del bene, produrrà piuttosto l’effetto contrario. Solo un desiderio spassionato e sincero del bene altrui può rendere caritatevole ed efficace la correzione fraterna e questa deve essere fatta con tanta bontà che in essa il fratello senta molto di più l’amore che gli portiamo, che non l’umiliazione di venir ripreso. Proprio così Gesù ha trattato i colpevoli: tutti sono stati sanati dal suo amore, dalla sua dolcezza.
«O Signore Gesù che, morendo sulla Croce, avevi un Cuore sì dolce verso di noi e ci amavi tanto soavemente, laddove noi stessi eravamo la causa della tua morte, e ad altro non pensavi che ad ottenere il perdono dei tuoi crocifissori, mentre quelli ti martoriavano e insultavano crudelmente, aiutami, ti prego, a sopportare con dolcezza le imperfezioni e i difetti del mio prossimo. [...] Insegnami sempre a comportarmi con dolcezza e soavità, senza mai rompere la pace con nessuno. [...] In conclusione, propongo col tuo aiuto, o Dio amabilissimo, di applicarmi per acquistare la soavità del cuore verso il prossimo, considerandolo come creatura tua, destinata a goderti in eterno in Paradiso. Quelli che sopporti Tu, o Signore Iddio, è ben giusto che li sopporti anch’io teneramente e con grande compassione per le loro infermità spirituali» (san Francesco di Sales).
tratto da: Intimità divina