Accostiamoci alla grotta santa compresi del grande mistero che si sta svolgendo, cogliendo gli insegnamenti di quanto circonda e abita la dolce stamberga di Betlem...
La notte
È notte, il cielo è di un blu cobalto, sterminato di stelle lucenti che rischiarano i sentieri. È freddo e più cala la notte, più il clima si fa pungente. Ma qualcosa nell’aria rende più dolce quella notte di stelle...
Quella notte è figura visibile di una notte invisibile che da secoli ha pervaso l’umanità: la notte del paganesimo, della lontananza dall’unico vero Dio.
Dio creò l’uomo nella luce, facendolo a sua immagine e somiglianza. Egli è Luce e questa Luce preziosissima rivestì l’essere umano di una ineffabile sapienza. Adamo amava i tesori di questa sapienza e viveva in unione intima con Dio, ma accadde in seguito che l’uomo “amò più le tenebre che la luce” (cf Gv 3,19)... L’angelo della luce, divenuto angelo delle tenebre, era invidioso della felicità e della sorte dell’uomo e, celando la propria malizia, lo tentò. Il demonio rivestì le tenebre di una falsa luce e Adamo si lasciò abbagliare, e fu il disastro.
Per il peccato di Adamo la notte del paganesimo pervase la terra, il cuore distaccato da Dio s’immedesimò con la materia. Questa notte fatale è simboleggiata dalla notte che si estende sulla grotta di Betlemme.
Quanto si fa pressante ora l’avvento della Luce che viene a rischiarare il mondo. Oggi il paganesimo sembra essere risuscitato e getta tutto l’orbe in tenebre terrificanti che cercano di ingoiare ogni speranza nel trionfo del bene. L’umanità grida e chiede soccorso...
Ma la profezia dell’Eden circondata da un bel corteggio di altre profezie tempera gli affanni dell’umanità. Le profezie si compiono finalmente, poiché Cristo sta per nascere in quella grotta.
Sta per spuntare il Sole di giustizia. Quella notte che durò quaranta secoli sta per diradarsi.
Ci apprestiamo dunque al grande mistero, ci avviciniamo alla grotta per contemplare più da vicino il trono in cui sta per sorgere questa Luce venuta a cacciare via le tenebre nei nostri cuori.
O Gesù, nella notte della vita, quando la prova viene a bussare alla mia porta, fa’ che io guardi a te e mi lasci da te illuminare, Astro splendente di luce che non tramonta.
La grotta
Se non fosse la fede ad assicurarcelo, non potremmo credere che è proprio il nostro Dio quel Bambino che nasce in questa misera grotta. Gli Ebrei superbi si scandalizzano di fronte a tanta povertà e umiltà, la chiamano “pazzia”. Noi invece in tanta abiettezza troviamo argomento per credere nella divinità di Cristo. Solo Dio poteva vincere il mondo con queste armi del tutto inusuali. «Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1Cor 1,27).
Esaminiamo quindi la grotta in cui Cristo nasce per noi.
È priva di tutto. Discendendo sulla terra, Cristo volle subito piantarvi il vessillo della santa povertà, per mostrare che tante cose che il mondo chiama necessarie, non lo sono in realtà. In questa grotta troviamo quell’“unicum necessarium” (cf Lc 10,42), che non ci sarà mai tolto se noi non lo permetteremo. In questa grotta vi è solo la santità di Colui che nasce e di coloro che lo attendono. Non c’è nient’altro: non ci sono ripari, non luce, non fuoco, non cibo, non bevanda. Ogni umana comodità manca, e non è cercata.
Non c’è porta. Cristo è il Dio della carità e vince l’egoismo del secolo. Egli nasce per tutti, «per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal Cielo», e la grotta è quindi aperta a tutti.
Per avvicinarsi ai re del mondo, quante difficoltà s’incontrano! Suppliche, raccomandazioni, intrighi... Nulla di più facile, invece, che avvicinarsi a Cristo!
Da Cristo, che vi nasce, è trasformata in un piccolo paradiso. Questa grotta povera, fredda, vuota si trasforma però in un paradiso quando vi nasce Gesù. Paradiso di luce, dove regnavano le tenebre. Paradiso di gaudio, dove non si vedeva che squallore. Paradiso di amore, lì dov’era luogo di bestie. Simile trasformazione Cristo vuol produrre nei nostri cuori, solo che lo accolgano con generosità.
O Gesù, vieni ad operare in noi e nelle nostre famiglie quelle trasformazioni che operasti nella capanna di Betlem!
La Madre divina
Non so come si possa non amare Maria Santissima, che ci ha tanto beneficati! O non si conosce, o non si ha cuore. Dandoci Cristo, Ella ci ha dato tutto e si è fatta anche nostra Madre nell’ordine della grazia. Maria, dunque, merita tutto il nostro amore. Guardiamola, ammiriamola, contempliamola in questa grotta...
Ella dà alla luce il Figlio. Da nove mesi il Verbo di Dio disceso dal Cielo è nascosto, umile e paziente, nel grembo verginale di questa Madre. «Non horruisti Virginis uterum [Non hai disdegnato il grembo della Vergine]». È scoccata l’ora segnata dai divini decreti. Gli angeli del Cielo attorniano la grotta, attendono trepidanti il momento annunciato... Maria pure attende, umile e raccolta, assorbita nel suo Dio. Non soffre le doglie del parto, come invece accade a tutte le donne, gioisce invece per il mondo che sta ricevendo un tesoro ineffabile... tesoro che appartiene ora all’umanità, poiché Cristo sarà di tutti, sì, ma in modo specialissimo sarà di Maria, frutto della sua carne e del suo sangue, senza concorso di uomo.
Nasce dunque il Salvatore. È nato! Esce dalle viscere materne come un raggio di luce attraversa un cristallo, senza offendere l’integrità della Madre, anzi confermandola e consacrandola. «Eris mater semper intacta [Sarai madre sempre intatta]».
Ecco: è il primo sguardo tra la Madre e il Figlio... due occhi che si incontrano, due anime che si penetrano. Dio e la sua creatura... ma anche il Figlio divino con la sua Madre celeste... silenzio di amore divino...
Lo avvolge in povere fasce. Maria raccoglie il suo Figlio da terra. Quanta riverenza, quanta delicatezza, quanta umiltà, quanta gioia profonda e intima! E noi nella santa Comunione come ci intratteniamo con Gesù?
Lo avvolge in fasce povere, Colei che è la Regina dei poveri. Colui che “veste i gigli del campo” (cf Lc 1,27-28) è ravvolto in poveri pannicelli. A Sua Maestà non serve lo splendore delle vesti dei re del mondo, a Lui basta mostrarsi per guadagnare i nostri cuori. Quelle fasce sono simbolo dell’amore: Gesù si fa stringere per dare a noi la libertà dei figli di Dio. Sono strette le mani e i piedi di Colui che ha fatto il mondo e ogni cosa, affinché le nostre mani si addestrino a fare il bene e i nostri piedi s’indirizzino per la via della salvezza eterna.
Lo pone sulla mangiatoia. Sin dal suo sorgere, Gesù «non ha dove posare il capo» (Mt 8,20), se non una vile mangiatoia. La Vergine riflette a lungo prima di compiere quel gesto... si affligge per i cuori che hanno chiuso le porte al divin Pargoletto, non concedendogli luogo più degno; si affligge per tanti che fino alla fine del mondo imiteranno quel pessimo esempio.
Maria presenta a noi il suo Pargolo, perché lo riceviamo almeno noi nel nostro cuore, evitando a quelle delicatissime carni le punture della paglia. Egli nasce per noi. Lo riceveremo noi nel nostro cuore? Su, consoliamo la Madre e il Figlio, accogliamoli uniformando ai loro i nostri pensieri, i nostri affetti, e adornando del suo spirito le nostre operazioni.
O Gesù, vieni e regna dentro di noi!
San Giuseppe
San Giuseppe, lo Sposo di Maria Vergine, è presente alla massima Opera di Dio. Dopo aver tanto sofferto nel viaggio dalla Galilea alla Giudea e nel rifiuto dei betlemiti di accogliere il Dio nascente, Gesù ricompensa l’amato Padre verginale, immergendone il cuore in un gaudio ineffabile, col renderlo partecipe di questo miracolo unico nella storia dell’umanità. Contempliamo san Giuseppe il quale...
...vede. San Giuseppe vede il Figlio di Dio nato per noi. Lo guarda con gli occhi della fede, che tutto illumina e rischiara. Lo vede piccolo, ma lo crede immenso; lo vede piangere, ma lo crede beato. Da mesi lo adorava già nel grembo della Sposa vergine, e ora che lo vede con gli occhi del corpo, lo adora con commovente riconoscenza. Vede e riconosce per suo Dio Colui al quale egli farà da padre e che chiamerà col nome di “figlio”. Il Padre celeste glielo addita e pare che voglia dirgli: «Nutri mihi et dabo tibi mercedem tua [Nutrilo per me, e te ne ricompenserò]» (Es 2,9). Egli si umilia e ringrazia.
...studia. Studia, san Giuseppe, Cristo “Libro della vita”, come lo chiamava sant’Angela da Foligno.
Studia la sua obbedienza: il Padre ha comandato, ed Egli ha obbedito: «Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo» (Sal 40,8-9).
Studia la sua povertà: non ha avuto di meglio cui adornarsi il Dio dei secoli nascendo nel mondo. La povertà in quella notte esce dall’avvilimento in cui giaceva, e si veste di gloria, come una regina.
Studia la sua umiltà: poteva venire nel mondo con grande frastuono e straordinari segni che scuotessero il cielo o la terra, come fulmini, terremoti. Ma Egli, venuto a salvare, fin dal principio ha voluto schiacciare il mostro della superbia.
Studia la sua mortificazione: il Bambino divino soffre, vagisce, sospira.
Studia la sua carità: è lì sulla paglia e sul fieno «per noi uomini».
San Giuseppe, con tale studio sapienziale, viene a scoprire tutto lo spirito del Cristianesimo.
...Ama. Come trovarsi di fronte a questo Bambino amoroso e non amarlo follemente? San Giuseppe lo riceve dalle mani di Maria. Quale gioia arcana e inesprimibile! Come benedice, Giuseppe, l’ora del suo connubio con Lei! Come ringrazia il Signore!
San Giuseppe stringe al petto il suo Dio, il suo cuore s’infiamma e s’incendia. Arde anch’egli di carità, diviene una cosa sola con Cristo. Ancor prima di san Paolo, afferma: «Per me vivere è Cristo» (Fil 1,21)... «Chi mi separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,35).
Egli c’insegna la regola del cristiano: lo sguardo fisso su Cristo, la mente occupata nel contemplarlo in ogni suo atteggiamento interiore ed esteriore, il cuore impegnato nell’amarlo in modo sempre più puro. Di qui ogni nostro bene.
O Gesù, anche noi col nostro amato padre san Giuseppe vogliamo contemplarti, studiarti e amarti con cuore umile, puro e riconoscente. Facci grazia di saperti vivere, riproducendo le tue fattezze nella nostra anima.
I giumenti
Nella grotta troviamo un asino e un bue. Essi sono simbolo degli uomini imbrutiti dal paganesimo di allora e odierno. Anche gli Ebrei si erano corrotti come i pagani. Cristo viene proprio per questi infelici e, in generale, per tutti i peccatori. Cosa possiamo imparare da questi giumenti della stalla di Betlem?
Si avvicinano a Gesù Bambino. «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende» (Is 1,3): così si lamentava il Signore d’Israele per mezzo del profeta Isaia. Dopo la colpa di Adamo, l’umanità era divenuta peggiore dei bruti. L’uomo da sé non può salvarsi, egli non ha né luce né forza. Cristo nasce per togliere l’abbrutimento degli uomini e far sì che in essi torni a brillare la somiglianza con Dio. Questo significa salvare il mondo. Ma se gli uomini vogliono ricevere questo beneficio, devono corrispondere a tanto amore, in primo luogo avvicinandosi al loro grande Benefattore. Se non si avvicinano a Lui, come riceveranno i suoi doni? I giumenti di Betlem, dunque, avvicinandosi al Bambinello giacente nella mangiatoia, dicono a noi peccatori la necessità di avvicinarci a Cristo, venuto nel mondo per rivestirci della sua grazia.
Lo riconoscono per loro Signore. Può capitare, però, che molti si avvicinino a Cristo, ma non lo riconoscano per loro Dio e Signore. Molti si avvicinano a Lui per deriderlo, come fece Erode, che lo vestì da pazzo, perché Gesù non volle servire a lui di sacrilego divertimento. Molti si avvicinano a Lui per maltrattarlo, per ucciderlo, come fecero i farisei. Ma i giumenti nella grotta si avvicinano a Lui e lo riconoscono loro padrone: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone» (Is 1,3). Come ci avvicineremo noi, quest’anno, all’umile mangiatoia? Come ci accosteremo al celeste Bambino che piange e geme per il freddo, alla ricerca di un cuore che lo consoli e lo riscaldi?
Lo riscaldano col proprio fiato. Non basta infatti neanche riconoscere Gesù Cristo per Signore: bisogna come tale servirlo. I due poveri giumenti servono il Bambinello meglio che possono: d’altronde, non sono che animali! Gli uomini superbi vanno ripetendo il luciferino “non serviam! [non servirò!]”. Si mettono in testa di poter vivere senza servire nessuno, e non si accorgo che, non servendo l’Amico divino, Gesù Cristo, si fanno invece servi dei loro nemici e se ne vanno per la via larga dell’eterna rovina (cf Mt 7,13).
O Gesù, vogliamo avvicinarci a te, vogliamo riconoscerti nostro Re e Signore, vogliamo amarti e servirti sempre, per giungere con te nel tuo Regno senza fine!
Il Bambino del Cielo
Finalmente, eccolo: di fronte a noi, il Bambino per cui abbiamo intrapreso il nostro cammino verso la grotta di Betlem! È così bello, è così dolce, è così celestiale, che le parole vengono meno.
Guardando la nascita del Cristo, sorge subito alla mente un pensiero. Vi sarete accorti che gli uomini vorrebbero un Cristianesimo a modo loro. Ciò ovviamente è impossibile. Chi appartiene ad una società deve uniformarsi allo spirito di questa società; chi appartiene ad un Ordine religioso deve seguirne le regole e lo spirito. Nel Cristianesimo quello che più fa storcere il naso è lo spirito di sacrificio: ecco perché Gesù Cristo, per animare gli uomini ad abbracciarlo, si immedesimò con esso fin dal suo nascere. Gesù infatti...
...è Vittima generosa. Gesù si offre all’Eterno Padre per la salvezza del mondo, e lo fa di sua volontà: «Oblatus est quia ipse voluit [È maltrattato, perché Egli stesso lo ha voluto]» (Is 53,7). Nessuno lo ha obbligato a patire, Egli poteva redimere l’umanità per altre vie, se così avesse voluto. Ma ha scelto ciò che è meglio per noi, ciò che maggiormente potesse dimostra l’amore viscerale che Dio ha per le anime. Egli previde l’ingratitudine umana, ma questo non lo ha arrestato. Quanto distante dall’atteggiamento divino la nostra condotta! Noi spesso affrontiamo sacrifici inevitabili, sì, ma lo facciamo più per forza che per amore. E se addirittura prevedessimo di essere ripagati con amare ingratitudini, cosa faremmo?
...è Vittima perfetta. Gesù è Vittima nel suo interno, ossia nella sua anima. La sua mente è tutto un sacrificio, pensando alle iniquità del mondo, alla gloria che non si dà al Padre come si dovrebbe, al culto che si presta al demonio. Il suo Cuore soffre per tutto quello che la mente conosce, e mille spade lo trafiggono. Gesù è Vittima perfetta anche perché è una Vittima perpetua: i suoi patimenti iniziano nel grembo della Madre, poiché Egli ha il perfetto uso di ragione sin dall’Incarnazione, e la sua sofferenza non avrà termine che al suo esalare lo spirito. Eppure, anche dopo la morte continuerà il suo stato di Vittima, sebbene impassibile e incruenta.
...è Vittima santa. Tanti uomini sono vittime, ma non tutti nello stato di vittima piacciono all’Eterno Padre. Le vittime che non sono sante non consolano il Cuore di Dio, non placano la sua ira e la sua giustizia. Il Bambino di Betlem, invece, è una Vittima santa, anzi, Egli è la stessa santità. Chi può comprendere questa santità che è infinita, come infinito è Dio? In Lui tutto è buono. Il sacrificio di questa Vittima piace immensamente al Padre. In Lui abbiamo un Avvocato presso il Padre (cf 1Gv 2,1).
E noi, che vittime siamo? I nostri sacrifici sono animati da spirito buono? Nel compierli è nostra compagna la santità? Quando impareremo a patire secondo le norme che Gesù ci ha insegnate, da veri cristiani?
O Vittima preziosissima, dolce Bambino di Betlem, mio adorato Signore! Io ti guardo e ti contemplo così piccolo ed esinanito, così povero e mortificato, così sofferente e così dolce... ti contemplo e in cuore mi si accende un fuoco d’amore che mi spinge a voler vivere sempre accanto a te, imitando i tuoi esempi, percorrendo il sentiero che Tu mi hai segnato innanzi, riproducendo in me le tue fattezze in ogni più piccolo aspetto. Non m’importa se avrò molto da soffrire, la vita non è che una preparazione alla Vita vera, senza fine e senza più affanni... Ebbene, ti prego, o mio dolcissimo Amore, per me incarnato e per me sofferente, Vittima preziosissima: infondi in me e in ciascuno di noi, tuoi servi, il tuo stesso spirito. Fa’ che io meriti con la mia condotta il nome che porto di cristiano, fa’ che mai ti tradisca e ti sia sempre fedele. E se mai dovessi cadere e sbagliare, ti prego, che io torni a te con tutto il cuore e con tutta l’anima, umiliandomi e, ricolmo di fiducia e confidenza, corra ancor più speditamente verso di te. E così sia!