Risalgono all’epoca apostolica le prime tracce dell’esistenza di forme di vita consacrata, come si apprende dalle lettere di san Paolo. Nell’arco dei due millenni di vita ecclesiale l’esperienza di vita religiosa è andata maturando e differenziandosi per mezzo di grandi santi che hanno saputo interpretare e rispondere alle esigenze dei diversi tempi.
Dopo aver precisato che la chiamata alla santità non è riservata a pochi privilegiati ma è dono e compito per tutti i fedeli appartenenti al Corpo mistico di Cristo, la costituzione dogmatica sulla Chiesa affronta il capitolo dedicato a coloro che hanno scelto quella particolare e celestiale via di santificazione che è la professione dei consigli evangelici, ossia i religiosi.
Le origini “remote” della vita consacrata risalgono ai tempi apostolici. San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, parla esplicitamente di alcune fanciulle che, nella Chiesa, sceglievano la vita verginale come forma di vita stabile e riconosciuta (cf. 1Cor 7,25ss). Oltre a loro era, fin da allora, conosciuta e praticata un’altra peculiare forma di dedizione a Dio attraverso un più profondo impegno nel distacco dal mondo attraverso la preghiera e le opere di mortificazione: quella delle vedove che, dopo la morte del marito, chiedevano di essere iscritte all’apposito catalogo che si formò in tempi molto antichi, assumendo un’ulteriore forma di vita stabile e riconosciuta nella Chiesa (cf. 1Tim 5,3-16).
Dopo questi “prodromi”, bisogna attendere il quarto secolo e la gigantesca figura di sant’Antonio abate (251-356) e poi quella di san Pacomio (287-347), per vedere nascere la vita religiosa in senso stretto, sotto forma di vita eremitica (il primo) e cenobitica (il secondo). Il movimento religioso assai rilevante che si formò attorno a questi straordinari uomini di Dio diede vita a quelle grandi figure di santi e maestri di spirito noti come “padri del deserto”, che costituirono le prime forme organizzate, disciplinate e, potremmo dire, “ufficiali” di vita religiosa nella Chiesa. La linea della consacrazione a Dio in forma monastica (soprattutto cenobitica) proseguì e prese grande vigore in Oriente grazie all’opera di san Basilio Magno (329-379), che scrisse la prima grande regola monastica (che fino ad oggi ispira la vita dei monaci basiliani), mentre in Occidente avrebbe trovato diffusione e grandissimo vigore grazie all’opera e alla regola prima di sant’Agostino (354-430) e poi di san Benedetto da Norcia (480-547).
Per quasi un millennio la vita religiosa nella Chiesa ebbe come forma unica esclusivamente quella monastica, aperta sia agli uomini che alle donne (assai importante fu, per questo, l’opera di santa Scolastica, sorella di san Benedetto). Essa si diffuse in tutto l’orbe cattolico, raggiungendo anche gli estremi confini dell’Europa grazie a grandi apostoli e missionari, fra cui spicca san Colombano abate (525-615).
Bisogna attendere il Medioevo – e in particolare la grande opera di san Francesco di Assisi (1181-1226) e san Domenico di Guzman (1170-1221) – per veder nascere nella Chiesa una nuova forma di vita consacrata, legata anche al mutato contesto storico, sociale e culturale del tempo (passaggio dal feudalesimo e la vita in campagna ai Comuni e alla vita in città), dedita alla vita missionaria ed apostolica: quella degli Ordini mendicanti. Per le donne, tuttavia, la vita monastica rimase l’unica forma possibile di vita consacrata per ancora diversi secoli. Fu solo grazie al genio e all’opera di sant’Angela Merici (1474-1540) che per la prima volta le donne poterono consacrarsi ed operare al di fuori delle mura monastiche per essere impegnate nella grande opera dell’istruzione ed educazione delle fanciulle. La Merici si servì di alcuni santi ed intelligenti “escamotage” per eludere l’obbligo (allora considerato normale e tassativo) per le donne di vivere ritirate in convento o in monastero. Grazie alla sua coraggiosa, pionieristica e faticosa opera, nel corso dei secoli successivi sarebbero sorte tante benemerite congregazioni femminili dedite soprattutto (anche se non solo) all’educazione della gioventù.
In seguito, soprattutto in conseguenza del Concilio di Trento e della sua risposta alla riforma luterana, nacquero una serie cospicua di nuove famiglie religiose impegnate o nella difesa e nella salvaguardia della Dottrina cattolica (come per esempio i Gesuiti) o nella promozione di attività caritative ed educative (come gli Scolopi, gli Oratoriani di san Filippo Neri, i Barnabiti, gli Ordini ospedalieri a cui dettero vita san Giovanni di Dio e san Camillo De Lellis, ecc.). Così come furono riformate e riportate all’antico splendore importanti famiglie religiose (si pensi solo all’opera di riforma del Carmelo operata congiuntamente da san Giovanni della Croce e santa Teresa d’Avila).
Dal XVII secolo in poi nacquero numerose congregazioni religiose, dai carismi più vari e particolari, originate quasi sempre dal carisma e dalla santità di un fondatore e poi riconosciute dalla Chiesa come forme valide di vita consacrata.
Risale, inoltre, al secolo scorso la nascita di alcune forme moderne di vita consacrata o senza professione di voti religiosi (le società di vita apostolica), oppure con professione dei voti religiosi ma senza vita comune (gli istituti secolari). Infine, nella stagione post-conciliare, è rifiorita quella particolare forma di consacrazione a Dio che è l’Ordo virginum, sotto la responsabilità dei vescovi diocesani. Moltissime sono le Diocesi che hanno provveduto a rendere possibile questa peculiare forma novella e moderna di vita consacrata.
La Lumen gentium dice alcune cose molto importanti sulla vita consacrata, su cui avremo modo di ritornare: «Un simile stato, se si riguardi la divina e gerarchica costituzione della Chiesa, non è intermedio tra la condizione clericale e laicale, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono chiamati da Dio a fruire di questo speciale dono nella vita della Chiesa e ad aiutare, ciascuno a suo modo, la sua missione salvifica» (LG 43). Tale importante asserto va completato con quanto affermato nel paragrafo successivo: «Lo stato di vita costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non concernendo la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia inseparabilmente alla sua vita e alla sua santità» (LG 44). La vita consacrata, dunque, non appartiene alla struttura della Chiesa, ma alla sua essenza. Questo è peraltro confermato dal fatto che la professione religiosa non è un Sacramento, ma un sacramentale. Dire però che tale vita appartiene all’essenza della Chiesa significa affermare che se essa venisse – Dio non voglia – a mancare, la nota della santità della Chiesa, pur rimanendo integra e intangibile, perderebbe parte del suo splendore e, soprattutto, della sua visibilità. La santità della Chiesa si esprime e vive in modo del tutto peculiare in quel particolare stato di vita che è espressione dell’anelito ardente dei figli della Chiesa verso la santità. Questa è la funzione importantissima ed insostituibile dei religiosi: far risplendere la bellezza della santità e il suo essere l’unica via autentica non solo per ricevere grande gloria in Cielo, ma anche per trovare autentica felicità sulla terra. Quella felicità che tutti cercano, ma che quasi nessuno trova.