CATECHESI
La vocazione universale alla santità
dal Numero 28 del 20 luglio 2018
di Don Leonardo M. Pompei

La santità si esprime in modalità differenti per ogni singolo stato di vita, come ricorda san Francesco di Sales: “Nella creazione Dio comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo stesso modo, ai cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di devozione, ciascuno secondo la propria vocazione”.

    La chiamata alla santità è universale, in quanto riguarda tutti i battezzati, di qualsiasi età, condizione sociale, stato di vita, lingua, popolo, nazione e cultura. Tuttavia, unica nella sostanza, è variegata nelle forme. Per questo la Chiesa parla di “esercizio multiforme della santità”, che è il titolo del paragrafo 41 della Costituzione Lumen gentium.
    Già san Francesco di Sales, vescovo e dottore della Chiesa, grandissimo maestro di spirito (soprattutto in tema di santificazione dei laici, di cui fu vero precursore e alfiere) scriveva magistralmente e a chiare lettere nella sua Filotea: «Nella creazione Dio comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo stesso modo, ai cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione. La devozione deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta: l’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli. Ti sembrerebbe cosa fatta bene che un Vescovo pretendesse di vivere in solitudine come un Certosino? E che diresti di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei Cappuccini? Di un artigiano che passasse le sue giornate in Chiesa come un Religioso? E di un Religioso sempre alla rincorsa di servizi da rendere al prossimo, in gara con il Vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile? Eppure queste stranezze capitano spesso, e la gente di mondo, che non distingue, o non vuol distinguere, tra la devozione e le originalità di chi pretende essere devoto, mormora e biasima la devozione, che non deve essere confusa con queste stranezze. Se la devozione è autentica non rovina proprio niente, anzi perfeziona tutto; e quando va contro la vocazione legittima, senza esitazione, è indubbiamente falsa» (Filotea. Introduzione alla vita devota, cap. 3, il corsivo è mio).
    Le “stranezze” di cui si lamenta il grande Dottore capitavano non solo ai suoi tempi, nell’ormai lontano XVII secolo: sono assai frequenti anche oggi. E, purtroppo, a quanto pare si vanno moltiplicando. La costituzione Lumen gentium, per la verità, nel paragrafo sopra citato è alquanto sollecita nello spiegare le caratteristiche multiformi della santità, evidenziando che altro è il modo con cui si santifica un sacerdote diocesano, altro quello che devono percorrere due coniugi cristiani, altro ancora il percorso aperto a chi vive nel celibato o nella vedovanza, fino a dedicare un intero capitolo (il sesto, ossia il seguente) a quella particolare forma di vita nella Chiesa (“la vita consacrata”), un tempo denominata “stato di perfezione”, ossia una condizione che fa della santità – perseguita, cercata e desiderata con tutte le forze – la sua stessa ragione di essere.
    Dentro l’alveo generale dell’osservanza degli immortali dieci Comandamenti, come perfezionati dalla predicazione di Gesù e dentro la pratica delle virtù teologali infuse con il Battesimo e delle quattro virtù cardinali, si stagliano pertanto i singoli percorsi di santificazione. Percorsi che, come sempre insegnato dalla più genuina ascetica e autentica spiritualità, ruotano – come faceva ben notare san Francesco di Sales – anzitutto attorno al perfetto adempimento dei doveri del proprio stato; e che sono rovinati quando si compiono o si cerca in qualche modo di emulare cose, uffici, mansioni o operazioni che non hanno nulla a che fare con la propria peculiare vocazione e missione. A detta di LG 41, per esempio, un pastore della Chiesa (anzitutto il vescovo, ma anche il sacerdote) deve compiere alacremente il suo ministero (dedito alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime) con «santità e slancio, umiltà e forza». Come? Con la «preghiera, il sacrificio e la predicazione» (si badi all’ordine di importanza di queste tre cose!), nell’esercizio perfetto della «carità pastorale», affrontando senza timori prove, «pericoli e tribolazioni» e trasformandole in mezzi di ulteriore ascesa verso la santità. Ogni pastore dovrebbe imparare a fare l’esame di coscienza alla luce di queste splendide e luminose indicazioni. Ma anche ai coniugi cristiani vengono raccomandate alcune cose che, alla luce di quel che si deve talora amaramente constatare, sembrano non essere del tutto recepite dalla maggioranza degli interessati. Si raccomanda, per esempio, oltre al primario impegno della fedeltà e del sostegno reciproco tra gli sposi, anche l’educazione cristiana («nella dottrina e nelle virtù») dei figli, «amorosamente accettati da Dio». A parte il discorso senza dubbio complesso ma anche assai allarmante della quasi totale mancata accettazione dei figli (sono recenti le statistiche che parlano dell’Italia come secondo Paese al mondo per anzianità delle persone e più basso tasso di natalità, superata in questo solo dal Giappone), è tristemente notorio soprattutto ai pastori impegnati in cura d’anime, un largamente diffuso disinteresse dei genitori nei confronti dell’importantissimo e insostituibile ministero dell’educazione dei figli, che sovente viene delegato ai percorsi di iniziazione cristiana ai Sacramenti della parrocchia (e quindi già a diversi anni di età) senza peraltro alcun tipo nemmeno di coinvolgimento, accompagnamento o presenza dei genitori stessi. Discorsi purtroppo per certi versi analoghi a questi si dovranno dolorosamente affrontare quando apriremo il capitolo della vita consacrata.
    La santità è la cosa più bella ed entusiasmante della vita cristiana. Ma ha delle coordinate essenziali entro cui muoversi: pluriformità nel rispetto delle singole missioni, specificità e doveri di stato. Se tutti i figli di Dio e membri della Chiesa fossero di ciò convinti e in ciò spendessero le loro forze, assai in breve la luce e la bellezza – che sempre e comunque la Chiesa conserva – non tarderebbero a splendere sotto gli occhi di molti, causando quella irresistibile attrazione che è la più grande forza evangelizzatrice. Con enormi e salutari conseguenze, ovviamente, sull’autentica qualità della vita anche della cosiddetta «società laica» e del mondo intero.

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