La vocazione specifica dei laici è quella di «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio», ossia la santificazione del lavoro, della cultura, della vita sociale e politica, dello sport, della famiglia. L’indole caratteristica peculiare dei fedeli laici è dunque il carattere della “secolarità”.
Molto edificante e al tempo stesso profetico ed attuale è il magistrale quarto capitolo della Lumen gentium, che descrive la natura dei laici e la loro missione nella Chiesa. È un piccolo capolavoro di Dottrina, forse non sufficientemente compreso e ancor meno, a parere di chi scrive, correttamente e adeguatamente messo in pratica, con grande danno a quell’opera di autentica rivalutazione dei laici e della loro vita nella Chiesa che grandissimi benefici apporterebbe alla sua missione nel mondo (e che comunque almeno in parte ha apportato).
Dopo aver evidenziato che i laici sono tutti i battezzati che non fanno parte del clero e dei religiosi, in una descrizione per così dire “al negativo”, la costituzione si affretta a spiegare l’indole caratteristica, propria e peculiare dei fedeli laici: il carattere della secolarità. Si legge testualmente: «Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici. Infatti, i membri dell’ordine sacro, sebbene talora possano essere impegnati nelle cose del secolo, anche esercitando una professione secolare, tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati principalmente e propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini. Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode al Creatore e Redentore» (LG 31, i corsivi sono miei).
La vocazione specifica, peculiare e propria dei laici, dunque, è quella di cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio, ossia santificando il lavoro, la cultura, la vita sociale, lo sport, il tempo libero, la politica e, per chi ha quest’altissima vocazione e missione, santificando la famiglia, santificandosi in famiglia, facendo di essa una vera piccola Chiesa domestica e una vera casa di generosa e gioiosa accoglienza e custodia della vita. Tutto ciò, evidentemente, pur costituendo comunque il carisma proprio e quindi assolutamente principale dei laici non esaurisce la loro missione nella Chiesa, dato che sono anche chiamati a cooperare e collaborare con i membri della sacra gerarchia, nello spirito della comune edificazione del popolo di Dio (cf. LG 30). Ma – si badi – oltre che ad essere un aspetto secondario rispetto al compito prioritario e proprio di santificare il mondo e le realtà temporali, tale collaborazione dovrebbe essere un apporto “di” laici, “da” laici e “laicale” alla vita e alla missione della Chiesa, ossia un aiuto ai membri della gerarchia soprattutto nella gestione e nella cura di quelle cose di cui solo i laici, per esperienza di vita o competenze professionali, sono buoni conoscitori o addirittura esperti. Quello a cui per contro assai spesso si è dolorosamente assistito – e su cui innumerevoli volte ha avuto modo di tornare con parole molto significative papa Francesco – è il duplice fenomeno del “clericalismo” e della concomitante “clericalizzazione” dei laici. Il clericalismo è quel particolare fenomeno che accentra nell’esercizio e nelle funzioni proprie dell’ordine sacro (che certamente sono basilari e importantissime nella vita del popolo di Dio) la totalità di ciò che è la Chiesa e la sua vita; per cui una sorta di vera promozione e gratificazione (anche dei laici) avverrebbe solo se e nella misura in cui alcune funzioni – un tempo riservate ai sacerdoti – possano finalmente essere esercitate anche dai laici. Sul fatto che, storicamente, possa essere accaduto che ci sia stato un indebito e ipertrofico accentramento di funzioni nei sacri ministri è in se stesso pacifico. E proprio grazie alla corretta valorizzazione dei compiti e delle funzioni dei laici si può (e si dovrebbe) giungere ad un completo “sgravamento” dalle spalle dei pastori di compiti che li appesantiscono e che non competerebbero loro. Purtroppo però non di rado è successo che tale feconda e necessaria collaborazione fosse intesa come una progressiva delega ai laici di compiti e competenze chiamiamole “sacrali”. Questo fenomeno, ad avviso di chi scrive, snatura e perfino avvilisce la dignità dei laici e della loro funzione propria e peculiare (che non è “il sacro”, ma “il secolo”), impedisce l’assai più importante apporto alla vita della Chiesa che essi potrebbero dare con le loro competenze e rischia di produrre specularmente, nel clero, l’opposto e altrettanto nefasto processo della “secolarizzazione”, ossia di una progressiva “mondanizzazione” dei sacri ministri con conseguente desiderio – più o meno espresso – di diventare “come i laici”, di fare cose propriamente riservate ai laici dimenticando o quanto meno trascurando i loro peculiari compiti di predicare, amministrare i Sacramenti e i sacramentali, pregare per il popolo e governare, servendola, la comunità cristiana. Chiunque conosca la storia degli ultimi cinquant’anni della vita della Chiesa vedrà che purtroppo, questi fenomeni, non hanno mancato di verificarsi, talora in forme estremamente drammatiche e producendo danni e lacerazioni nel tessuto ecclesiale. Non sono ovviamente mancati anche ottimi segnali e corrette forme di attuazione di tale importante e delicato tema pastorale, grazie soprattutto alla salda guida e alle indicazioni dei Pontefici degli ultimi decenni, che hanno cercato di indicare le corrette coordinate entro cui muoversi e camminare. Tutti auspichiamo, come questa Costituzione ci insegna, che la Chiesa tutta prosegua il suo cammino verso quella ordinata pluriformità e varietà dove ciascuno, nell’unità e nella comunione, fa bene quello che gli è proprio, ama il suo stato di vita senza sopportarlo a malincuore o snaturarlo in altro, vive felice del posto, del compito e della missione che Dio gli ha affidato mettendola, con umiltà e semplicità, a servizio di tutti, nel rispetto delle diversità degli altri e in spirito di feconda, autentica e attiva cooperazione e collaborazione.