Il Magistero della Chiesa è un dono straordinario che il Signore, attraverso l’assistenza dello Spirito Santo, ha voluto fare alla sua Chiesa, perché nessuno incorra nel pericolo di avere le idee confuse in materia di fede e di morale, smarrendosi nelle oscillanti mode di pensiero e di prassi dei vari tempi.
Come abbiamo visto nell’articolo precedente, ai sacri pastori della Chiesa spetta il triplice ufficio di santificare, governare ed insegnare. L’ufficio di insegnare dà luogo a quella particolare potestà (episcopale) che è la potestà di magistero, attraverso cui, nella Chiesa, viene esercitato il mandato di origine divina di annunciare il Vangelo a tutte le genti e trasmettere fedelmente tutti gli insegnamenti di Gesù, custodendo fedelmente il sacro deposito della Fede, approfondendolo sempre più nel corso del tempo e della storia, difendendolo da ogni possibile deviazione dottrinale che dia luogo a errori o, peggio, eresie.
Il Magistero in senso stretto è potestà il cui esercizio spetta anzitutto al Romano Pontefice e al Collegio dei Vescovi, organismo che – si badi e mai si dimentichi – sussiste solo con la presenza e la comunione gerarchica con il successore di san Pietro, che anche all’interno del collegio episcopale conserva pienamente la sua potestà primaziale, e mai senza di esso. Il Magistero ha delle forme di esercizio che possono essere solenni e straordinarie, quali le definizioni in materia di fede e di costume che vengono prese in un concilio ecumenico (che danno vita a vere e proprie “verità di fede”, o “dogmi di fede” o “articoli di fede non impugnabili”), oppure quando il papa esercita quella sua propria e peculiare potestà che è il parlare “ex cathedra”, cosa che, fino a questo momento, è successa con certezza per due volte (in occasione della definizione dei dogmi dell’Immacolata da parte del beato Pio IX e dell’Assunta da parte di papa Pio XII) (1). Quando si ha una vera e propria definizione di un articolo di fede, tale sentenza dà luogo a quel che tecnicamente si chiama “Magistero irreformabile”, nel senso che nemmeno un Pontefice successivo o un Concilio ecumenico potrebbero cambiare una dottrina in tal senso definita.
Ad un livello leggermente inferiore rispetto a questo si trova il cosiddetto “Magistero ordinario” (talora chiamato anche “autentico”), che il papa esercita nel promulgare i documenti a lui propri (encicliche, esortazioni, lettere apostoliche, costituzioni date nella forma di “motu proprio”, ecc.) e i Concili esercitano quando espongono o approfondiscono dottrine, chiariscono punti o altro, senza voler definire alcun nuovo articolo di fede. Al Magistero ordinario è dovuto religioso ossequio dell’intelletto e della volontà, anche se, in linea teorica, non essendo in se stesso infallibile, potrebbe essere oggetto di leggere o lievi successive precisazioni, puntualizzazioni, ecc. Contraddire al Magistero ordinario fa incorrere negli errori, mentre impugnare una verità definita come articolo di Fede dà luogo alla vera e propria eresia formale.
Insieme a tutto ciò, cammina anche la “Tradizione della Chiesa”, ossia quel particolare patrimonio dottrinale che si è andato stratificando fin dai tempi della predicazione apostolica grazie al lavoro di santi e soprattutto dottori della Chiesa, che vanno dai grandi giganti della Patristica classica fino agli autori più vicini ai nostri tempi, a cui la Chiesa ha riconosciuto l’alto titolo di “dottori della Chiesa”. Tutto questo immenso patrimonio rende viva nel tempo e nella storia la Rivelazione – che ha sempre e comunque la sua fonte principale e primaria nella Sacra Scrittura – ed è soggetto ovviamente (come anche la Chiesa tutta) ad una crescita continua, non nel senso di un progressivo svuotamento delle dottrine autentiche o dei dogmi, ma nel senso di una sempre loro maggiore comprensione ed anche capacità di comunicazione e – come oggi si dice – “inculturazione”, che varia necessariamente col mutare dei tempi, dei costumi e di altre circostanze. Un teologo che, per esempio, contraddicesse una sentenza tenuta da autorevoli dottori della Chiesa (che forma ciò che tecnicamente si chiama “dottrina sicura”) non incorrerebbe in un errore (perché non contravverrebbe esplicitamente ad un punto di Magistero ordinario) né in eresia, ma in quella che si chiama “dottrina temeraria”, figlia di una certa superbia che rifiuta di tener conto del parere di anime che non solo hanno raggiunto i vertici della santità, ma che la Chiesa ha riconosciuto come testimoni credibili e autorevoli della sua dottrina di salvezza.
Il Magistero della Chiesa è uno straordinario dono che il Signore, attraverso il carisma e l’assistenza dello Spirito Santo, ha voluto fare alla sua Chiesa, perché nessuno incorra nel pericolo di non avere le idee chiare in tema di fede e morale, che sono gli unici ambiti legittimi in cui esso può esercitarsi. I “catechismi” fatti dalla Chiesa non sono altro che una esemplificazione ordinata di tutto il patrimonio di Fede della Chiesa, adatto ai diversi tempi, a cui, come ricordava san Giovanni Paolo II, non solo si può ma si deve attingere per sapere ciò che la Chiesa crede e insegna, nonostante (disgraziatamente talora anche dal suo interno) non manchi qualche voce che osi cantare fuori dal coro, nei cui confronti non bisogna mai dimenticare i moniti che lo stesso Signore Gesù rivolse: «Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15,14).
NOTA
1) Per la verità più di qualche canonista sostiene che anche san Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis – in cui ha spiegato che la Chiesa Cattolica non ha ricevuto dal Signore alcuna potestà di poter conferire l’Ordine sacro alle donne – per il tenore della formulazione adoperata abbia voluto esercitare il magistero petrino infallibile. Questa è la citazione testuale del paragrafo (in corsivo la frase definitoria): «Benché la dottrina circa l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini sia conservata dalla costante e universale Tradizione della Chiesa e sia insegnata con fermezza dal Magistero nei documenti più recenti, tuttavia nel nostro tempo in diversi luoghi la si ritiene discutibile, o anche si attribuisce alla decisione della Chiesa di non ammettere le donne a tale ordinazione un valore meramente disciplinare. Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (n. 4). Per inciso, anche a mio parere si tratta di vero esercizio del Magistero infallibile, come si può facilmente arguire dal tenore della frase e dai termini adoperati, che non lasciano adito a possibili equivoci. [Pochi giorni fa anche il neo-cardinale Ladaria, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si è espresso sul carattere definitivo della dottrina di Ordinatio sacerdotalis, n.d.r.].