La seconda facoltà naturale posseduta dagli Angeli, oltre all’intelligenza, è la volontà: forte e ardente ma anch’essa con i suoi limiti creaturali. Accanto alle facoltà naturali poi essi possiedono, per dono gratuito di Dio, la Grazia e, superata la prova, il dono della Gloria.
La volontà nell’Angelo
La seconda facoltà dello spirito angelico è la volontà: una volontà forte, ardente e travolgente, che, quando entra in contatto con gli uomini, li rende ammutoliti e terrorizzati. L’Angelo è l’esecutore del Volere divino, che con volontà tenace e pronta pone in atto al primo cenno del Creatore quanto Egli stabilisce. La luce della sua altissima conoscenza gli permette di vedere immediatamente il bene senza bisogno di riflessione o di consiglio e la luce della sua volontà di attuarlo senza esitazione o indecisione. La sua volontà non incontra gli ostacoli della carne e del sangue o della concupiscenza. Ecco perché secondo alcuni autori e Dottori la volontà dell’Angelo pro o contro il bene ha un carattere d’irrevocabilità.
Tuttavia come la conoscenza, anche la volontà degli Angeli presenta i suoi limiti creaturali.
L’azione dell’Angelo rimane limitata innanzitutto dallo spazio, in quanto non può essere dappertutto nello stesso tempo. Lo vediamo nel Libro di Daniele, dove l’Angelo Gabriele si lamenta col profeta di non poter essere giunto prima a consolarlo a motivo dell’opposizione di un’altra creatura: «A me si è opposto per ben 21 giorni il principe del regno persiano» (Dn 10,13).
La volontà dell’Angelo è poi limitata anche dalla somma Volontà di Dio. Basta leggere a tal proposito il libro di Giobbe per vedere come lo stesso diavolo è incapace di compiere qualsiasi cosa senza la permissione di Dio. Ezechiele vide in visione che gli Angeli nel momento in cui «risuonava la voce dall’alto del cielo sulle loro teste, si fermavano ed abbassavano le ali» (Ez 1,25), segno chiaro della loro sottomissione all’Altissimo.
Il limite proprio della volontà dell’Angelo è dato però principalmente dalla possibilità di venir meno al suo fine e di peccare. Infatti la volontà angelica, creata per sé buona e santificata dalla Grazia, partecipa della bontà e santità di Dio, così come la potenza angelica partecipa dell’Onnipotenza di Dio, ma non per questo può dirsi di sua natura infallibile e impeccabile come non può dirsi onnipotente. Teniamo a mente le parole di Gesù: «Solo Dio è buono» (Mc 10,28). Solo in Dio cioè Bontà ed Essenza si eguagliano, tanto che, se per assurdo Dio non fosse buono, mancherebbe in qualcosa e di conseguenza non sarebbe più Dio, per definizione perfettissimo.
Pertanto se la volontà dell’Angelo si allontana da Dio, cessa perciò stesso di partecipare della Sua bontà. Per questo anche gli Angeli hanno potuto peccare e, di fatto, alcuni di essi hanno peccato.
La Grazia e la Gloria nell’Angelo
Accanto alle facoltà naturali dell’intelletto e della volontà, l’Angelo possiede anche, quale dono gratuito di Dio, la Grazia, che lo rende partecipe della natura divina. «Tutti gli angeli – afferma il Damasceno – furono creati per mezzo del Verbo e furono portati a compimento dallo Spirito Santo attraverso la santificazione, partecipando della luce e della grazia in proporzione alla loro dignità e al loro ordine». Anche sant’Agostino scrive: «Si deve dunque ammettere, col dovuto ringraziamento al Creatore, che non appartiene soltanto agli uomini in grazia ma si può dire anche degli angeli santi che l’amore di Dio è stato versato in essi per mezzo dello Spirito Santo che è stato loro dato. Si deve inoltre riconoscere che il bene, non solo degli uomini ma primieramente e principalmente degli angeli, è quello di cui è stato scritto: Il mio bene è essere unito a Dio». Nessun Angelo infatti, come già detto, sarebbe in grado con le proprie forze di contemplare Dio e di partecipare della sua beatitudine, senza una grazia speciale (1). Ed è proprio qui che l’Angelo incontra il pericolo di credersi autosufficiente e di attribuirsi una beatitudine che non gli è propria, come alcuni Padri sostengono avvenne per Lucifero e i suoi seguaci.
Giovanni Paolo II afferma: «Proprio perché esseri di natura spirituale, vi era nel loro intelletto la capacità, il desiderio di questa elevazione soprannaturale a cui Dio li aveva chiamati, per fare di essi, ben prima dell’uomo, dei “consorti della natura divina” (cf. 2Pt 1,4), partecipi della vita intima di Colui che è Padre, Figlio e Spirito Santo, di Colui che nella comunione delle tre divine Persone “è Amore” (1Gv 4,16). Dio aveva ammesso tutti gli spiriti puri, prima e più dell’uomo, all’eterna comunione dell’amore». Lo stato di Grazia soprannaturale negli Angeli è una verità che troviamo affermata in tutta la Tradizione, anche se poi tra i Teologi c’è dissenso se tale stato di Grazia sia stato concesso loro sin dal primo istante o solo dopo un certo tempo. Il Catechismo Romano sembra protendere per la prima opinione: «Dio [...] trasse dal nulla il mondo spirituale e gli angeli innumerevoli, perché gli fossero ministri assidui, arricchendoli poi con i doni della sua ineffabile grazia e del suo alto potere. Le parole infatti della Sacra Scrittura: “II diavolo non perseverò nel vero” (Gv 8,44), dimostrano nettamente come esso e gli altri angeli apostati avevano dalla loro origine ricevuto la grazia. Dice in proposito sant’Agostino: “Dio creò gli angeli dotati di retta volontà, vale a dire animati da un casto amore, che a lui li avvinceva, dando loro l’essere ed elargendo insieme la grazia. Possiamo perciò ritenere che gli angeli santi non furono mai sprovvisti di rettitudine nella volontà, cioè dell’amor di Dio” (Sant’Agostino, De civit. Dei, 12, 9, 2)».
Rimane comunque certo, indipendentemente da quale opinione si voglia seguire, che Dio conferì loro la Grazia perché potessero meritare la propria beatitudine. Tale Grazia naturalmente non va a modificare la natura, ma a perfezionarla. Cosicché la Scrittura parla di “santi angeli”, degli Angeli quali “figli di Dio”... La loro Grazia e beatitudine tuttavia non è uguale per tutti, ma, secondo san Tommaso, segue il grado della perfezione della natura: «Per esprimerci con immagini materiali la natura dell’angelo di grado più elevato è come un recipiente di grande capienza, pronta per essere colmato dalla grazia. Nel caso invece di un angelo di grado inferiore si può parlare della natura come di un recipiente più piccolo, in attesa d’essere riempito secondo la sua capienza». Il beato Giovanni Duns Scoto parla invece di un certo sviluppo e perfezionamento, sia nella natura che nella Grazia, avuto dagli Angeli durante un tempo di prova assegnato loro da Dio per meritare, che può essere paragonato al nostro tempo passato sulla terra prima della morte.
Sappiamo comunque che è proprio in questo campo della Grazia che l’uomo può addirittura superare l’Angelo, come avviene nel caso della Madonna, divenuta perciò stesso loro Regina e Signora. Ecco perché rivolto all’uomo il Salmo dice: «Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato» (8,6). Se, infatti, la distanza di natura è così profonda da porre le due creature su due livelli ben distinti, la Grazia in un certo senso le avvicina e affratella.
Terminato il tempo della prova, gli Angeli rimasti fedeli furono arricchiti infine del dono soprannaturale della gloria e beatitudine eterna. Ecco perché le Scritture chiamano gli Angeli «glorie» (2Pt 2,10; Gd 8); «volendo indicare con ciò – come spiega il Lavatori – che la gloria fa parte intrinseca del loro essere». Per questo, essi sono descritti circonfusi di luce e splendore: «Aveva la faccia come il sole» (Ap 10,1); «Vidi un altro angelo discendere dal Cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore» (Ap 18,1). La Scrittura parla anche di vesti candide, splendenti e bianche come la neve: tutte immagini che ci ricordano la gloria di Cristo sul monte Tabor di cui anch’essi sono fatti partecipi.
Nota
1) Pio V nella Bolla Ex omnibus afflictionibus del 1° ottobre 1567, condanna gli errori di Michele Baio sulla natura umana e sulla Grazia: «I meriti sia dell’angelo che del primo uomo ancora integro non sono chiamati giustamente grazia» (Denz. 1901). «Sia per gli angeli buoni che per il primo uomo, qualora avesse perseverato in quello stato fino alla fine della vita, la felicità sarebbe stata ricompensa, e non grazia» (Denz. 1903). «La vita eterna fu promessa all’uomo integro e all’angelo in considerazione delle opere buone, e le opere buone in base alla legge di natura di per sé sono sufficienti per conseguirla» (Denz. 1904). «Nella promessa fatta all’angelo e al primo uomo è contenuta la disposizione della giustizia naturale, secondo la quale, a motivo delle opere buone, senza nessun’altra considerazione, la vita eterna è promessa ai giusti» (Denz. 1905).