Un’anima decisamente teocentrica, quella della Beata Elisabetta della Trinità, inabissata nel profondo del suo spirito, “sola col Solo”. Ma proprio perché teocentrica profondamente mariana...
Come l’Avvento che prepara al Natale è caratterizzato da un’impronta tipicamente mariana, o come il sabato mariano che prepara la Domenica del Signore, così ogni venuta di Cristo nelle anime o nella società, ed ogni ascesa spirituale a Lui, e in Lui alla Santissima Trinità, è necessariamente preparata da Maria Santissima.
Già nel XVII secolo san Luigi M. Grignion scriveva nel suo Trattato, attingendo ai Padri antichi, che “la Santa Vergine è il mezzo di cui nostro Signore Gesù Cristo si è servito per venire a noi, ed è altresì il mezzo di cui dobbiamo servirci per andare a Lui” (cf. n. 75).
L’equazione, registrata nell’anno zero della storia e riscritta continuamente nei venti secoli di Cristianesimo a venire, è ormai nota. Non tutti però ne sono coscienti perché la Santa Vergine era e rimane, come la chiama la Chiesa, l’Alma Mater, la Madre nascosta e segreta. Tuttavia, chi scopre questa “Madre segreta” non può fare a meno di meravigliarsi di quanto Ella segretamente operi.
Ben giustamente diceva Papa Pio XII in un suo Discorso che «se Pietro ha le chiavi del cielo, Maria ha le chiavi del Cuore di Dio» (21.04.1940). È dunque indispensabile possedere questa chiave, se si vuole accedere all’intimità con l’unico vero Dio.
Lo aveva ben capito una giovane monaca di Digione (in Francia) sperimentando la vita d’unione, come è chiamata in Teologia spirituale, con la Santissima Trinità. Oltrepassata la soglia della Mistica, la beata Elisabetta della Trinità aveva trovato “il suo cielo sulla terra” ed era ascesa per così dire di cielo in cielo. L’aveva oltrepassata però anche lei con la medesima “chiave”. La sua personale esperienza la condusse per una devozione sempre più consapevole e totalizzante verso la Vergine Maria che chiamava di preferenza proprio con il nome di Janua Coeli, Porta del Cielo.
Dall’intimo di Maria...
Nel periodo precedente alla sua entrata nel chiostro, la Vergine Maria era già molto presente nelle sue preghiere e nei suoi pensieri, come troviamo spesso annotato nelle pagine del suo Diario giovanile: ricorreva a Lei nelle battaglie spirituali, a Lei si era consacrata affidandole il suo avvenire, a Lei chiedeva la benedizione prima di recarsi a feste mondane dove la sua bellezza o il suo talento musicale potevano metterne a rischio purezza e umiltà, procurandole applausi e vani compiacimenti. Ella l’aveva stabilita custode della sua purezza, rinnovando nelle feste mariane il suo voto di verginità; già si era acceso in lei il desiderio di essere di Dio, di quella Trinità che a volte, le sembrava di percepire in fondo all’anima.
Un giorno Padre Valleé, dotto Domenicano suo Confessore, le confermò questa realtà di grazia che possiede ogni Cristiano, esponendole con linguaggio teologico la realtà della inabitazione divina. Le parole dal Padre la rapirono e si sentì presa da un raccoglimento irresistibile. Il Padre parlava ancora, ma Elisabetta non lo ascoltava più. «Ero ansiosa che tacesse», dirà più tardi, manifestando la sua anima di futura Religiosa, avida di silenzio contemplativo e adorante. Da allora, dirà il Confessore, «l’ho vista lanciarsi verso la meta come una freccia».
Con l’entrata in Monastero, avvenuta nel giorno di Santa Maria degli Angeli il 2 agosto 1901, anche la sua devozione mariana, come il resto della sua vita, ebbe una svolta. Non le bastano più le devozioni particolari, con titoli determinati, ma si rivolge verso l’interno di Maria e trova in Lei il modello dell’unione con Dio a cui aspira, intuendo che Lei sola ha la missione esclusiva di introdurre in questa unione proprio attraverso Se stessa.
L’8 dicembre dello stesso anno fa la sua Vestizione e riceve il nome religioso di cui si compiace immensamente. Il sogno di seppellirsi nel ritiro e nel silenzio del Carmelo diventava sempre più reale, ora poteva cominciare a vivere in pienezza ciò che il suo nome le indicava: Elisabetta della Trinità, essere la Casa di Dio ove “tenere compagnia ai suoi Tre”: per tutta una vita «sola col Solo». Ma d’istinto sa che a questa intima relazione dell’anima con Dio non può mancare la Vergine, il “complementum Trinitatis”.
La Vergine Maria è per lei «Colei nella quale tutto si svolge nell’intimo», la Vergine che «nel silenzio e nel raccoglimento si inabissa nel profondo dell’anima sua per stringere a sé Dio», e in questo silenzio le farà provare ciò che provava Lei «quando, dopo l’Incarnazione, possedeva in Sé il Verbo Umanato, il dono di Dio»; che le «rivela il dolce segreto dell’unione con Dio che ci fa, sempre e in ogni cosa, dimorare in Lui».
...al seno del Padre
Sarà, anzi, proprio nell’anima di Maria che la Beata troverà e adorerà la Santissima Trinità: «Là, nell’anima della Vergine Santa, noi adoreremo la Santissima Trinità [...]. Avviciniamoci alla Vergine tutta pura, tutta luminosa, affinché ci introduca in Colui nel quale Essa penetrò così profondamente».
Prima però di essere toccata e penetrata dai raggi del mistico Sole, qual è Dio quando sorge sull’anima che a Lui tutta si consegna, doveva conoscere il buio e il freddo di quella che il suo santo maestro Giovanni della Croce chiama “Notte oscura”, e che sulla sua anima generosa e destinata a un volo rapido, calò già nel tempo del Noviziato. Abbandonata a se stessa, vuota di tutto, sicura di nulla, tranne che della sua miseria e cattiveria, per un lungo anno il Signore la lascia in preda alle impotenze, alle angosce, ai dubbi sulla sua vocazione. Dispare la soave facilità dell’orazione. La sua sensibilità è colpita al cuore. Dopo aver lasciato il mondo fuori dal Monastero, Dio le chiedeva di lasciare se stessa fuori da sé; il distacco più temibile e terribile per la creatura ma l’unico che la rende capace di ricevere il Tutto che è Dio. Intorno a lei solo la sua Superiora intuì questa fase di angoscia purificatrice. Il Confessore, invece, non la capiva più e al Monastero ripeteva con tristezza: «Che avete fatto della mia Elisabetta? Me l’avete cambiata». Ma le creature non c’entravano, quel mutamento era opera di Dio.
Dopo quell’anno, stabilita nella pura fede, a poco a poco torna la calma e inizia la divinizzazione del suo spirito. Quando nel profondo comincia a percepire la prima partecipazione alla vita intratrinitaria, è come l’alba di un nuovo Giorno che sa di eterno, ne prova una gioia incontenibile che le fa esclamare: «A quali abissi di gloria siamo chiamati!... Lo Spirito Santo eleva [l’anima] ad altezze così stupende da renderla capace di produrre in Dio la stessa spirazione d’amore che il Padre produce con il Figlio e il Figlio col Padre; spirazione che è lo stesso Spirito Santo... Che adorabile mistero di carità!... Vorrei corrispondervi passando sulla terra, come la Vergine Santa, custodendo tutte queste cose nel mio cuore, seppellendomi nel fondo della mia anima, per perdermi nella Trinità che ivi dimora per trasformarmi in Sé».
È in Maria e come Maria, dunque, che accoglie questa nuova ineffabile grazia. Sempre nel segno di Maria il 21 novembre 1904 Suor Elisabetta ritrova definitivamente se stessa in Dio e, lì, il senso della sua vocazione, scrivendo di getto la celebre e bellissima “Elevazione alla Santissima Trinità”, che inizia: “Mio Dio, Trinità che adoro...”.
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