MODELLI DI VITA
Vero angelo del dolore e dell’amore
dal Numero 49 del 13 dicembre 2015
di Paolo Risso

Se Nunzio, vissuto solo nel dolore fin dalla più tenera età, ha saputo dare senso e bellezza alla sua giovinezza grazie all’incontro con Gesù, creduto, amato e vissuto, perché i giovani d’oggi, pur nelle vicende dolorose in cui si trovano a vivere, non possono fare della loro vita un capolavoro di amore e santità?

A circa 550 metri sul livello del mare, sulle pendici del monte Picca, si distende, come a ondate sullo sperone roccioso, il borgo di Pescosansonesco, in provincia di Pescara. Lì, dai giovani sposi Domenico Sulprizio, calzolaio, e Rosa Luciani, filatrice, il 13 aprile 1817, domenica “in albis”, nacque un bambino, che battezzato prima del tramonto del medesimo giorno, fu chiamato Nunzio.
A tre anni, i suoi genitori lo portarono al Vescovo di Sulmona, Mons. Francesco Tiberi, in visita pastorale nel vicino paese di Popoli, perché fosse cresimato: era il 6 maggio 1820, l’unica data lieta della sua fanciullezza, perché in seguito non avrà che da soffrire.

Orfano e sfruttato

Nell’agosto dello stesso anno, muore papà Domenico a soli 26 anni. Circa due anni dopo, mamma Rosa si risposa anche per trovare un sostegno economico, ma il patrigno tratta il piccolo Nunzio con asprezza e severità. Lui si lega molto alla mamma e alla nonna materna. Comincia a frequentare la scuola, una specie di “giardino d’infanzia”, aperto dal Sacerdote Don Fabiis nel paese della nuova residenza, Corvara.
Sono per Nunzio le ore più serene della sua vita: impara a conoscere Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo e morto in croce in espiazione del peccato del mondo, comincia a pregare, a seguire gli esempi di Gesù e dei Santi, che il buon Prete e maestro gli insegna. Gioca, socievole e aperto con i piccoli amici. Comincia ad imparare a leggere e a scrivere.
Ma il 5 marzo 1823 muore la mamma: Nunzio ha solo sei anni e la nonna materna Rosaria Luciani lo ospita in casa e si prende cura di lui. È analfabeta, la nonna, ma ha fede e bontà grandissime. Nonna e nipotino camminano sempre insieme: insieme a pregare, alla Messa, nei piccoli lavori domestici. Il bambino frequenta la scuola istituita da Don Fantacci, per i fanciulli più poveri, e lì cresce, in sapienza e virtù: è un puro di cuore che si delizia a servire la Messa, a far visita a Gesù Eucaristico nel Tabernacolo, molto spesso. Ha dentro un orrore sempre più grande del peccato e un desiderio sempre più intenso di rassomigliare al Signore Gesù.
Quando ha appena 9 anni, il 4 aprile 1926 gli muore la nonna. Nunzio ormai è solo al mondo ed è per lui l’inizio di una lunga via dolorosa che lo configurerà sempre più a Gesù Crocifisso.
Solo al mondo, è accolto in casa, come garzone, dallo zio Domenico Luciani, detto “Mingo”, il quale subito lo toglie dalla scuola e lo “chiude” nella sua bottega di fabbro ferraio, impegnandolo nei lavori più duri, senza alcun riguardo all’età e alle più elementari necessità di vita. Spesso lo tratta male, lasciandolo anche senza cibo, quando a lui sembra che non faccia ciò che gli è richiesto. Lo manda a far commissioni, senza curarsi né delle distanze né dei materiali da trasportare né degli incontri buoni o cattivi che possa fare. Allo sbaraglio sotto sole, pioggia, neve, vestito sempre allo stesso modo. Non gli sono risparmiate neppure le percosse, “condite” da parolacce e bestemmie.
Ci sarebbe da soccombere in breve, ma Nunzio ha già una fede grande. Nel chiuso dell’officina, battendo l’incudine, occupato sotto la “sferza” di un lavoro disumano, pensa al suo grandissimo Amico e Salvatore divino, Gesù Crocifisso, e prega e offre, in unione con Lui, “in riparazione dei peccati del mondo, per fare la volontà di Dio”, “per guadagnarsi il Paradiso”.
Alla domenica, anche se nessuno glielo ricorda né lo manda, va alla Messa, il suo unico sollievo nella settimana.
Presto si ammala. Un rigido mattino d’inverno, lo zio Mingo lo manda con un carico di ferramenta sulle spalle, su per le pendici di Rocca Tagliata, in uno sperduto casolare. Vento, freddo e ghiaccio lo stremano. Lungo il cammino mette i piedi accaldati in un laghetto gelido. A sera rientra spossato, con una gamba gonfia, la febbre che lo brucia, la testa che scoppia. Va a letto, senza dir nulla, ma l’indomani non regge più.
Lo zio gli dà come “medicina” quella di riprendere il lavoro, perché «se non lavori, non mangi». Nunzio, in certi giorni, si trova costretto a chiedere un pezzo di pane ai vicini di casa. Risponde con il sorriso, la preghiera e il perdono: «Sia come Dio vuole. Sia fatta la Volontà di Dio». Appena può, si rifugia a pregare in chiesa, davanti al Tabernacolo: gioia, energia e luce gli vengono da Gesù-Ostia, così che appena adolescente, è in grado di dare consigli sapientissimi ai contadini che lo interpellano.
Si trova con una terribile piaga a un piede, che presto andrà in cancrena. Lo zio gli dice: «Se non puoi più alzare il maglio, starai fermo a tirare il mantice!». È una tortura indicibile. La piaga ha bisogno di continua pulizia e Nunzio si trascina fino alla grande fontana del paese per pulirsi, ma di lì viene cacciato come un cane rognoso dalle donne che, venendo a lavare i panni, temono che inquini l’acqua. Trova allora una vena d’acqua a Riparossa, dove può provvedere a se stesso, impreziosendo il tempo lì trascorso con molti Rosari alla Madonna.

Un secondo padre

Tra l’aprile e il giugno 1831 è ricoverato all’ospedale di L’Aquila, ma le cure sono impotenti. Per Nunzio sono settimane però di riposo per sé e di carità per gli altri ricoverati, di preghiera intensa. Rientrato in casa, è costretto dallo zio a chiedere l’elemosina per sopravvivere. Commenta: «È molto poco che io soffra, purché riesca a salvare la mia anima, amando Dio». In tanto buio, solo il Crocifisso è la sua luce.
Finalmente, lo zio paterno, Francesco Sulprizio, militare a Napoli, informato da un uomo di Pescosansonesco, fa venire Nunzio a casa sua e lo presenta al Colonnello Felice Wochinger, conosciuto come “il padre dei poveri” per la sua intensa vita di fede e per la inesauribile carità. È l’estate 1832 e Nunzio ha 15 anni: Wochinger scopre di aver davanti un vero angelo del dolore e dell’amore a Cristo, un piccolo martire. Si stabilisce tra i due un rapporto di padre e figlio.
Il 20 giugno 1832 Nunzio entra nell’Ospedale degli Incurabili, in cerca di cure e di salute. Provvede il Colonnello a tutte le sue necessità. Medici e malati si accorgono di aver davanti un altro “san Luigi”. Un buon Prete gli domanda: «Soffri molto?». Risponde: «Sì, faccio la Volontà di Dio». «Che cosa desideri?». «Desidero confessarmi e ricevere Gesù Eucaristico per la prima volta». «Non hai ancora fatto la Prima Comunione?». «No, dalle nostre parti bisogna aspettare i 15 anni». «E i tuoi genitori?». «Sono morti». «E chi pensa a te?». «La Provvidenza di Dio».
Viene subito preparato alla Prima Comunione: per Nunzio è davvero il giorno più bello della sua vita. Il suo Confessore dirà che «da quel giorno, la Grazia di Dio incominciò a operare in lui fuori dell’ordinario, da vederlo correre di virtù in virtù; tutta la sua persona spirava amore a Gesù Cristo».
Per circa due anni, soggiorna tra l’ospedale di Napoli e le cure termali a Ischia, ottenendo qualche passeggero miglioramento. Lascia le stampelle e cammina solo con il bastone. Finalmente è più sereno: prega molto stando a letto o andando in Cappella davanti al Tabernacolo e al Crocifisso e all’Addolorata. Si fa l’angelo e l’apostolo degli altri ammalati, insegna il Catechismo ai bambini ricoverati, preparandoli alla prima Confessione-Comunione e a vivere intensamente da Cristiani, a valorizzare il dolore. Quelli che lo avvicinano, sentono in lui il fascino della santità. Suole raccomandare ai malati: «Siate sempre con il Signore, perché da Lui viene ogni bene. Soffrite per amore di Dio e con allegrezza». Per sé, ama molto un’invocazione alla Madonna: «Mamma Maria, fammi fare la Volontà di Dio».
Fatto il possibile per la sua salute, dall’11 aprile 1834 Nunzio vive nell’appartamento del Colonnello Wochinger, al Maschio Angioino. Il suo secondo “padre” si specchia nelle sue virtù e ha una grandissima cura di lui, contraccambiato da profonda riconoscenza. Pensa a consacrarsi a Dio e, in attesa, si fa approvare dal Confessore una regola di vita per le sue giornate, regola simile a quella di un Consacrato, che osserva con scrupolo: la preghiera, la meditazione, la Messa al mattino, ore di studio durante il giorno, seguito da buoni maestri, il Rosario alla Madonna verso sera. Diffonde pace e gioia attorno a sé, profumo fragrante di santità.
Il venerabile Gaetano Errico, fondatore della Congregazione dei Sacri Cuori, gli promette di accoglierlo nella sua Famiglia religiosa appena fosse avviata: «Questo è un giovane santo e a me interessa che il primo a entrare nella mia Congregazione sia un santo, non importa se infermo». Molto spesso, un certo Fra Filippo, dell’Ordine degli Alcantarini, viene a tenergli compagnia e lo accompagna finché riesce a reggersi, nella Chiesa di Santa Barbara, interna al castello. Presto però all’iniziale miglioramento, segue l’aggravarsi delle sue condizioni fisiche: in fondo si tratta di cancro alle ossa e non c’è cura che serva. Nunzio, diventa un’offerta viva con il Crocifisso, a Dio gradita.

Dal Crocifisso: la gioia!

Il Colonnello gli sta molto vicino: dal primo giorno, lo ha chiamato “figlio mio” o “bambino mio”, ricambiato sempre da lui, con il nome di “papà mio”. Ora comprende che purtroppo si avvicina l’ora della separazione, che solo la fede consola nella certezza dell’“arrivederci in Paradiso”.
Nel marzo 1836, la situazione di Nunzio precipita. La febbre è altissima, il cuore non regge più. Le sofferenze sono acutissime. Prega e offre: per la Chiesa, per i Sacerdoti, per la conversione dei peccatori. Quelli che passano a fargli visita, raccolgono le sue parole: «Gesù ha patito tanto per noi e per i suoi meriti ci aspetta la vita eterna. Se soffriamo per poco, godremo il Paradiso in eterno». «Gesù ha sofferto molto per me, perché io non posso soffrire un po’ per Lui?». «Vorrei morire per convertire anche un solo peccatore».
Il 5 maggio 1836, Nunzio si fa portare il Crocifisso e chiama il Confessore, riceve i Sacramenti, come un Santo. Consola il suo benefattore: «State allegro, dal Cielo vi assisterò sempre». Verso sera, dice, tutto contento: «La Madonna, la Madonna, vedete quanto è bella!». A 19 anni appena, va a vedere Dio per sempre. Attorno al suo letto si spande un profumo di rose. Il suo corpo, disfatto dalla malattia, diventa singolarmente bello e fresco e rimane esposto per cinque giorni, perché moltissimi vengono a dirgli “arrivederci”. Il suo sepolcro è subito meta di pellegrinaggio.
Già Papa Pio IX, il 9 luglio 1859, lo dichiara “eroico nelle sue virtù”, quindi “Venerabile”. Il 1° dicembre 1963, il Papa Paolo VI iscrive Nunzio tra i “Beati”, modello per i giovani operai, per tutti i giovani, anche oggi. Se Nunzio, vissuto solo nel dolore, ha saputo dare senso e bellezza alla sua giovinezza grazie a Gesù amato e vissuto, perché con la sua Grazia, la Grazia del Redentore divino, il più grande Amico dell’uomo, i giovani d’oggi, pure insidiati dallo sregolamento di tutti i sensi, dalla droga, dalla disperazione, non potranno fare della loro vita un capolavoro di amore e di santità? Occorre credere e obbedire al Cristo Crocifisso che fa nuove tutte le cose.

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