Vola al Cielo con 26 anni di età e 3 sole settimane di sacerdozio, ma avendo compiuto alla lettera, anche nel suo fisico, l’invito che il Vescovo ordinante dà come comando quando consegna il Calice, al momento dell’Ordinazione, al novello sacerdote: essere un altro Cristo, un’altra vittima immolata.
Sul mar Baltico, con Estonia e Lettonia, si affaccia la Lituania, con le sue chiese bellissime, la sua gente fiera, la sua lunga tradizione cattolica. A Erzvilkas, in Lituania, il 21 ottobre 1921, da buona famiglia cattolica, nacque Isidoro Lileika.
Crebbe buono e studioso. Amante della sua Patria, ancora più innamorato di Gesù solo, tanto che studente di liceo, quando di solito si pensa soprattutto a godere la vita che sboccia, sentì la voce di Dio che lo chiamava a consacrarsi a Lui nell’Ordine di san Domenico di Guzman, l’Ordine dello studio e della contemplazione e della predicazione del Verbo di Dio.
Chiamato
Isidoro seguì questa Voce divina sempre più suadente: “Lascia la tua terra e va’...”. Lasciò la sua Patria amata e scese in Italia a intraprendere il Noviziato e gli studi teologici. Nel Convento dei Padri Predicatori a Chieri (Torino) vestì il bianco abito di san Domenico e, sotto la guida del Maestro Padre Feliciano Gargiulo, dotto ed esemplare, compì l’anno di Noviziato.
In quel periodo, tra il 1939 e il 1940, nel Convento di Chieri era passato un piccolo “angelo in carne”, Fra Candido Poggi (al secolo, Sergio, di La Spezia, dove era nato nel 1923), un fratino “santo” per l’ardore del suo amore a Gesù e per la sua carità fraterna, andato incontro a Dio non ancora 17enne, il 12 aprile 1940, in “odore di santità”.
Sulle orme di Fra Candido, anche Isidoro, diventato alla Vestizione Fra Benedetto, si distinse per il suo fervore, il suo amore al Signore Gesù e la sua intensa devozione alla Madonna del Rosario. Solo in unione con Gesù Fra Benedetto poté superare la pungente nostalgia per la Lituania e la sua famiglia lontana.
Così il 12 aprile 1941, offrì a Dio i santi Voti, che già lo configuravano a Gesù vergine, obbediente e povero nell’Ordine “cherubico”. Con molto entusiasmo iniziò gli studi in preparazione al Sacerdozio, guardando alla meta del santo Altare con tanti sogni di apostolato, anche quello di ritornare alla sua terra d’origine, a radicarvi sempre di più la Fede cattolica, nonostante la bufera del comunismo ateo e omicida, che sotto il tallone di Stalin imperava dovunque.
Anche in Italia erano anni durissimi di guerra, ma «occorre soltanto avere un’immensa fiducia nel Signore Gesù che tutto può e nella Madonna che prepara sempre tempi nuovi per il Figlio suo». Ma Fra Benedetto, il lituano biondo dagli occhi azzurri, diventò presto tanto fragile di salute.
Dopo appena un anno di Teologia sulla Summa di san Tommaso d’Aquino, il sommo insuperabile Teologo della Chiesa, dovette interrompere gli studi e accettare in seguito di lasciare il Convento e i suoi Confratelli, per essere ricoverato nella casa di cura “San Luigi” di Torino.
Consacrato
La croce era davvero “legnosa”, durissima, la malattia ai polmoni lasciava ben poche speranze di guarigione. Fra Benedetto soffriva, pregava sempre più a lungo e offriva: per il momento, era quello il suo “sacerdozio” singolare che Dio voleva da lui. Si affidò alla Madonna, riempiendo il tempo del dolore con interminabili Rosari, per sé, per l’Ordine Domenicano, per la Chiesa e la santificazione dei Sacerdoti.
Quando ormai non c’erano più speranze di ripresa, egli trovò, per grazia di Dio, un’ammirabile serenità e si conformò sempre di più all’offerta di Gesù sulla croce: volle essere sempre più Suo, rassomigliandogli fino all’olocausto di se stesso con un desiderio sempre più vivo di diventare Sacerdote nonostante tutto, prima di morire, anche se gli mancavano gli studi richiesti dalla Legge della Chiesa.
Sperando contro ogni speranza, Fra Benedetto chiese con insistenza di essere ordinato ai Superiori dell’Ordine e tramite questi al Santo Padre: «Lo chiedo nel Nome di Gesù, come supremo conforto, per celebrare il Santo Sacrificio della Messa per tutti i sofferenti, per unire la mia sofferenza al Sacrificio di Gesù per tutta la Chiesa».
Il suo Maestro, Padre Giacinto Bosco, informò del suo ardente desiderio il Generale dell’Ordine, Padre Martino Stanislao Gillet (1875-1951) il quale subito chiese la dispensa al Papa. Il venerabile Pio XII la concesse subito: «Che Fra Benedetto possa andare in Paradiso, come Sacerdote in eterno. Se invece guarirà, come gli auguriamo e preghiamo, compirà gli studi. E che preghi, celebri e offra anche per me».
Era l’autunno del 1947, proprio quando il Santo Padre Pio XII si accingeva a pubblicare una delle sue più insigni Encicliche: la Mediator Dei, che uscirà il 20 novembre 1947, a illustrare la mirabile dottrina cattolica del Santo Sacrificio della Messa e del Sacerdozio che è sempre ordinato a offrire questo sublime Sacrificio di Gesù.
Nella sua singolare lucidità, il Pontefice intravvide che il giovanissimo Domenicano, ammalato e vicino a morire, che Lui conduceva all’altare tramite un suo indulto, sarebbe stato, in quei giorni e per sempre come un’icona vivente, anche con il suo dolore, dell’essere Sacerdote e ostia con Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote e Vittima divina per la gloria del Padre e per la salvezza delle anime del mondo intero.
Il 9 novembre 1947, nella cappella della casa di cura, Mons. Giovanni Battista Pinardi, Vescovo ausiliare di Torino (e Parroco di San Secondo), ordinò Sacerdote per sempre Fra Benedetto Lileika che si reggeva a fatica, in una memoranda funzione in cui egli commosse ed edificò centinaia di suoi compagni di malattia, infermieri, medici e Suore con la sua pietà e forza d’animo.
I Confratelli Domenicani che poterono essere presenti, studenti o Sacerdoti, chiesero a Padre Benedetto di ricordarli nella sua Prima Messa a Gesù e gli affidarono la loro missione.
Padre Benedetto celebrò la sua prima Messa con il Vescovo – oggi Mons. Pinardi (1880-1962) è avviato alla gloria degli altari – confondendo le sue lacrime di dolore e di gioia con quelle dell’Ordinante e con il Sangue di Gesù, offerto sull’altare.
Gli restavano poche settimane di vita e una manciata di forze. Tuttavia si avverava il suo sogno: sebbene con estrema fatica, compì l’azione più sublime che esista sulla terra e nei Cieli: celebrò tutte le volte che poté la Santa Messa, unendo il totale sacrificio di se stesso a quello di Gesù immolato, tra le sue mani tremanti.
Ripeteva con un fil di voce, ma sempre più ardente: «Che io sia davvero una cosa sola con Te, Gesù, per la tua gloria e il tuo trionfo, per la Chiesa, per la mia Patria la Lituania, per i Confratelli. Ricompensa il Santo Padre Pio XII con tutte le tue benedizioni».
Nella notte tra il 30 novembre e il 1° dicembre 1947, si aggravò e ricevette gli ultimi Sacramenti, rispondendo con piena lucidità a tutte le orazioni del rituale. Volle vicino a sé il suo Padre Maestro, affinché lo aiutasse a ben morire. A lui che gli chiedeva come si sentisse, rispondeva: «Sono ormai vicino alla meta».
Il 3 dicembre 1947, a mezzogiorno andò incontro a Dio: 26 anni appena di età e tre settimane di Sacerdozio! Eppure anche lui poté dire: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30), perché nella Chiesa, egli era stato con Gesù Crocifisso, l’offerta e l’amore che adora, espia e redime.
Aveva realizzato alla lettera, anche nel suo fisico, l’invito che il Vescovo ordinante dà come un comando consegnando l’Ostia e il Calice, al momento dell’Ordinazione, al nuovo Sacerdote: «Vivi il Mistero che è posto nelle tue mani e sii imitatore del Cristo immolato per noi». Così Padre Benedetto Lileika era stato con Gesù un piccolo “mediator Dei”. Missione compiuta. Sufficit nobis. Ci basta.