RELIGIONE
La realtà dell’inferno
dal Numero 45 del 15 novembre 2015
di Fulton J. Sheen

L’amore perdona tutto eccetto il rifiuto dell’amore e l’inferno esiste per coloro che hanno rifiutato di amare l’Amore. Uno dei suoi tormenti più grandi è proprio la privazione dell’Amore.

Se c’è un soggetto che offende il sentimentalismo moderno è quello dell’inferno. La nostra generazione esige ciò che un poeta ha chiamato «un parroco conciliante, che, educatamente, non menziona mai l’inferno». La nostra epoca, senz’anima, pretende un cristianesimo annacquato che trasforma il Vangelo di Cristo in nulla più che una gradevole dottrina sulla buona volontà, un programma sociale che punta ad un maggior benessere economico, una forma moderata di ideologia progressista.
Ci sono varie ragioni per cui il mondo moderno ha cessato di credere nell’esistenza dell’inferno, la prima delle quali è di natura psicologica. Colui che conduce una vita depravata, non desidera essere turbato nelle sue malefatte da discorsi severi ed aspri di giustizia. Il suo auspicio che non ci sia punizione finale per i suoi crimini genera in lui la convinzione che l’inferno non esista. Ecco perché il malvagio nega l’inferno, mentre il Santo mai lo nega e sempre lo teme.
Un altro motivo di negazione dell’inferno è che certuni confondono la cruda visione di poeti e pittori con la realtà dell’ordine morale che sta alla base della dottrina sull’inferno. Le realtà eterne, soprannaturali, non sempre sono rappresentabili in termini di spazio e tempo; questa non è tuttavia una buona ragione per negarle, non più di quanto la realtà degli Stati Uniti d’America possa essere negata per il fatto che talvolta viene simboleggiata da una donna che reca una bandiera con i colori nazionali.
Un’ultima ragione sta nel fatto che la dottrina sull’inferno è stata isolata dall’insieme organico delle verità cristiane; separandola dal Magistero su peccato, libertà, virtù, redenzione e giustizia, risulta assurda e incomprensibile come un occhio separato dal corpo. Che questa spiegazione sia corretta è dimostrato dal fatto che l’idea dell’inferno scandalizza quegli uomini che non sono più scandalizzati dal peccato. La Chiesa nulla ha aggiunto, tolto o mutato circa i contenuti di Fede sull’inferno insegnati dal suo Fondatore, Nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore. Aderendo alla testimonianza del Divin Maestro, la Chiesa insegna che l’inferno è un’esigenza prima della Giustizia, poi dell’Amore.
Anzitutto, una volta riconosciuto che l’ordine morale è basato sulla giustizia, una forma di sanzione oltre la morte diventa una necessità. Tutti i popoli hanno considerato moralmente inaccettabile il fatto che un assassino od un malfattore impenitente possa, per il solo fatto di morire, sottrarsi alla giustizia. Non ci può essere in serbo il medesimo destino per il Martire ed il suo aguzzino, per Nerone e san Paolo, per Giuda e per Cristo. Se esiste un Bene supremo che l’uomo può conseguire solo con arduo sforzo, segue necessariamente che colui che trascura o rifiuta di fare quello sforzo pregiudica la propria felicità. Una volta ammesso che la Vita eterna deve essere conquistata, ci deve sempre essere la tragica possibilità che possa essere perduta.
Anche lo stesso ordine naturale indica che esiste una sanzione per ogni violazione di una delle sue leggi. C’è una legge fisica che statuisce che ad ogni azione corrisponde una reazione di uguale intensità e direzione e senso contrario. Se ad esempio tendo un elastico applicando una certa forza costante, l’elastico reagisce con una forza opposta della medesima intensità, cioè proporzionale, determinando una condizione stabile. Questa legge fisica ha il suo corrispondente nell’ordine morale in cui ogni violazione implica necessariamente una sanzione. E cos’è il peccato se non un’azione contro un certo ordine? Tre sono gli ordini rispetto ai quali l’uomo può peccare: il primo è quello della coscienza individuale, il secondo quello dell’unione delle coscienze, ossia i vari corpi sociali, il terzo è la sorgente di entrambi, ossia Dio. Ora, se io pecco o agisco contro il dettame della mia coscienza, si verifica necessariamente una reazione sotto forma di rimorso della coscienza che, nell’individuo normale, varia a seconda della gravità del peccato commesso. Se agisco o pecco contro l’unione delle coscienze, ossia contro uno dei vari corpi sociali, si produce una reazione uguale e contraria come sanzione pecuniaria o di altro tipo, reclusione, radiazione, emessa dal corpo sociale interessato. È da notare che la pena non è mai commisurata alla durata della violazione commessa, bensì alla sua natura e gravità. Basta un secondo per commettere un omicidio volontario, ma lo Stato lo sanziona con la pena dell’ergastolo o quella capitale. Infine, quando pecco contro Dio, ciò che accade ogniqualvolta violo uno o entrambi gli ordini precedenti, agisco contro Colui che è infinito. Anche per tale azione è dovuta una reazione. La reazione di una realtà infinita deve perciò essere infinita ed una reazione infinita da parte di Dio significa infinita separazione da Lui, eterno divorzio da Colui che è Vita, Verità ed Amore; è l’inferno.
Dovrebbe essere perciò evidente che la dannazione eterna non è un’arbitraria costruzione dei Teologi, ma la vera conseguenza del peccato mortale. Troppo spesso siamo indotti a considerare l’inferno come una creazione a posteriori della mente di Dio, correlata col peccato come lo scapaccione con l’atto di disobbedienza di un bimbo. Non è così; lo scapaccione non è effetto necessario della disobbedienza, può esserne o meno la conseguenza. È piuttosto corretto dire che la relazione tra una vita empia e l’inferno è la medesima che sussiste fra l’assenza degli occhi e la cecità, le due cose sono inseparabili. La seconda segue ineluttabilmente la prima. La vita terrena è una specie di coltivazione e noi raccogliamo ciò che abbiamo seminato. Se abbiamo seminato nel peccato, raccogliamo corruzione e morte eterna, ma se abbiamo seminato nello spirito raccogliamo vita eterna.

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