MODELLI DI VITA
La grazia del martirio. Beato Eugenio Bossilkov
dal Numero 43 del 1 novembre 2015
di Paolo Risso

Per salvarlo da un incidente la mamma lo aveva offerto, piccolo, al Signore; così Eugenio entra presto in Seminario, desideroso di servire Dio e la Vergine più da vicino. Sarà Sacerdote e Vescovo coraggioso, anche fra le minacce comuniste, pronto a donare Gesù e tutto se stesso nel martirio di sangue.

A Belene, sulla riva bulgara del Danubio, un gruppo di bambini giocava allegramente. All’improvviso, uno di loro, Vincenzo, forse il più vivace, scivolò e cadde nel fiume. Alle sue grida disperate accorse la madre che, nel tentativo di salvarlo, promise a Dio di donarlo a Lui come Sacerdote. Si riuscì a gran fatica a tirar fuori il piccolo dall’acqua, sano e salvo: passato lo spavento, qualche giorno dopo, già giocava con gli amici un po’ più lontano dal fiume.
Si chiamava Vincenzo Bossilkov ed era nato a Belene il 16 novembre 1900, da umili contadini di antica Tradizione cattolica. Al termine delle elementari, Vincenzo continuò gli studi nel Seminario dei Padri Passionisti a Ores e due anni dopo a quello di Russe. Simpatico, intelligente, impegnato negli studi, amante degli scherzi. Era solo un adolescente, ma il Crocifisso già lo estasiava e per amore a Lui solo, nel 1914, accettò di recarsi nel Seminario di Kortrijk, in Belgio, deciso a diventare Sacerdote passionista.

In mezzo ai giovani

A 19 anni, a Ere, indossò l’abito passionista e fu “Confratel Eugenio”: Novizio, quindi i Voti il 29 aprile 1920. Studi teologici con serietà per diventare un Sacerdote santo e dotto sulle orme di san Paolo della Croce, un vero apostolo del Crocifisso. Finalmente nel 1924 poté tornare a Russe, in Bulgaria, dove terminò gli studi e la formazione. Il 25 luglio 1926 fu ordinato Sacerdote da Mons. Theelen nella Cattedrale di Russe.
L’anno dopo, fu mandato a completare gli studi a Roma, al Pontificio Istituto Orientale, dove arricchì la sua cultura in modo straordinario. Al rientro in Bulgaria, il suo Vescovo lo volle suo segretario. Ma lui non amava fare l’impiegato, così nel 1932, su sua richiesta fu mandato Parroco a Bardarski-Gheran, un grosso paese nel centro della pianura danubiana. Per prima cosa, ultimò la costruzione della chiesa e fece erigere una grande moderna casa canonica come centro di un intenso apostolato con incontri di preghiera, istruzione religiosa e iniziative pastorali molto serie. Con molta semplicità sapeva avvicinare tutti, ragazzi, giovani e adulti, discutendo con loro, organizzando escursioni pur di avvicinarli a Gesù Cristo.
In breve diede vita a uno splendido insegnamento della Religione e continuò tra ragazzi e giovani, anche quando gli insegnanti statali, nominalmente greco-ortodossi, in realtà non-credenti, presero a contrastarlo... Padre Eugenio andava a cercare anche costoro, uno per uno, con bontà e rispetto, per avvicinarli a Gesù. «Ho passato serate intere – scrisse – argomentando con questi giovani». Al suo popolo e a un uditorio più vasto, diventò noto come grande Predicatore, con la forza d’urto che allora avevano i Passionisti, incentrando il discorso sempre su Gesù Crocifisso, morto, in espiazione dei peccati per meritarci la vita divina della grazia. Sembrava “un san Paolo della croce redivivo”: «Ma ci pensate? Un Dio flagellato, coronato di spine, inchiodato alla croce, per me, per voi, come se tu solo esistessi al mondo?». Convertiva, faceva cambiare vita.
Padre Eugenio aveva una grandissima devozione alla Madonna. Trasformò la sua Parrocchia in un centro mariano, da dove partivano tutte le iniziative mariane della Diocesi di Russe. Teneva sempre in mano la corona del Rosario. Sorretto dalla Madonna, era un vero pastore d’anime, impegnato anche con gli scritti a far conoscere e amare Gesù, a costruire la Chiesa. Ai suoi parrocchiani era solito dire: «Non temete mai di disturbarmi; sono qui per servire il prossimo, per donare Gesù».

“Tutto si può con la Madonna”

Nel 1940, con la guerra, la situazione diventò difficilissima. Padre Eugenio, con l’occupazione dei tedeschi, rimase al suo posto, aiutando tutti e salvando la vita a migliaia di ebrei perseguitati. Il 9 settembre 1944, i sovietici invasero la Bulgaria con la violenza propria del Comunismo, installarono la dittatura al potere, iniziando subito una violenta persecuzione ai credenti, in primo luogo alla Chiesa Cattolica, con decine di migliaia di uccisi.
In questo clima pauroso, Padre Eugenio il 6 agosto 1945, a 45 anni di età, fu consacrato Vescovo di Nicopoli: nella sua posizione di primo piano, rischiava di finire sul patibolo e lo sapeva. Senza lasciarsi intimidire dai “rossi” di falce e martello, cominciò con una grande “missione” popolare in tutte le Parrocchie, rivolgendosi in primo luogo ai giovani e rassodando i punti fondamentali della Fede cattolica, che la propaganda atea metteva in ridicolo.
Numerosi agenti comunisti venivano a immischiarsi tra i fedeli e contraddicevano i missionari. Ne seguivano dibattiti formidabili, dai quali, quelli assai ignoranti, ne uscivano con le “corna rotte”, capaci solo a gridare “Abbasso Dio”. Poi, tra difficoltà enormi, Mons. Bossilkov iniziò le visite pastorali nelle Parrocchie, accolto con entusiasmo e affetto indicibili, intrepido e coraggiosissimo nell’annunciare Gesù, nel sostenere i Cattolici a essere fedeli a Lui sino al martirio. Nel 1948, i Comunisti sferrarono l’attacco ufficiale contro le scuole cattoliche, infiltrandovi delle cellule giovanili e avvelenandole dal di dentro. Non riuscirono, e provvederanno a chiudere le scuole cattoliche con la violenza.
Il Vescovo rimase in prima linea tra i suoi Preti e il suo popolo. Il suo apostolato diventò eroico. Ai suoi Religiosi missionari, che gli facevano difficoltà per l’attuazione di certe sue iniziative, rispondeva: «Con la Madonna, si può tutto». Nessuno lo fermò, neppure quando il Governo comunista prese a farlo pedinare, per controllarne ogni movimento.

Una camicia insanguinata

Nell’estate del 1948 riuscì a strappare a Dimitrov, il Capo dello Stato, il permesso per un viaggio a Roma. Partì il 4 luglio, si recò in Olanda a trovare i suoi vecchi amici, in agosto era a Roma dove soggiornò presso i Confratelli Passionisti dei “Santi Giovanni e Paolo”. Il 17 settembre fu ricevuto dal Santo Padre Pio XII che lo incoraggiò nella sua fedeltà a Gesù e alla Chiesa. Andò a pregare davanti all’immagine della Madonna “Salus populi romani”. A chi lo conobbe, disse: «Ho bisogno di una grande grazia: morire martire per la Chiesa, per la mia diocesi. Solo la Madonna me la può ottenere». L’ultima sera, prima di partire per la Bulgaria, disse ai suoi Confratelli Passionisti: «Pregate la Madonna che mi renda degno di morire per la Fede».
In Bulgaria riprese la sua attività consapevole di finire presto “in gabbia”. Rifiutò il giuramento al regime comunista. Il 1° marzo 1949, una “legge” dello Stato cercava di “strangolare” la Chiesa: chiuse le scuole cattoliche, chiuse i Seminari, chiuse gli ospedali e gli asili della Chiesa. «Ho il coraggio di vivere – proclamò il Vescovo –, spero anche di averlo di subire il peggio, restando fedele a Cristo e al Papa». Imperterrito, infondeva coraggio a Preti e fedeli e attendeva la sua ora. Organizzò nella sua Diocesi “la festa del Papa” per dire ai Comunisti che mai sarebbero riusciti a separare Vescovi e Preti dal Papa. Per quasi tre anni, rimase così, impavido sulla roccia, stringendosi a Gesù Crocifisso e al Rosario di Maria Santissima, mentre diversi Sacerdoti venivano arrestati, torturati e uccisi.
Il 16 luglio 1952, Mons. Eugenio Bossilkov fu arrestato con una quarantina di Sacerdoti, alcune Suore e un gruppo di fedeli. Per diverse settimane fu tormentato “con torture sataniche”, come egli stesso riuscirà a far sapere, affinché ammettesse colpe mai compiute. Il 19 settembre iniziò a Sofia il processo farsa, contro di lui e i suoi Preti. Davanti alle sue risposte i giudici si trovarono in imbarazzo. Ma già stava scritto che doveva “sparire”.
Il 3 ottobre 1952, Eugenio Bossilkov, innocente, in odio alla Fede, fu condannato a morte per fucilazione. Ai presenti nell’aula dichiarò: «Non accetto nessuna grazia, perché sento che il Signore mi dà la forza per accogliere la morte, come Lui vuole. Non ho rinnegato nessuno, né Gesù Cristo, né il Papa, né altri».
L’11 novembre 1952 veniva fucilato in odio alla Fede, in odio a Cristo.
I parenti poterono ritirare la sua ultima camicia indossata in carcere, sporca di terra, crivellata di colpi e macchiata di sangue. Papa Pio XII e il santo Cardinale Schuster furono i primi a rendergli omaggio, a riconoscere il suo martirio. Papa Giovanni Paolo II, il 15 marzo 1998, lo ha iscritto tra i “Beati” del Cielo. Una pagina nera del “libro nero” del Comunismo ateo e omicida e, per noi, Cattolici, una pagina di gloria eterna.

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