Con San Massimiliano M. Kolbe ed Edith Stein, padre Tito Brandsma, carmelitano contemplativo e giornalista olandese di spicco, condivide la corona del martirio per la scelta della Verità contro la menzogna. Inviso alla politica nazista, imprigionato e poi deportato nel campo di Dachau, muore con un’iniezione velenosa mentre prega la Vergine.
Nella notte gelida del 23 febbraio 1881, nella grande fattoria di Ugocloster, presso Bolsward in Frisia (Olanda), da fiera e forte famiglia di contadini cattolici, nasceva Anno Siurd Brandsma, battezzato subito l’indomani, affinché, cancellata in lui la colpa d’origine, dominasse subito Gesù nella sua anima.
Piccolo, brillante, intelligentissimo, in casa lo chiamavano “il Punto” tanto era minuto. Fin dalla sua infanzia, c’è un Amore che penetra nella sua vita, Gesù Cristo, che lo invade totalmente... A 18 anni, già entra tra i Carmelitani, per diventare Religioso e Sacerdote. Studi intensi e condotti a fondo, con spirito di contemplativo, che lui trasforma in preghiera.
Gesù nella cultura
Il 22 settembre 1898 veste l’abito carmelitano e prende il nome di Fra Tito. Un solo ideale lo anima, quello espresso il giorno della sua Prima Comunione, alla mamma: «Quando si è scoperto Gesù, non si può più perdere il tempo in altre cose». Il 3 ottobre 1899, emette la sua Prima Professione religiosa.
Mentre prega e studia, già pensa a scrivere intuendo che l’impegno della penna sarà gran parte del suo futuro apostolato. Il 17 giugno 1905 è ordinato Sacerdote. In quei giorni di grazia scrive: «Lascia che io ti avvicini, o mio Gesù, perché Tu solo sei la vita mia».
Per l’inizio dell’anno accademico 1906-’07, è mandato a Roma a laurearsi in Filosofia all’Università Gregoriana. Fragile di salute, arriva alla laurea con un risultato brillante, ma strappato con una lacerante forza di volontà. Nel 1909, rientrato in Olanda, è professore in diverse scuole pubbliche e private.
Davvero si sente chiamato a studiare e a scrivere per annunciare Gesù Cristo, per radicarlo nelle anime, per vivificare la cultura di Lui e del suo Vangelo, perché la Frisia, ormai in gran parte protestante, riscopra le sue antiche radici cattoliche e ritorni nella Chiesa Cattolica. È già, il suo, un apostolato di frontiera. Ma vede che la gioventù è inquinata dal laicismo e dal protestantesimo nelle scuole, dove i ragazzi e i giovani rischiano di perdere la fede.
Padre Tito vede chiaro, con una lucidità che ci vorrebbe ai giorni nostri: la scuola che spesso non è più luogo di educazione alla Verità, ma di perdizione per troppi ragazzi e giovani, perché vi si insegna l’ateismo! Nel suo Ordine, si fa promotore di scuole aperte anche ai giovani che non pensano alla vita consacrata, ma che potrebbero essere luce e sale di Fede vissuta nel mondo, mai del mondo. Così si prende cura, da uomo di cultura appassionato del sapere e di intensa vita di unione con Gesù, delle scuole cattoliche, dell’apostolato tra i giovani, soprattutto tra gli studenti e gli intellettuali, convinto che ogni ragazzo deve poter coltivare la sua intelligenza alla luce di Dio.
Nel 1923 è tra gli iniziatori dell’Università cattolica (allora) di Nimega, in cui per 20 anni insegna Filosofia e Storia della Mistica cristiana, fino a diventare Rettore magnifico nel 1932 della medesima Università. Nella cittadina di Oss, apre un liceo frequentato da numerosi giovani: è una delle numerose scuole da lui fondate.
Uomo di scienza, Padre Tito è però prima di tutto un uomo di Dio, un Mistico Carmelitano, convinto che «gli uomini devono ritrovare Dio e vivere nella sua Luce: questo si chiama Mistica. Non si deve porre nei nostri cuori una divisione tra Dio e il mondo, ma guardare la terra con Dio sullo sfondo. La preghiera è vita, non solo oasi nella vita».
Per questo nel 1916, ha gettato le basi della più importante e maggiore impresa dei Carmelitani olandesi, di cui consegna il programma all’editore nel 1917: la traduzione delle Opere di santa Teresa d’Avila. Padre Tito ha iniziato la sua fatica con Il libro della mia vita, pubblicato nel 1918: è annunciato come un avvenimento che apre luminose prospettive ai Cattolici olandesi per il sano realismo, per la ricca linfa ascetica e mistica di cui è pieno.
A far conoscere l’opera di santa Teresa d’Avila in Olanda, si dedicherà per tutta la vita. All’università di Nimega, istituisce una sezione di testi mistici per i suoi studenti e per i suoi colleghi, consapevole che non sono i politici e gli scienziati, ma solo i Mistici – i Santi – a salvare il mondo, come primi collaboratori con l’unico Salvatore, Gesù!
Generatori di Dio
È già molto, ma ciò non basta al piccolo Frate dalla vocetta acuta e dal cuore incandescente. A Dokkum, sul luogo del martirio di san Bonifacio, evangelizzatore della Frisia e della Germania, nel 1924 fa erigere un Santuario che diventa subito meta di pellegrinaggio e di preghiera. Padre Tito si impegna e si batte per formare nel popolo olandese la coscienza di essere (o di dover tornare là dove non lo è più) un popolo cattolico.
Attivo così com’è, è anzitutto un contemplativo, un intimo di Gesù e, in Lui, di Dio-Trinità d’amore, secondo la più limpida Tradizione carmelitana. In unità totale con Gesù l’unico Amato del suo cuore, non ha dimenticato quel che sente come la sua prima inclinazione apostolica: il giornalismo come apostolato della Verità, fin dalla sua prima giovinezza. Stupendo confratelli e lettori, fonda riviste e giornali, scrivendo, lui di suo pugno, più di mille articoli, densi di studio e di luce, avvincenti per stile fervido e luminoso.
Pur senza volerlo di proposito, si fa conoscere in Europa e in America ed è presto richiesto per predicazione e conferenze. Imperturbabile, compie viaggi in Germania, in Italia e negli Stati Uniti, e organizza congressi di cultura e di spiritualità in Patria e all’estero. Con la sua penna indomabile contribuisce a riunificare “il Partito cattolico” che si era scisso in due tronconi, per cui nel 1937, per merito suo, si costituisce in Olanda “il Partito cattolico unito”.
Ha una visione profonda della vocazione carmelitana di cui coglie in primo luogo il primato di Dio e il cuore mariano: «Nostra caratteristica è quella di essere degli altri generatori di Dio (theotokoi) come Maria Santissima. Maria è l’esempio di come Dio deve essere di nuovo generato in noi. Siamo figli della Madonna, perché Gesù è nostro Fratello. Ella ci insegna come accogliere Gesù e portarlo al mondo».
Con questa passione dentro, è fiero di avere la tessera della Federazione internazionale dei giornalisti. Dal 1935, è assistente ecclesiastico della stampa cattolica e da questa posizione organizza la resistenza culturale e spirituale al nazismo che dilaga. Dalla cattedra universitaria da cui insegna, attacca in modo scientifico l’ideologia di Hitler, segnandola a dito come folle aberrazione della ragione che “sragiona” allontanandosi dalla Verità. Quando l’landa viene invasa dai nazisti il 10 luglio 1940, la Gestapo comincia a vigilare su Padre Tito. Come fanno sempre i dittatori rossi o neri che siano, gli invasori tentano di appropriarsi della scuola e della stampa. La Chiesa Cattolica, come sempre, alza la sua voce.
“Solo, io veglio con Te”
Il 17 dicembre 1941, l’Arcivescovo di Utrecht chiede al Padre Tito il suo consiglio per organizzare la protesta contro le pretese dei nazisti, e di prendere contatto con i direttori delle testate cattoliche per far fronte con lucidità di idee ispirate al Vangelo e alla Dottrina della Chiesa, al nuovo paganesimo della svastica. Il piccolo Frate risponde in modo forte per i pericoli cui sa di andare incontro, affermando la dignità dell’uomo contro la barbarie, difendendo la Fede e la civiltà cristiana contro la sopraffazione truculenta del Reich hitleriano, ponendosi in prima linea.
Il 1° gennaio 1942 la Gestapo bussa alla porta di Padre Tito: «Voi siete un sabotatore», gli dicono. Risponde: «Il Sacerdozio mi ha dato tanta gioia che ora accetto volentieri la sofferenza. Adesso avrò ciò che ho sempre desiderato. Adesso vado incontro alla cella. Adesso soltanto sarò un vero Carmelitano». Lo portano in carcere a Scheveningen, in una povera cella che Padre Tito considera l’anticamera del Paradiso. Lì scrive il suo ultimo libro, uno studio su santa Teresa d’Avila.
Il 19 giugno 1942, è deportato a Dachau: ha tra le mani il Rosario, “l’arma dei Santi”. Nella solitudine, nell’annientamento di ogni dignità umana, ridotto, lui uomo di cultura, professore e rettore di università, giornalista, lui soprattutto Sacerdote di Gesù Cristo, a essere solo un numero (il 30.492), ha il coraggio di cantare la sua Consacrazione all’unico amore della sua vita: «Sono felice di essere solo, per vegliare insieme a Te, Gesù. Non ti fui mai così vicino, in altr’ora della mia vita, come questa, o mio Gesù, ti prego, sta’ con me!».
Nei giorni terribili che seguono, in mezzo alle violenze di ogni genere, Padre Tito, alimentato da Gesù Eucaristico, che riesce a ricevere dai Preti tedeschi prigionieri nello stesso lager, ha ancora la forza di sorridere e di rasserenare i compagni di prigionia: «Ora vediamo la Passione di Gesù unita al nostro soffrire».
Quando il 26 luglio 1942, gli si avvicina “l’infermiera” per finirlo con la mortale iniezione di acido fenico, Padre Tito le offre il suo Rosario: «Lo usi per pregare!». «Non mi serve, non so pregare», gli risponde la donna. «Provi almeno a dire: “O Maria, prega per noi peccatori”». Sono le sue ultime parole, prima di porgerle il braccio.
Qualche mese dopo, quella donna scossa dalla figura e dalla morte del Padre Tito Brandsma, comincia davvero a pregare la Madonna con il Rosario avuto in dono da lui e torna alla Fede: anch’ella avrebbe portato la sua preziosa testimonianza al processo di Beatificazione. Il 3 novembre 1985, il Carmelitano e giornalista martire è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II.