CATECHESI
La libertà e le cause che la diminuiscono
dal Numero 40 del 11 ottobre 2015
di Don Leonardo M. Pompei

Spesso si sente addurre ragioni come l’ignoranza in materia morale, al fine di giustificarsi da alcune colpe. Le delucidazioni di san Tommaso fanno invece ben comprendere come, nella maggioranza dei casi, questa non sia sufficiente a diminuire la volontarietà di alcune azioni.

Apriamo il delicatissimo e importantissimo discorso sull’ignoranza, ossia se e quando si può dire, come molti fanno, “non lo sapevo”, in modo che ciò sia realmente una circostanza scusante dal peccato. La disciplina morale, come vedremo subito, è per molti aspetti diversa da quella giuridica ed anche da ciò che si pensa comunemente; per altri, abbastanza nota.
Secondo san Tommaso d’A­quino esistono tre generi di ignoranza, uno solo dei quali scusa dal peccato: ignoranza concomitante, ignoranza conseguente (o volontaria), ignoranza antecedente (o involontaria).
La prima si ha quando, contemporaneamente al momento in cui si sta compiendo un atto, che comunque si voleva compiere, sopravviene una circostanza accidentale ed esterna rispetto a un atto che comunque si voleva compiere. L’esempio di scuola chiarirà subito una fattispecie. Un uomo è a caccia e vede dietro un cespuglio, muoversi qualcosa. Pensando che sia una lepre, spara. Quando va a verificare, si accorge che non era la lepre, ma il suo peggior nemico (che egli aveva già deciso di uccidere). Effettivamente la persona non sapeva che dietro il cespuglio ci potesse essere il suo nemico. Ma se, con un buon avvocato, potrà scampare alla condanna degli uomini, o quanto meno limitarla, davanti a Dio questo fatto è del tutto irrilevante, solo perché la persona aveva già comunque deliberato di uccidere il suo nemico e dovrà rispondere di omicidio volontario. E se, diversamente, il cacciatore pensava di intravedere dietro il cespuglio il suo nemico e tutto contento spara, pensando di poter in qualche modo coprirsi dietro un apparente incidente, ed invece uccide una lepre (perché questa e non il suo nemico era dietro il cespuglio), davanti agli uomini sarà totalmente innocente, ma davanti a Dio colpevole di omicidio volontario. L’atto compiuto in questo modo non si può, infatti, definire involontario (= contro la propria volontà), perché quell’uomo lo si voleva comunque uccidere; ma semplicemente “non volontario”, essendo le circostanze concrete del tutto irrilevanti in ordine alla volontarietà dell’atto, anche se così potrebbe non sembrare. E quindi questa ignoranza, dal punto di vista morale, è del tutto irrilevante e non scusa in nessun modo dal peccato né diminuisce la responsabilità.
Il secondo genere di ignoranza, il più diffuso, è quella volontaria (detta “conseguente”, perché dipendente da una cattiva deliberazione precedente della volontà del soggetto) e si distingue in tre specie. Quella “crassa” o “affettata” (tecnicamente definita “direttamente volontaria”), tipica delle persone che si rifiutano di sapere come stanno le cose e dove sta la verità per non essere distolti dal peccare; questa non solo non scusa, ma ordinariamente aggrava la colpa, perché dipende da una preventiva chiusura alla possibilità di essere illuminati per agire diversamente. Si pensi a un lussurioso incallito che rifiuta di ascoltare chi cercasse di fargli comprendere perché questo vizio è così orribile e degradante. La seconda specie è detta “ignoranza di inconsiderazione” (o “indirettamente volontaria”) che è quasi sempre presente nelle scelte cattive, abitudinarie o passionali. Si pensi, tornando all’esempio del cacciatore e della preda, a chi, guardando il cespuglio, vede muoversi qualcosa, ma gli viene il sospetto che possa essere non una lepre ma un uomo e decide di sparare. Si reca sul luogo e trova una lepre morta. Nessuna legge umana potrà mai fargli il processo all’intenzione né accusarlo di nulla, ma davanti a Dio è colpevole di omicidio volontario e dovrà risponderne, perché ha sparato sconsideratamente, assumendosi il rischio di uccidere, per tanto banale motivo, un essere umano. La terza specie di ignoranza volontaria – questa davvero diffusissima – è detta “di negligenza” ed è tipica di chi ignora la legge morale perché non si è curato, come suo dovere, di cercare di conoscere la verità. Quanta gente dice: “Ho scoperto solo oggi di aver commesso questo peccato, ma non lo sapevo che era peccato”. Dio gli obietterà il giorno di Giudizio: “Ma tu cosa hai fatto per formare la tua coscienza? E poi sei proprio sicuro che non ne avessi neanche un lontano sentore?”. Indubbiamente questa ignoranza, frequentissima, può in parte diminuire la responsabilità, ma mai scusare del tutto. Solo nel caso in cui – e questo Dio solo può saperlo con certezza – per la persona fosse oggettivamente o soggettivamente impossibile arrivare a conoscere il bene, sarebbe del tutto scusato. Si vede, dunque, come anche nel caso della legge morale vale il principio giuridico in base al quale “l’ignoranza della legge non scusa”.
Il terzo ed ultimo genere di ignoranza, l’unico che scusa, è quella “antecedente”, che causa atti realmente involontari in quanto fa compiere un’azione in presenza di circostanze che, se conosciute, mai avrebbero portato il compimento di quell’atto. Rimanendo ancora nel celebre esempio, il famoso cacciatore spara ad una lepre e, disgraziatamente, proprio nell’istante in cui fa fuoco, improvvisamente un altro cacciatore si inserisce nella traiettoria del proiettile e ne resta ucciso. Quasi certamente la legge umana incriminerà il malcapitato di omicidio colposo, ma, davanti a Dio, la persona è completamente innocente e, nonostante sia morto un uomo, non può e non deve pensare di averlo ucciso, né deve confessarsi. Si pensi anche all’odioso gioco per fanciulli, in base al quale si induce l’ignaro destinatario del gioco a proferire, attraverso un escamotage, una bestemmia materiale al termine di esso. I ragazzi che cadono in questo, si disperano pensando di aver bestemmiato. Ma chi dovrà rispondere di bestemmia davanti a Dio non è il povero ragazzo (che in realtà è una vittima), ma l’autore del gioco anche se non ha materialmente proferito alcuna espressione blasfema. Dal che si deduce che “scusa non l’ignoranza della legge, ma solo l’ignoranza del fatto”.

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