A 40 anni di distanza, l’istituzione del divorzio si è rivelata negativa su tutti i fronti, da quello personale e psicologico a quello relazionale e sociale. Le statistiche registrano quanto pesi tale istituzione sulla vita sociale dei singoli che spesso, dopo aver optato per questa soluzione, si trovano sul lastrico.
Ogni anno la Caritas Italiana stila un resoconto che illustra molto bene e fornisce uno spaccato attendibile, di quella che è la vera condizione sociale del nostro Paese. Il Rapporto 2014 sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia, che ha visto la luce qualche mese fa, ha un sottotitolo alquanto significativo: False partenze. Qual è il quadro che ne emerge, e quali sono le conclusioni da trarne? Sarebbe troppo lungo il discorso generale sulle forme di povertà nuove e antiche che affliggono il “Bel Paese” ma c’è un angoletto di dati, un paio di righi di statistiche che colpiscono particolarmente chi si trova a leggerli: i dati relativi ai padri separati o divorziati che vivono in miseria. Nel Rapporto, infatti, è riportata una «sintesi dei principali risultati della prima indagine nazionale sulla condizione di vita dei genitori separati», dalla quale emerge un legame (ovviamente prevedibile) tra la rottura del rapporto coniugale ed alcune forme di povertà e disagio socio-relazionale che affliggono prevalentemente i padri rimasti soli. La rilevazione, effettuata con stringente carattere scientifico (con la collaborazione della Fondazione Zancan di Padova), ha coinvolto la rete Caritas e quella dei Consultori familiari d’ispirazione cristiana (afferenti alla CFC, Confederazione Italiana Consultori Familiari d’ispirazione cristiana)[1].
Sono state realizzate 466 interviste a genitori separati, presso centri di ascolto (36,9%), consultori familiari (33,5%), servizi di accoglienza (18,5%) e mense (8,2%). Dunque si tratta di dati prelevati nei “punti nevralgici” del sistema che disegnano un quadro raccapricciante ma reale della situazione. Leggiamo testualmente: «Dai dati empirici si evidenzia: 1) un forte disagio occupazionale degli intervistati: il 46,1% è infatti in cerca di un’occupazione; 2) dopo la separazione: diminuisce notevolmente la percentuale di coloro che vivono in abitazioni di proprietà o in affitto. Al contrario aumentano vistosamente le situazioni di precarietà abitativa: cresce il numero di persone che vivono in coabitazione con familiari ed amici (dal 4,8% al 19,0%), che ricorrono a strutture di accoglienza o dormitori (dall’1,5% al 18,3%), che vivono in alloggi impropri (dallo 0,7% all’5,2%); 3) il 66,1% degli intervistati dichiara di non riuscire a provvedere all’acquisto di beni di prima necessità (prima della separazione tale percentuale riguardava solo il 23,7% degli intervistati); tra gli utenti Caritas tale percentuale sale all’81,7%; 4) dopo la separazione aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio: centri di distribuzione beni primari (49,3%), mense (28,8%) e gli empori/magazzini solidali (12,9%); 5) dopo la separazione si evidenzia un aumento dei disturbi psicosomatici: il 66,7% degli intervistati accusa infatti un numero più alto di sintomi rispetto al pre-separazione; 6) la separazione incide negativamente nel rapporto padri-figli: il 68% dei padri intervistati riconosce un cambiamento importante a seguito della separazione (a fronte di un cambiamento percepito solo dal 46,3% delle donne); tra i padri che riconoscono un cambiamento il 58,1% denuncia un peggioramento nella qualità dei rapporti.
In poche parole soprattutto i padri separati/divorziati[2] sono ridotti semplicemente alla disperazione (disturbi psicosomatici) e alla miseria (dormono in macchina, per strada, nelle stazioni e nei dormitori). Spesso non hanno neanche che cosa mangiare (66,1% cioè i due terzi degli intervistati).
Ma non è tutto: unendo i dati Caritas con quelli ISTAT si apprende che oltre 4 milioni di persone nel nostro Paese vivono in condizioni di povertà assoluta, ma ben 800.000 sono genitori ridotti al lastrico dalla rottura del rapporto matrimoniale. Nel corso del solo primo semestre 2014 46.000 persone hanno chiesto aiuto, di cui quasi la metà (46,5%) italiani e il 62,7% senza occupazione. Secondo quanto riporta il sito internet papaseparatilombardia.org «ogni anno ci sono in Lombardia centinaia di papà separati costretti a dormire nei dormitori e a rivolgersi alle mense della Caritas. I costi delle separazioni, il mantenimento dei figli e della ex moglie, il mutuo da pagare nella casa dove non si vive più, spesso li costringono alla fame e a trasformarsi in clochard...».
Tanto per cominciare secondo calcoli dell’Aduc (un’associazione di consumatori), un divorzio consensuale costa mediamente 3.300 euro, mentre per quello giudiziale (che, tra una comparizione davanti al giudice all’altra, può durare anche dieci anni) si può arrivare a spendere fino a 23mila euro in un anno. Se si aggiunge a questi dati preoccupanti il pesantissimo tributo di vite umane sacrificate sull’altare dell’odio che nasce tra coniugi separati che non hanno accettato la separazione o il divorzio (si parla ormai di una vittima ogni tre giorni nella sola Italia), si comprende quale sia il bilancio fallimentare della scellerata politica familiare nazionale messa in moto dalla famigerata e ormai più che trentennale Legge Fortuna-Baslini che ha introdotto il divorzio.
La Famiglia, il Matrimonio vanno difesi, aiutati, seguiti e non distrutti. È vero che ci sono casi in cui la coabitazione dei coniugi diventa impossibile per dei fattori tra i più disparati, è vero che se ci vanno di mezzo i figli qualcosa di concreto va fatto subito, ma in tal caso, la Dottrina cattolica ammette una separazione temporanea e tutta rivolta ad aiutare la coppia a ritrovare l’unità, la concordia e l’amore. Potrà sembrare paradossale ma il primo medico del Matrimonio in crisi è il Parroco. Il Signore ha parlato fin troppo chiaro: «All’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» (Mc 10,6). E invece noi separiamo, hai voglia e come separiamo! Noi distruggiamo, disintegriamo il legame familiare, impediamo che ne nasca uno forte, sano, sacramentale, ricorriamo alle “nuove” forme di convivenza, alle coppie di fatto, alle unioni omosessuali che fra poco (vedi direttive di Bruxelles) dovranno essere riconosciute come “paritarie” rispetto al Matrimonio. E questi sono i risultati: miseria, disperazione, solitudine, violenza, suicidi perfino. Uno sfacelo. C’è gente che non sa come venir fuori da una specie di girone infernale dantesco che li avviluppa senza dare scampo. I sussidi socio-sanitari delle Regioni o dei Comuni possono far ben poco contro il dilagare del fenomeno per il semplice motivo che le radici dei conflitti coniugali hanno, nella maggioranza dei casi, una radice spirituale e non materiale o economica. C’è stata un’epoca (per esempio durante l’ultimo Conflitto Mondiale) in cui gli Italiani morivano letteralmente di fame, ma le famiglie erano solidissime.
I rimedi alle tensioni che si generano all’interno di una coppia (alimentate certamente dall’azione corrosiva del diavolo che vuole annientare la società partendo dal suo nucleo fondante) sono stati peggiori del male stesso. Riconoscerlo oggi, dopo 40 anni dal Referendum che ha convalidato il divorzio, è duro, arduo, spiacevole e forse quasi impossibile eppure sarebbe il primo passo necessario per ritornare sulla sana Dottrina che rispetta la Volontà di Dio. Qui si gioca l’ultima partita: per parafrasare un aforisma dell’ambiguo filosofo Nietzsche: «Il mondo danza sui piedi della famiglia», distrutta questa precipiteremo nel caos.
Note
[1] Vedi sito ufficiale della Caritas: www.caritasitaliana.it
[2] Nel 58,2% delle separazioni, la casa coniugale viene assegnata alla moglie, e solo nel 20,4% dei casi al marito. Il 18,4% delle volte invece i due coniugi vanno ad abitare in due nuove abitazioni distinte, differenti dalla vecchia casa familiare (dati ISTAT-AXERTA).