«È l’amore che fa la differenza tra la sofferenza ed il sacrificio». Ciò che per chiunque costituirebbe una dolorosa sofferenza, non lo è per chi ama e agisce per amore di Dio. Così la mortificazione, il sacrificio, non solo dà vita, sull’esempio di Nostro Signore, ma è testimonianza del nostro amore per Lui.
Se Gesù fosse solo un maestro di etica umanitaria, se fosse solo un riformatore della vita morale, allora gli sarebbe bastato solo, per redimerci, mostrare la sua inimitabile tenerezza, la sua celeste purezza, la sua commovente bontà; avrebbe potuto sedere, come certi filosofi greci prima di Lui, in qualche piazza, durante il mercato, o sotto qualche porticato, dispensando saggezza e consigli alle massime intelligenze del mondo, desiderose di accrescere la propria sapienza. Ma se Egli doveva essere ben più che un maestro, un Sommo Sacerdote, inviato non a creare un nuovo mondo, ma a rinvigorire quello esistente, vecchio e decadente, se doveva mettere la coscienza dell’uomo di fronte agli aspetti più duri della verità, prima di svelare il mistero della sua divina Redenzione, allora, se le condizioni dell’esistenza umana non dovevano essere mutate, Egli doveva subire la morte ignominiosa del Venerdì Santo, per risorgere eternamente alla vita gloriosa della Pasqua. E poiché il servo non è da più del suo Padrone, come possiamo sperare di salvarci per una via diversa dalla sequela di Cristo?
Ma la mortificazione non significa solo morire per avere la vita. Nel suo pieno significato include anche ciò che la ispira cioè l’amore, poiché è l’amore che fa la differenza fra la sofferenza ed il sacrificio. L’amore è l’anima del sacrificio. Tutta la natura testimonia questa realtà. La cerva che lotta per difendere la sua prole, l’uccello che si affatica per nutrire la sua nidiata, il ragno che preferisce la morte all’abbandono delle sue uova, tutti questi sanno che l’amore non è degno di questo nome se non è disposto a rischiare e a soffrire per ciò che è amato. È per questo motivo, io penso, che noi parliamo sempre di dardi d’amore, di qualcosa che ferisce. Il giorno in cui l’uomo dimenticasse che amore e sacrificio si identificano, quel giorno egli si chiederà come un Dio d’amore possa esigere mortificazione e rinnegamento di sé. È un fatto incontestabile, che le più atroci sofferenze e le più grandi sventure vengono alleviate e talvolta addolcite, quando sono sopportate per amore di qualcuno. La sollecitudine incessante di una madre al capezzale del suo bambino prostrato dalla febbre è considerata un sacrificio dai vicini, ma è invece atto d’amore per lei; l’eroismo di chi affronta le fiamme per portare in salvo l’amico è sacrificio per chi ne è testimone, mentre è atto d’amore per chi lo compie; l’anello preziosissimo che l’amato dona alla sua diletta è un sacrificio agli occhi dei suoi parenti, mentre egli lo chiama atto d’amore. Infine, la rinuncia di Nostro Signore alla Sua gloria celeste, l’Incarnazione assumendo una natura umana mortale, la sua Passione e la tremenda Morte di croce, noi la chiamiamo sacrificio, ma Lui la considera un atto d’amore: l’atto supremo d’amore. «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
Quindi, ovunque e sempre dove c’è un amore ardente per Cristo e per il Crocifisso, il sacrificio che comporta l’abbattimento di ogni ostacolo ed il superamento di ogni barriera che ci separi da Lui non viene percepito come dolorosa sofferenza, bensì come la più dolce forma di amore, perché cos’altro è la sofferenza se non un sacrificio compiuto senz’amore? I santi non considerano il sacrificio come un boia con la spada in mano pronto a toglierci la vita, ma come un giogo soave ed un carico leggero. I devoti non odiano la vita perché la vita sia loro ostile, o, avendone bevuto fino alla feccia l’abbiano trovata amara, ma perché amano maggiormente Dio ed amandolo sempre più, disprezzano qualunque realtà che li separi da Lui. Oh, se solo il mondo si rendesse conto che l’amore di Cristo Crocifisso pervade migliaia e decine di migliaia di anime al punto che esse darebbero qualunque cosa al mondo, rinuncerebbero ad ogni ricchezza terrena, pur di non perdere un solo secondo di intima unione con Lui ai piedi della Croce! Oh, se solo il mondo potesse comprendere la tranquilla passione e l’ardente serenità con cui quelle anime si accostano ogni mattina alla Santa Comunione per gustare l’intima unione con Colui che è il loro fedele e comprensivo Amico: Gesù nell’Eucaristia! Oh, se solo il mondo potesse anche solo vagamente percepire come questi cuori ardenti d’amore per Cristo, gioiscano sopportando una qualche croce, per condividere la sua Passione e Morte, così da partecipare poi della sua Risurrezione! Il sacrificio per loro non è una perdita, ma una moneta di scambio; non è sofferenza, ma dedizione, non un godimento passeggero, ma la trasformazione di un diletto effimero in una gioia eterna. Il sacrificio per loro non è sofferenza, ma amore. La sola vera sofferenza è quella data loro dal non poter fare di più per l’Amato. Come velieri che non conoscono la pienezza del gaudio e della gloria per cui sono stati costruiti fin quando non salpano dal porto e affrontano il mare aperto e la forza dei venti, così le anime ferventi non conoscono la piena beatitudine della vita fin quando levano le ancore dal mondo e, secondo le parole del Signore, prendono il largo. Come pezzi di carbone, essi, coscienti di essere sozzi, si gettano nel fuoco del sacrificio per divenire degli alter Christus nel fulgore della fiamma. Come gli alberi di una foresta che brucia, dopo essere entrati nel fuoco divorante dell’amore per la croce, queste anime intonano il loro canto, così come il ciocco canta solo nel fuoco che lo consuma. Accesi dal desiderio di rassomigliare al loro amato Signore, nessuno di loro scenderà dal Calvario di questo mondo senza mani ferite e sanguinanti. Trasformati come Saulo in san Paolo dal loro ardente amore per il Salvatore, fanno salire dal loro cuore come fumo d’incenso queste parole: «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore».
Questo mondo, che gusta all’inizio ed in modo effimero i piaceri, invece di goderli al termine e senza fine, forse non potrà mai comprendere come un tale ardente amore per Nostro Signore possa spingere un’anima a voler morire per avere la vita vera e tuttavia essere felice di morire. Ma questo mondo non può neppure comprendere come la sola occasione in cui ci è stato tramandato che Nostro Signore abbia cantato fu quando Egli uscì dal cenacolo, ed era notte, notte oscura e crudele, per incontrare la sua Morte.