Il male nel mondo sembra essere un argomento a sfavore della Potenza, della Rettitudine e della Giustizia di Dio, ma ciò soltanto in apparenza. Il male è una delle conseguenze del carattere morale dell’universo, dove regna la libertà e dove il profilo morale della persona si costruisce con l’uso corretto della libertà stessa.
Se Dio è potenza, amore e giustizia, perché allora ha creato questo genere di mondo? Se Egli è Onnipotente, perché permette il male? Se Egli è Amore, perché tollera l’odio? Se Egli è la Giustizia perché ammette l’ingiustizia? Queste domande, suppongo, se le è poste chiunque abbia occhi per vedere e la capacità di apprezzare il terribile contrasto che sussiste fra il peccato del mondo e la bontà di Dio.
Per rispondere correttamente alla questione del perché Dio ha creato questo genere di mondo, è importante innanzitutto ricordare che esso non è il solo tipo di mondo che Dio avrebbe potuto realizzare. Avrebbe potuto creare diecimila altri mondi, nei quali non ci sarebbero mai stati conflittualità, dolore, sacrificio. Ma il nostro è il genere di mondo migliore possibile che Dio potesse realizzare per lo scopo che Egli si è proposto. Un artista non va valutato tanto per il capolavoro che ha prodotto, quanto in base al proposito che si prefiggeva nel creare il capolavoro stesso. Un architetto non va giudicato un modesto architetto perché progetta una voliera piuttosto che una cattedrale, se la sua intenzione era di procurare una dimora per le creature alate del Buon Dio, piuttosto che una residenza per Dio stesso.
Allo stesso modo, Dio non può essere giudicato solo in base al mondo che ha creato, ma anche tenendo presente l’intenzione e lo scopo che Egli aveva nel farlo.
Questo ci conduce ad un’altra questione: qual è il proposito che Dio ebbe in mente nel creare questo genere di mondo? La risposta, semplicissima, è che Dio intendeva realizzare un universo morale. Da tutta l’eternità Egli volle dar vita ad un mondo nel quale gli uomini potessero sviluppare un carattere forte e retto. Naturalmente Egli poteva creare un mondo privo di una dimensione morale, senza virtù, senza uomini dal carattere forte. Un mondo in cui ciascuno di noi sviluppasse le virtù come una ghianda, deterministicamente, si sviluppa per diventare una quercia, o un mondo in cui ciascuno di noi diventasse santo con la medesima inesorabile necessità con cui il sole si innalza fino allo zenit nel mattino o la pioggia cade a bagnare la terra. Dio ci avrebbe potuti creare come pezzi di legno o pietre, guidati dal determinismo per cui il fuoco è caldo e il ghiaccio è freddo. Dio avrebbe potuto fare tutto ciò, ma non l’ha fatto. E non l’ha fatto perché Egli voleva un universo di natura morale, nel quale – usando correttamente del dono della libertà – potessero formarsi uomini dal carattere forte e virtuoso.
Cosa può interessare a Dio creare una moltitudine di oggetti sparsi nell’infinità dello spazio, fossero pure diamanti, un universo popolato di gioielli splendenti come il sole, cosa significherebbe per Lui quest’armonia esteriore, necessariamente imperturbabile, al confronto con un solo uomo virtuoso, che potesse intessere sulla trama di una vita apparentemente tormentata, stentata e fallimentare, uno stupendo ricamo di santità e perfezione spirituale?
A Dio si presentava la scelta fra il creare un universo puramente meccanicistico, popolato da semplici robot, e un mondo di esseri spirituali, per i quali la scelta fra il bene ed il male fosse in ogni caso una possibilità.
Stabiliamo ora come assodato che Dio abbia scelto di creare un universo morale, cioè uno in cui si sarebbero formate persone virtuose. Quale condizione avrebbe dovuto verificarsi per rendere possibile la moralità? Dio, avendo scelto l’opzione di un universo dal carattere morale, doveva rendere l’uomo libero; dotarlo cioè della facoltà di dire sì e no, di essere artefice e padrone del proprio destino. La moralità implica responsabilità e dovere, ma queste hanno senso solo in un contesto di libertà. Le pietre non hanno una dimensione morale, perché non sono dotate di libertà. Non lodiamo il ferro perché viene riscaldato dal fuoco, né condanniamo il ghiaccio perché si scioglie per il caldo. Plauso e disapprovazione possono essere espressi solo nei confronti di coloro che sono dotati di libera volontà. Solo l’uomo, nel mondo visibile, ha la possibilità di dire no, di avere tanta gioia nel cuore quando dice un sì. Togliete questa libertà [interiore] a un uomo e non c’è per lui più alcuna possibilità di essere virtuoso, più di quanto ne abbia un filo d’erba, di evitare d’essere calpestato da chi vi passa sopra. Togliete la libertà [interiore] dalla vita umana e viene meno il motivo di onorare la fortezza dei martiri, che offrono i loro corpi come incenso a testimonianza della loro fede, più di quanto si onorino le fiamme che li avvolgono nel rogo. Togliete la libertà [interiore] all’uomo e cosa resterebbe della sollecitudine verso i bambini affinché impostino bene la loro vita, determinando il proprio eterno destino attraverso una successione di libere scelte. Togliete la libertà [interiore] all’uomo, facoltà che conferisce alla vita il carattere di un progetto appassionante dalle conseguenze eterne ed irrevocabili, e considerate con quanta indifferenza osserveremo il sipario che si alza su una nuova vita e con qual modesto rimpianto contempleremo come esso si chiude su una vita che si spegne.
Si può forse imputare a Dio la colpa di non aver voluto regnare su un universo fatto di semplici sostanze chimiche? Se perciò Egli ha deliberatamente scelto un universo basato non sulla forza, ma sulla libertà e se prendiamo atto che i Suoi sudditi possano agire contro la Volontà del loro Signore, cosa che le stelle e gli atomi non possono fare, non è forse questa la prova che Egli ha concesso alle creature umane la possibilità di rompere il vincolo di fedeltà che li lega a Sé, affinché abbia senso e sia meritevole di plauso quella medesima fedeltà quando è liberamente prestata?
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