MODELLI DI VITA
Dal buio, apostolo di luce. Gaston De Ségur
dal Numero 17 del 28 aprile 2013
di Paolo Risso

Artista nato, Gaston usa per la gloria di Dio i doni ricevuti. Chiamato al Sacerdozio consacra la sua vita a diffondere luce di fede e carità ai fratelli accecati dal peccato. Neanche la cecità fisica che lo debilita per 27 anni lo fermerà dall’eseguire la grande missione di apostolo di Cristo.

Sua madre era Sophie Rostopchine, figlia del governatore di Mosca che nel 1813 aveva fatto incendiare la città piuttosto di lasciarla cadere nelle mani di Napoleone e delle sue truppe; nota in tutta Europa per i suoi numerosi libri di narrativa per l’infanzia. Aveva sposato il conte De Ségur, delle più nobili famiglie di Francia. Matrimonio felice allietato da figli e figlie.

L’avventura di una chiamata

Il 15 aprile 1820 era nato Gaston. Intelligentissimo, vivace e generoso. Suo padre pensava di avviarlo alla carriera diplomatica e si affaccendava per preparargli una vita splendida di onori. Il nonno materno, quando seppe della sua nascita, aveva detto: «Faremo di lui il primo paladino della Cristianità».
Da parte sua il ragazzo aveva presto dimostrato una speciale inclinazione alla pittura. A scuola, i compagni facevano ressa intorno a lui: «Mi prepari uno schizzo? Mi fai un ritratto? Mi regali la caricatura?». Nello studio era alquanto negligente, tuttavia riusciva in modo brillante. I suoi maestri riconoscevano il suo talento artistico e pronosticavano per lui un gran successo come pittore.
Terminato il liceo a 17 anni, durante le vacanze che precedevano la sua iscrizione all’università, Gaston trovò a casa la nonna contessa dei Rostopchine, venuta dalla Russia a passare alcuni mesi con la figlia, il genero e i nipoti. Era una grande donna: convertita dall’ortodossia, ormai cattolicissima, aveva studiato la nostra Fede con la passione dei dottori della Chiesa e la viveva con lo stile dei santi. Conosceva i Padri, leggeva la Sacra Scrittura in ebraico, ma soprattutto era dolce, caritatevole e piissima, nel medesimo tempo brillante e arguta.
Gaston ne fu incantato. Sarebbe stato tutto il giorno a sentirla. Si lasciò guidare da lei in tutto: tornò, dietro i suoi consigli, ai Sacramenti che aveva abbandonato, si diede a serie letture e dopo pochi mesi era così cambiato che i suoi fratelli e sorelle se ne stupivano. Gesù riprendeva possesso della sua vita, come quando era ragazzino, fortiter et suaviter.
Per il momento, si avviò a studi giuridici in vista della carriera diplomatica. Tra i primi in Francia, accolse l’appello di Federico Ozanam (1813-1853) e aderì alle Conferenze di san Vincenzo per la cura ai poveri e ai malati, lieto di servire Gesù in loro, proprio lui, rampollo d’illustre famiglia.
Come “vincenziano”, un giorno andò in ospedale a portare conforto ai malati. La suora di turno lo mandò al n. 39: «È un tisico – gli disse – che non vivrà a lungo. Tutti, in primo luogo il cappellano, abbiamo fatto l’impossibile per indurlo a confessarsi. Ci ha mandati tutti a spasso. Manderà via anche lei. Tuttavia, provi. è sempre bene tentare quando si tratta della salvezza di un’anima». «Sorella – rispose Gaston –, mentre vado dica un’Ave Maria». Si avvicinò e disse al malato: «Avete fatto una buona Prima Comunione?». L’infermo parve commuoversi e rispose: «Sì, signore». «E non eravate contento quel giorno?». «Sì, signore», ed era davvero commosso. Gaston gli prese le mani tra le sue: «E non vi piacerebbe tornare come allora? Essere ancora così buono, puro e amico di Dio? Si può! Basta che lo vogliate voi, il Signore vi vuole bene».
Il malato si mise a piangere a dirotto. «Non è vero – continuò Gaston – che ora voi volete confessarvi e mettere in pace la vostra anima?». «Sì, subito», rispose l’infermo e gli gettò le braccia al collo. Gaston andò all’istante a cercare il cappellano. (Forse dovrebbero imparare da questo giovanotto certi parroci che predicano sempre solidarietà e comunità e lasciano morire senza Sacramenti malati e anziani!).
Nel frattempo, Gaston vedeva premiato uno dei suoi quadri all’esposizione d’arte e nel 1842 entrava nella carriera diplomatica come addetto d’ambasciata a Roma. Ma è impossibile provare le gioie di annunciare e servire Gesù e poi sottrarsi al suo fascino. A 22 anni entrava così nel Seminario di Saint Sulpice a Parigi. Si stava avverando la profezia del nonno: «Sarà un paladino della Cristianità». Studi teologici perfetti. Nel 1847, a 27 anni, era ordinato sacerdote di Cristo.

Apologeta della Fede

Subito, si dedicò alla cura dei “patronages” per apprendisti, i ragazzi più umili da condurre a Gesù. Ma brillava troppo per restare nascosto: nel 1852, don Gaston De Ségur era “uditore di Rota” a Roma, dove presto godette dell’affettuosa confidenza del Santo Padre Pio IX, con una preparazione storica, giuridica e teologica straordinaria, una vita sacerdotale esemplare e luminosa. In casa sua, il primogenito, quale lui era, veniva considerato da genitori e fratelli come il sacerdote santo e la benedizione della famiglia.
Aveva già incominciato a scrivere: volumetti semplici, chiari e densi di luce, dallo stile vivace, in cui trattava argomenti di ascetica per la santificazione delle anime, e di apologetica per illustrare ai credenti e non credenti nell’Europa, che veniva laicizzandosi, le ragioni della fede, i motivi fondamentali per credere. Si educano così le anime alla fede, con il gusto di convertire, di confutare, di difendere. Era appena entrato in Seminario, quando pubblicò nel 1843 una Raccolta di discussioni religiose, cui erano seguite nel 1851 Le risposte brevi e familiari alle obiezioni contro la Religione, che raggiungeranno l’anno dopo la 17a edizione e, nel 1881, la 194a edizione; quindi il bellissimo libro Gesù Cristo nel 1856 (24a edizione nel 1907). Quei libri piacevano e conquistavano anime a Gesù, convertivano e... davano fastidio!
Un giorno del 1854, nel castello delle Nouttes, la famiglia De Ségur era riunita per la cena. Mamma Sophie si accorse che don Gaston, il suo diletto, si faceva tagliare la carne da una delle sorelle. Lo fissò in volto: incontrò due pupille in cui la cecità aveva spento ogni luce. Era diventato cieco. Mamma e figli piansero inconsolabili, ma chi non perse la calma fu proprio lui, il giovane Monsignore diventato cieco a 34 anni, disponendo tutti a adorare la Volontà di Dio. Per conto suo non solo l’adorava, ma lo ringraziava: «Sette anni fa – disse –, alla mia prima Messa, ho chiesto una grazia: di essere colpito da una malattia dolorosissima per condividere la sua Passione e la sua Croce, che però non mi impedisse di lavorare per la Salvezza delle anime».
Si dimise dal posto prestigioso che aveva in Vaticano. Pio IX, addoloratissimo, lo nominò protonotario apostolico, canonico-vescovo del Capitolo di Saint-Denis, ma lui non volle mai ricevere la Consacrazione episcopale a causa della sua cecità. Anzi, fece scrivere a un suo amico vescovo, invitandolo a ringraziare perché la cecità mandava in fumo il cardinalato che Pio IX voleva conferirgli: avrebbe così lasciato ogni alto incarico per dedicarsi tutto ai suoi operai, ai carcerati, ai giovani, come desiderava, servendo in loro Gesù sofferente: i peccatori più timidi si sarebbero confessati volentieri, sapendo che era cieco e che non li avrebbe mai riconosciuti. Poteva continuare a scrivere, aiutato da qualcuno, in difesa della Fede nella santa Tradizione cattolica. Sì, era diventato cieco e viveva al buio, ma avrebbe diffuso cascate di luce sulle anime, in Francia, in Europa e nel mondo, sui più lontani da Dio, sui più accaniti nemici della Chiesa per convertirli a Gesù, l’Uomo-Dio, unica Verità e unico Salvatore anche nel secolo XIX e in tutti i secoli.

Martire?

Non indugiò a piangersi addosso, don Gaston. Cominciò senza perdere tempo: confessava in casa uomini e giovani a qualunque ora. Si faceva condurre per mano sui pulpiti di Parigi e fuori Parigi e predicava col cuore infiammato d’amor di Dio e bontà verso il prossimo. La sua predicazione toccava i cuori, anche i più induriti, conquistava anime a Gesù, da ogni ceto sociale, tra gli umili suoi prediletti, e tra i dotti che non potevano resistere alle sue argomentazioni e all’ardore della sua fede.
       Venivano a sentirlo anche coloro che erano contrari a Cristo e alla Chiesa: chi veniva convinto dalla sua dottrina e dalla sua vita coerente alla sua dottrina; chi se ne andava irritato perché a lui non si poteva resistere; tutti si facevano pensosi. La sua parola raggiungeva gli assenti e i lontani con la penna: coltissimo e profondamente esperto della vita cristiana cattolica, ricco di uno stile vivace e appassionato, dettava al suo segretario libri su libri che poi correvano in Francia e venivano spesso tradotti in molte lingue. Il resto del tempo lo passava in casa inginocchiato davanti al Tabernacolo di Gesù eucaristico, perché per quanto grandi siano le umane capacità di convincere, è sempre solo Lui il divino Conquistatore delle anime.
Nonostante la cecità, accettò di essere cappellano del Collegio Stanislas e molte Congregazioni ricorrevano a lui come confessore e direttore spirituale. Senza abbattersi mai un istante, nel 1876, collaborò con il canonico H. Chaumont (1838-1896) nella fondazione dei Padri di San Francesco di Sales. Una dopo l’altra, don Gaston pubblicò una sessantina di opere: Il Papa (1860; 78a ed. 1899); La Chiesa (1861; 63a ed. 1903); L’inferno (1876; 39a ed. 1905); La rivoluzione (1861; 3a ed. 1900); I massoni (1867). Sono soltanto alcuni titoli.
Il suo stile ardente e verace, il suo coraggio indomito, infine la pubblicazione di queste due ultime opere, scatenarono su di lui l’ira della massoneria. In una biografia scritta in francese riguardo alla presenza e all’azione missionaria di padre Daniele Comboni (1831-1881) in Francia, abbiamo letto che la sera del 22 dicembre 1868, il santo Missionario dell’Africa, trovandosi a Parigi, fu costretto a lasciarsi trasportare in “loggia” ad amministrare gli ultimi Sacramenti a un dignitario di “squadra e compasso”, che si era rifiutato di uccidere un illustre prelato e che pertanto all’indomani lui sarebbe stato ucciso con il taglio delle vene alla gola. Il prelato destinato al martirio pare fosse mons. Gaston De Ségur, per il suo strenuo coraggio nell’apostolato e nella difesa della Verità.
Martirio mancato per la resipiscenza di un massone pentito. Don Gaston, innamorato del Cristo delle anime ardenti, morirà sessantenne il 9 giugno 1881.
Negli ultimi anni, oramai fragile di salute, ma invitto nella fede e nella passione ardente per Gesù, aveva ancora pubblicato Il dogma cattolico e l’infallibilità del Papa (1872), Le tre rose degli eletti (1879). Postume ma con uguale diffusione usciranno Centocinquanta miracoli di Lourdes, Il diario di un viaggio in Italia (1882), Consigli pratici per la vita di fede (1891), e Mia madre: ricordi della sua vita e della sua santa morte (1893). Mai dunque aveva posato la penna anche se lui poteva solo dettare e un altro scriveva per lui.
Dal buio fitto di 27 anni di cecità, aveva irradiato senza fermarsi mai, neppure davanti al rischio del pugnale della “setta”, la luce radiosa di Gesù Cristo, che squarcia – Lui solo! – le tenebre più profonde verso orizzonti infiniti di Verità in cui l’uomo trova il Dio vivo e vero, il senso assoluto dell’esistenza e della storia e la gioia che non tramonta.
Così mons. Gaston De Ségur se n’è andato dal suo Cristo adorato, in profumo di santità, in una luce di martirio e di splendore eterno.

 

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