La chiesa come costruzione deve essere segno di una Presenza divina e reale. Anche la sua architettura deve parlare con linguaggio sacramentale: ecco perché ci sono segni, forme e atmosfere che, pur variando di secolo in secolo, non possono mai essere omesse.
Come devono essere costruite le chiese? Che giudizio si può dare a certe costruzioni di chiese che sempre più vengono costruite?
Prima di tutto va detto che le chiese devono esprimere la dimensione del sacro. Il problema però è che su questo sono d’accordo tutti, anche coloro che progettano chiese a forma di cubo. Ogni riferimento al “Cubo” dell’archistar Fuksas (“chiesa” che è nella città di Foligno) non è puramente casuale.
Ci sono infatti due modi di intendere il sacro. Uno corretto ed uno scorretto. Il corretto è intenderlo come categoria che irrompe nel profano senza farsi contaminare dal profano e senza confondersi con esso. Il secondo (quello scorretto) legge il sacro sì come un’irruzione nel profano, ma nel senso di una fusione con esso. Faccio due banali esempi per farmi capire. Se verso un po’ di olio in un bicchiere pieno di acqua, il liquido penetra nell’acqua ma poi va verso l’alto e si differenzia dall’acqua anche se non se ne distanzia; si pone al di sopra dell’acqua adagiandosi su di essa. Se invece verso del vino nello stesso bicchiere, il vino penetra nell’acqua ma in questo modo rimane, tant’è che vien fuori un nuovo liquido con un colore diverso. Fuor di metafora: il sacro è irruzione nel profano, arricchimento di esso, ma ben distinto dal profano e non confusione con esso.
Negli ultimi decenni si è imposto il modo scorretto d’intendere il sacro. I motivi sono molteplici. Sarebbe difficile elencarli tutti, ne cito almeno due: la svolta antropologica della teologia contemporanea e la cosiddetta teologia della secolarizzazione.
La svolta antropologica della teologia contemporanea è l’uomo che di fatto sostituisce Dio. L’uomo diventa il centro. Ma non solo l’uomo come uomo, anche l’uomo con le sue faccende, con il suo vissuto, con la sua storia individuale... in perfetta coerenza con uno dei capisaldi del pensiero di Heidegger (un importante filosofo di riferimento di certa teologia contemporanea) secondo cui l’essere si manifesta solo nella dimensione individuale del vissuto umano. Se dunque l’essere è individuale solo nell’ente e se addirittura l’essere trova la sua reale espressione nell’ente, allora anche il sacro perde la dimensione metafisica per acquistare rilevanza e senso solo nel mondo e nella storia, cioè solo nel profano. Capisco che questi concetti sono un po’ complicati, ma purtroppo sono necessari per capire. Un esempio mi viene in mente. Per scegliere un’automobile ed eventualmente acquistarla, il modo migliore è visionarla in esposizione, bella pulita, con la carrozzeria perfetta e fiammante. Ebbene, quello che abbiamo detto prima è come se affermasse che la migliore condizione per scegliere un’automobile sia quella di vederla sporca, per strada e perfino un po’ ammaccata. Ora, se al posto dell’auto ci mettiamo il sacro si capisce il senso di questo esempio. I luoghi sacri, secondo certa teologia contemporanea alla moda, non devono essere visivamente distinti dal quotidiano, bensì dentro il quotidiano: non “adagiati” sul quotidiano come l’olio sull’acqua, bensì “confusi” nel quotidiano come il vino nell’acqua.
Il secondo elemento è logicamente conseguente al primo. La teologia della secolarizzazione si basa su un’errata concezione del mistero dell’Incarnazione che viene letto come salvezza per tutti, nel senso che il Verbo, per il fatto stesso che si è incarnato, avrebbe automaticamente realizzato la salvezza per tutti. “Realizzato”, dunque indipendentemente dalla libera corrispondenza delle singole anime. In questa prospettiva se tutto è “salvato”, tutto è anche “santificato” e “sacralizzato”. Il secolo, cioè il tempo, diventa il sacro per eccellenza, ecco la definizione di “teologia della secolarizzazione”. Da qui le chiese che non solo possono non essere più chiese, ma non devono essere più chiese.
Detto questo, chiediamoci: ma allora come devono essere le chiese? Verrebbe semplicemente da rispondere: chiese... solamente chiese. Ovviamente non basta una tale lapalissiana risposta. L’architetto Steven Schloder, nel suo libro Architettura del Corpo Mistico, parla di un ben preciso linguaggio architettonico che dovrebbe caratterizzare la costruzione delle chiese. Lo chiama “linguaggio sacramentale”. Dal momento che la Chiesa è sacramento universale di salvezza, le chiese devono esprimere un linguaggio sacramentale e questo linguaggio – commento io – lo possono esprimere se sono costruite con questo linguaggio. Ci sono pertanto dei simboli, delle forme, delle atmosfere che non possono essere omessi. Certo, questi simboli, queste forme, queste atmosfere, possono e debbono variare nei tempi; ma un conto è variarli altro è cancellarli.
La chiesa come costruzione è un segno, un segno evidente di una Presenza, quella del Divino, di un Dio in Carne, Sangue, Anima e Divinità, qual è il Santissimo Sacramento; una Presenza che non può confondersi con il mondo, con il tempo e con la storia, ma che deve orientare e governare visibilmente... il mondo, il tempo e la storia.