ANNO DELLA VITA CONSACRATA
La nostra riforma nella contemplazione del Crocifisso
dal Numero 10 del 8 marzo 2015
di M. de Clairljeu

Lo stato religioso chiede all’anima un’autentica riforma di vita che, per essere vera e fruttuosa, non può non comportare sofferenza, cioè il passaggio per la Passione dolorosa di Cristo. Nell’impervio e sublime cammino non si cessi mai di guardare il Divin Crocifisso, a perenne sprone e conforto.

L’ardente anima di san Paolo, innamorata di Gesù, ha una espressione fra le molte che colpisce il nostro cuore: «Chi mi separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,35). Egli mostrò, dopo la sua conversione, in qual modo l’amore per il Figlio di Dio avesse rapito il suo cuore. Nulla lo fermò nel di Lui servizio: né le fatiche, né le sofferenze, né la prigione, né la morte. Il suo amore era così forte, che sopportò e sorpassò tutto ciò.
Nella nostra piccolezza dobbiamo cercar di imitare questa sete generosa di donazione e di sacrificio che spingeva l’Apostolo delle genti. La nostra vera riforma di vita, l’assecondare la chiamata di Dio alla santità, porta con sé, necessariamente, la lotta; e la lotta contro la nostra accidia e viltà non può farsi senza molta sofferenza diurna e, talora, notturna sofferenza.
Gesù avrebbe potuto salvare le nostre anime con un solo sospiro, ma ciò che era bastante per redimere l’umanità, non bastava però al suo Amore, e nella Passione di Cristo noi vediamo a quali eccessi lo portò questo amore per noi.
Sembra che non si sia detto soddisfatto finché non ebbe tutto dato: il suo onore, il suo Cuore, il suo Corpo, tutto il suo Sangue, tutte le sue lacrime, morendo di puro dolore: così immolò Se stesso per noi.
Se sapessimo, una buona volta, immergerci nella Passione di Lui e riempire l’anima nostra in una meditazione continua! Se sapessimo guardare, vedere il Crocifisso, che sempre e dappertutto scorgiamo, e che tuttavia non vediamo affatto, le Piaghe di Cristo piagherebbero a loro volta il nostro cuore freddo ed insensibile, e saprebbero ben strapparci una vera e stabile riforma di vita, malgrado che l’attuazione di essa possa costare sacrificio e sofferenza.
Abbiamo mai guardato bene questo dolce Signor nostro, inchiodato, fissato alla croce, lo abbiamo mai osservato a lungo e abbiamo mai lungamente considerato, una per una, le immense sue sofferenze?
Mani, piedi, capo, corpo, anima, cuore, tutto fu straziato fino a farlo morire angosciato, di spasimo. E tutto ciò per noi!
Cosa ne abbiamo fatto noi, di questo Sangue suo? Davanti a Lui, immobilizzato per noi in un martirio che non si può ridire, come abbiamo corrisposto? Oh! Non siamo dissimili dai suoi carnefici e talora siamo stati peggiori di essi, poiché sapevamo noi che era Cristo e per chi soffriva, mentre essi non sapevano.
   Nessuno dice che l’amare Iddio fino in fondo in una fedeltà completa di ogni giorno, di ogni ora, non costi. Iddio purifica l’anima, poi piano piano le toglie tutto per rimpiazzare quel vuoto da solo, e questo non può farsi senza la nostra sofferenza.
    Quando il nostro cuore geme e si contorce sotto il dolore, quando l’anima nostra sorda, muta, si sente come dilaniare e spezzare, guardiamo il Crocifisso, guardiamolo a lungo: mai soffriremo per essergli fedeli come Egli soffrì per noi!
E abbiamo tanto peccato! Ed a Lui, immolato per avere il nostro affetto, abbiamo resistito tanto, immersi nella nostra viltà, nel nostro infame egoismo!
«Egli mi amò e diede se stesso per me!» (Ef 5,2). Non consideriamo la Passione del Redentore sofferta per tutta l’umanità, ma per noi personalmente, se vogliamo poter dire ancora con l’Apostolo delle genti: «Io sono inchiodato alla croce con Cristo» (Gal 2,19) perché io sento in me, amandolo, tutti i suoi dolori.
Teniamo cara la lotta per migliorarci, questo morire a noi istessi e a tutte le creature, questo «morire ogni giorno» (1Cor 15,31).
Lottiamo sempre, con forza piena d’amore, con forza robusta, ma tuttavia calma; diamo al Cristo, «morto per noi» il nostro quotidiano «morire per Lui».
Morire alle esigenze del cuore; morire alle soddisfazioni anche spirituali; morire nelle intime angosce dell’anima; morire anche nella mortificazione esterna, più o meno minuta ed afflittiva, ma continua: morire al nostro egoismo per il distacco da tutto, nella vigilanza, nella fedeltà, nella fatica, nelle veglie, nelle malattie che Dio ci manda; morire nel nascondimento e nella incomprensione e nella critica altrui.
Ma ricordiamo che «noi non moriremo mai per i colpi che ci daremo noi stessi», dice padre Grou. Lasciamo che Dio faccia di noi ciò che vuole; non chiediamo il dolore: presumeremo troppo di noi stessi. Solo abbandoniamoci a Dio! Egli ci toccherà con la sua Mano sapiente, Mano che conosce il punto giusto per questo lavoro di espiazione, purificazione ed avanzamento nostro.
E nella sofferenza immergiamoci nel silenzio: non raccontiamo il nostro soffrire: facciamone un segreto con il Diletto nostro e ricordiamo, se vogliamo “veramente amare”, che Lo ameremo veramente solo “sulla nostra croce”, in un’estasi ben dolorosa, ma che racchiude la nostra donazione a Lui.
Bisogna essere crocifissi per Lui, per amor Suo, per le anime.
Si parla, si scrive, si viaggia, ci si stanca per destare, rincorrere, convincere le anime, eppure siamo ancor più utili ad esse lavorando per santificarci e con la nostra sofferenza.
E ripetiamo i santi versetti pieni d’amore: «Anima Christi, sanctifica me! Sanguis Christi, inebria me!». E potremo aggiungere poi, come conseguenza della nostra donazione a Lui: «Intra tua vulnera, absconde me! Ne permittas me separari a Te!». E così sia!

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