Autore: Fabrizio Cannone (prefazione di Roberto de Mattei)
Edizioni Ares, 2012
Pagine: 440
Prezzo: € 24
La bibliografia su papa Pio IX è sterminata, ma nessuno finora si è occupato specificamente della sua vicenda agiografica. A tale carenza ha sopperito con questo documentatissimo libro, frutto di grande ricerca e duro lavoro, il prof. Fabrizio Cannone, firma di punta e a tutti nota del Settimanale di Padre Pio. Cannone, dopo aver esaminato la vita dell’ultimo Papa re e messa in luce soprattutto la santità dell’uomo Giovanni Maria Mastai Ferretti, affronta tutta la storia del suo lungo, tortuoso e discusso processo di canonizzazione che, specie negli anni seguenti al Concilio Vaticano II, è stato motivo di scontro tra gli ambienti progressisti (contrari) e quelli conservatori (favorevoli).
La vasta fama di santità di Pio IX e la corrispondente devozione alla sua figura erano già grandi durante la vita e ancor di più al momento della morte. Non è un caso che, già immediatamente dopo il decesso del Pontefice, le lettere che ne chiedevano la canonizzazione furono numerosissime. Particolarmente attivi in tal senso gli ambienti dell’intransigenza cattolica (basti pensare alla straordinaria opera del conte Giovanni Acquaderni, leader dell’Opera dei Congressi), che poi confluirono nel grande movimento antimodernista. Questa corrente di pensiero, col suo desiderio di «ricostruire una societas christiana ispirandosi al modello della cristianità medioevale, fu un appoggio stabile e sicuro alla causa di canonizzazione di Pio IX» (p. 303), visto indubbiamente come simbolo di un certo modo di intendere la Chiesa, di cui, ci permettiamo di aggiungere, vi sarebbe un gran bisogno pure oggi. Nonostante ciò, Leone XIII, pur non lesinando elogi pubblici al predecessore, non aprì la causa, probabilmente per non inasprire ulteriormente i rapporti con il neonato Regno d’Italia, pervaso, come si sa, di un forte anticlericalismo e un violento anticattolicesimo. Non ebbe remore invece san Pio X, che nel 1907 diede inizio al lungo iter che avrebbe portato Pio IX all’onore degli altari. L’impulso dato da papa Sarto alla causa di papa Mastai Ferretti si arrestò un poco, sempre per ragioni politiche, sotto i pontificati di Benedetto XV e Pio XI (sebbene il vice-postulatore san Luigi Orione si prodigasse molto per la glorificazione in terra del grande Papa), mentre riprese nuovo slancio con Pio XII.
Grande devoto di Pio IX fu Giovanni XXIII, che aveva intenzione di canonizzarlo alla chiusura del Concilio Vaticano II, «per dare un’interpretazione dello stesso assai diversa da quella dei settori progressisti. Al contrario si può dire davvero che il Papa buono mise il Vaticano II sotto il segno e la “protezione” di Pio IX» (p. 311). Ma fu proprio negli anni turbolenti del post-Concilio che la causa sembrò arenarsi. Se fino ad allora un documento come il Sillabo era stato visto come uno dei grandi meriti dell’ultimo Papa re, nel nuovo clima di aggiornamento permanente, di liberalismo imperante e di dialogo con il mondo esso rappresentava ormai un ostacolo alla beatificazione. La figura di Pio IX era diventata «un’ombra scomoda che da taluni si preferiva non solo non ricordare ma persino dimenticare o rimuovere» (p. 231). Tuttavia, Paolo VI, nel centenario della morte del suo predecessore, lo ricordò con elogi uniti a stima e affetto personali, puntualizzando tra l’altro che, nonostante i cambiamenti avvenuti nel mondo cattolico fossero di tutto rilievo, nessuna opposizione si doveva riscontrare tra la Chiesa di Pio IX e del Concilio Vaticano I e quella del Vaticano II. Papa Montini, nell’omelia pronunciata per l’occasione, ribadì la necessità di manifestare «quei sensi di viva riconoscenza che il pastore della Chiesa di oggi deve al pastore della Chiesa di ieri, che la Chiesa del Vaticano II deve alla Chiesa del Vaticano I, che tutto il popolo di Dio [...] deve a coloro – fedeli e pastori – che l’hanno preceduto» (cit. a p. 271). Queste parole di Paolo VI, unite ad altre numerose prese di posizione decisamente controcorrente e oggi forse poco ricordate, «costituiscono quasi un magistero parallelo alle sue grandi aperture e innovazioni in ambito ecumenico, liturgico e pastorale» (p. 266). Un magistero che gli attuali sostenitori “a oltranza” del Vaticano II e del suo presunto “spirito” farebbero bene a rileggere.
Infine, con l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni Paolo II, la causa di Pio IX è arrivata alla conclusione della prima tappa, la beatificazione del 3 settembre 2000. In quell’occasione, è stato proclamato beato anche Giovanni XXIII. Come fa notare Cannone, non si tratta di un dato di poco conto. Papa Wojtyla ha voluto lanciare un chiaro messaggio a tutti quei settori della Chiesa che si sono opposti alla beatificazione di papa Mastai Ferretti in nome della difesa del Concilio Vaticano II, mettendo in rilievo che quest’ultimo «non può essere assolutizzato a discapito dei concili precedenti e del loro insegnamento tradizionale» (p. 38). Secondo il prof. Cannone, quella scelta da Giovanni Paolo II è stata una linea «di vistoso “recentrage” sulla Tradizione» (p. 37). Beatificando Pio IX il Papa ha voluto affermare «che tutte le novità che sono state promosse dalla Chiesa negli ultimi 50 anni non intendono minimamente cancellare o misconoscere il precedente magistero ecclesiastico, ma debbono riceversi, dai fedeli cattolici, in stretta dipendenza e continuità da quello» (p. 320). Bisogna anche sottolineare, e lo fa il prof. de Mattei nella prefazione, che non si può scindere, nel Pontefice, tra dimensione privata e dimensione pubblica, perché «egli è stato beatificato innanzitutto per la virtù eroica dimostrata nello svolgere le funzioni caratteristiche del Papa, che sono quelle di pascere, reggere e governare la Chiesa universale» (p. 16). Da notare infine come, nonostante i numerosi miracoli attribuiti a Pio IX, ai fini della sua beatificazione la Congregazione per la cause dei santi abbia scelto, negli anni ’80, la guarigione di una suora francese figlia, cugina e nipote di zuavi pontifici: «Non si tendeva ancora una volta a legittimare la cultura del cattolicesimo intransigente e “antimoderno”, corrente di pensiero che pareva definitivamente superata dal post-Concilio?» (p. 239).