di San Tommaso d’Aquino - ESD, Bologna, 130 pp., 10 €
La figura di Tommaso d’Aquino non ha davvero più bisogno di presentazioni tra cattolici! Ha bisogno invece, l’Angelico Dottore, di essere conosciuto, di essere diffuso, di essere amato come un immenso portatore di sicurezza, di pace e di gioia. La pace è infatti la «tranquillità dell’ordine» (sant’Agostino), è l’armonia tra le parti di un corpo (come i cittadini in uno Stato), è la fraternità che lega o dovrebbe legare almeno i cristiani tra loro. E la gioia è la fruizione di questa vera pace cristiana in cui tutti esercitano i propri diritti e osservano i propri doveri, e dove ognuno vive più per il bene comune che per sé. Eppure...
La difficoltà dell’accesso a san Tommaso deriva anzitutto da due cause materiali, diverse e convergenti. La prima è, tradizionalmente, l’alto prezzo delle sue opere disponibili in libreria, specialmente la più nota tra tutte, la Summa theologiae. La seconda è la scarsa conoscenza, a livello di popolo di Dio, della logica del pensiero medievale, pensiero che anche nei licei è trattato in modo sommario e sintetico, quasi en passant tra l’antichità greco-romana (da Socrate e Plotino, da Aristotile a Seneca) e le magnifiche sorti progressive iniziate con l’Umanesimo e il Rinascimento.
Se invece i nostri liceali, assai numerosi oggi in Italia, ricevessero le giuste chiavi di lettura per comprendere la filosofia medievale e la scolastica (da farsi in parallelo con la storia politica e militare, la storia dell’arte e la storia della scienza), allora sono certo che san Tommaso tornerebbe presto in auge, come lo fu sempre, tra gli studiosi veramente profondi (anche eterodossi come Cartesio), negli ultimi 5 secoli.
Le Edizioni Studio Domenicano che ci hanno da poco offerto una nuova e magnifica edizione integrale e bilingue della Summa, da diversi anni stanno realizzando una bella collana di testi tomisti di facile accesso, sia per il prezzo che, tutto sommato, per il contenuto. Esemplari in tal senso i due libretti che intendiamo presentare ora.
Si tratta di due piccoli capolavori del grande Santo italiano che hanno lo scopo di spiegare in modo accessibile le verità di fondo del Cristianesimo. Spiegare delle verità di fede? Certamente, se, come insegna quel capolavoro di dottrina che è la Fides et ratio di san Giovanni Paolo II, l’uomo ha bisogno della fede e della ragione per vivere. Non quindi “o si crede o si pensa” (Schopenhauer), ma credere pensando. Credere infatti è ragionare assentendo: chi non pensa (come gli animali) non può credere e chi non crede pensa male.
Nell’introduzione l’ottimo padre Carbone nota che Tommaso «aveva due ottimi motivi per commentare il Credo. Innanzitutto era un frate predicatore: dall’età di circa 18 anni, cioè dall’aprile del 1244, era entrato nell’Ordine dei Predicatori [...], comunità che aveva come scopo istituzionale la predicazione di Gesù Cristo [...]. In secondo luogo era un maestro in Sacra Scrittura, oggi diremmo un professore universitario di teologia» (p. 7). Ciò nonostante fra’ Tommaso «commenta il Credo, non tanto per la [allora esigua] popolazione universitaria, ma per i fedeli comuni presenti in una chiesa o in una piazza» (p. 8).
Tale Commento al Credo, ricorda il curatore, «è testimoniato da quasi 150 manoscritti, si direbbe un vero bestseller del Medioevo» (p. 8). Spesso il testo era unito a delle prediche, tenute forse a Napoli, le quali ora sono state riedite col titolo di La Legge dell’amore. Tommaso per spiegare al popolo i misteri della Fede «usò la lingua volgare» (p. 9); il testo fu poi tradotto in latino per la lettura dei dotti.
In modo simile a quanto il Maestro farà con i suoi trattati più impegnativi, il metodo di Tommaso è preciso: «Innanzitutto dopo una breve introduzione, spiega sommariamente l’articolo di fede, quindi tratta degli errori contrari e delle eventuali obiezioni ad esso, poi confuta questi errori e queste obiezioni, poi illustra i benefici spirituali che derivano al credente dal mistero della fede commentato, e infine conclude con una preghiera rivolta a Dio» (p. 11). In un Commento non lungo al brevissimo Credo degli Apostoli in 12 articoli, l’Angelico cita il Nuovo Testamento almeno 200 volte e molte volte anche l’Antico Testamento, specie i Salmi (cf. pp. 12-13). Ma da certuni ancora si insegna che la teologia medievale, fondata com’era su Aristotele e Platone, era per questo poco biblica e che anzi bisognerebbe attendere il pieno XX secolo per avere una teologia inculturata nella Parola!! Idiozie abbondantemente (sebbene inutilmente) confutate dai fatti: pochi d’altra parte sono gli esegeti della Bibbia che raggiungono la comprensione e la coerenza esplicativa di san Tommaso.
L’altro libretto riporta le conferenze e i sermoni che fra’ Tommaso d’Aquino tenne a Napoli o forse a Roma, Orvieto e Viterbo sulla carità e i 10 Comandamenti. Bello il legame tra carità e legge morale, sintetizzata dal Decalogo il quale, non dimentichiamolo mai, Dio stesso diede a Mosè e Gesù, da parte sua, non è venuto a cambiare neppure di uno iota. Se infatti vogliamo avere la carità vera, che supera infinitamente la solidarietà laico-mondana, dobbiamo sforzarci per seguire tutti i precetti del Decalogo, nessuno escluso. Ma conoscere a memoria le dieci parole del Sinai, benché importante, non basta: le leggi divine, per essere osservate nella loro pienezza e senza formalismi, debbono essere ben comprese (e spesso non accade, neppure a persone per altro devotissime). Un solo esempio. Il Quinto Comandamento pare chiaro e senza eccezioni: Non uccidere! Ma san Tommaso ne mostra le cattive letture che, se al suo tempo già esistevano, certamente oggi sono aumentate (pensiamo all’aborto e all’eutanasia legalizzati come se non fossero omicidi belli e buoni). Secondo l’Angelico ad esempio «non è peccato usare di quelle realtà [anche viventi] che sono sotto il potere dell’uomo» (p. 85): e ciò valga contro vegetariani e animalisti. Una cosa è salvare il panda in quanto animale piacevole da vedersi e che potrebbe scomparire; altra cosa è dire che l’uomo è colpevole moralmente se alcune specie non esistono più. Mi dispiacerebbe se scomparisse il nobilissimo lupo siberiano, ma non possiamo farne un dramma!
Poi san Tommaso scrive: «Altri hanno detto che questo precetto proibisce in qualsiasi modo l’omicidio, per cui dicono che sono omicidi i giudici secolari che irrogano la condanna capitale». In realtà, «è lecito uccidere a coloro che ne hanno il mandato da Dio, perché in tal caso è Dio che lo fa» (p. 86). Quindi il non uccidere non è un peccato ex toto genere suo, valido semper et pro semper, altrimenti anche la legittima difesa sarebbe peccato. Ma questo quanti lo sanno? Altri poi interpretavano (e interpretano) il Comandamento come fosse rivolto verso gli altri ma non verso se stessi, giustificando il suicidio (e l’anoressia, l’uso di droghe, l’alcoolismo, lo sciopero della fame, ecc.), il che è erroneo.
Alcuni esempi, ma di grande attualità, che mostrano come lo studio dei Padri della Fede ci aiuta moltissimo a dirigerci bene hic et nunc nella selvaggia agorà del mondo contemporaneo.