Due fenomeni naturali così diversi, accomunati da uno spazio di misterioso irreale silenzio prima della grande catastrofe: la fine di una stella e uno tsunami... Quel silenzio sospetto e premonitore, alla luce delle realtà spirituali, ha un suo preciso e drammatico significato.
Il maremoto verificatosi nell’Oceano Indiano il 26 dicembre 2004 è stato uno dei più terribili cataclismi dell’epoca moderna. Dopo dieci anni dall’evento sembra assodato che il bilancio delle vittime si aggiri intorno alla spaventosa cifra di 220.000 morti!
Ebbene per gli sfortunati testimoni di questa immane catastrofe tutto è iniziato alle ore 00:58:53 UTC, quando un violentissimo terremoto – con una magnitudo momento di 9,3 – ha colpito l’Oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale di Sumatra (Indonesia). Quelli che erano sulla riva del mare cullati dal dolce sciabordio delle onde che si infrangevano sulla battigia hanno assistito ad un fenomeno stranissimo: il rumore del mare prima si attenuò e poi scomparve del tutto lasciando il posto ad un innaturale silenzio. Dopo un po’ le acque marine iniziarono a ritirarsi scoprendo il fondo sabbioso fino ad una distanza di 100 metri ed oltre, tant’è vero che molti iniziarono a raccogliere mitili e vongolette passeggiando semplicemente nella zona che prima era ricoperta dal mare. Immaginate lo sbigottimento ed il terrore quando il grande silenzio che si era formato venne sopraffatto da un rumore di tuono e un’onda gigantesca alta 30 metri e ruggente come una carica di cavalleria avanzò dall’orizzonte con una velocità spaventosa. L’impatto che ne derivò con la riva e con le persone fu impressionante e catastrofico: un muro d’acqua alto come un palazzo di dieci piani e scuro come la pece spazzò via tutto: si ritrovarono imbarcazioni e cadaveri di bagnanti fino a 10 Km nell’interno della costa. Tutt’intorno morte e desolazione: quello che pochi minuti prima era un residence di gran lusso immerso in un paradiso tropicale di palme e di vegetazione lussureggiante fu trasformato in un attimo in un inferno di metallo e di cemento urlante. Automobili e segnali stradali, impalcature di legno, tetti, staccionate e pali elettrici furono divelti dal suolo portati in alto e poi scaraventati sulla terra con una violenza indescrivibile in un vortice di macerie indistinte. Si passò in un pugno di minuti dal paradiso all’inferno ma... tutto fu anticipato e preceduto da quello strano fenomeno: improvvisamente la natura taceva, le cose si fermavano, tutto era immerso in un grande, innaturale, silenzio.
Adesso, anche se l’operazione può sembrare avulsa e scollegata da quanto precedentemente descritto, portiamoci con la fantasia ai momenti che precedono la fine di una stella paragonabile al nostro Sole. Quando nel nucleo cessa completamente la fusione del combustibile nucleare, la stella può seguire due diverse vie a seconda della massa. Se ha una massa minore di quella solare, la stella morente dà luogo ad una nana bianca di elio senza alcuna fase intermedia, espellendo gli strati esterni sotto forma di vento stellare. Se invece la sua massa è compresa tra 0,5 ed 8 masse solari, si generano delle violente pulsazioni termiche all’interno dell’astro che causano l’espulsione dei suoi strati più esterni in una sorta di “supervento”. I gas espulsi vanno a costituire una nebulosità in espansione, la nebulosa protoplanetaria prima e planetaria poi, al cui centro rimane il cosiddetto nucleo della nebulosa planetaria (PNN, dall’inglese Planetary Nebula Nucleus), che diverrà poi la nana bianca.
Se – dobbiamo dire malauguratamente – una astronave si trovasse in prossimità di questa stella, a che cosa assisterebbero gli ignari viaggiatori dello spazio? Vedrebbero l’atmosfera rovente e turbinosa dell’astro collassare su se stessa avvolgersi in volute di gas e precipitare verso il nucleo stellare. Dove un attimo prima c’era una marea di fuoco si farebbe un improvviso vuoto, dove prima arrivavano le vampe di combustibile nucleare percorse da colossali onde d’urto sonore si farebbe un subitaneo silenzio, la stella prima enorme si contrarrebbe in un astro bianchissimo delle dimensioni della terra! E, dopo una frazione di minuti, seguirebbe un’immane esplosione di “supervento” stellare: un vero e proprio Tsunami cosmico! Tutto intorno sarebbe spazzato via, pianeti orbitanti, comete, asteroidi, astronavi e quant’altro si trovasse alla distanza di meno di un miliardo di Km dalla nana bianca sarebbe disintegrato, arso, annichilito, ridotto a molecole.
Cosa hanno in comune questi fenomeni naturali così “dimensionalmente” diversi? Uno sulla Terra, minuscolo pianeta, e uno nello spazio siderale quasi sconfinato? Ebbene in entrambi i casi pare che la natura faccia precedere un’immane catastrofe da una sorta di “grande silenzio”. È come se l’atmosfera del luogo si assopisse e quasi si raccogliesse su se stessa come una tigre prima di un balzo, per poi dare sfogo ad un evento altamente energetico, alla liberazione di una energia potenziale impressionante.
Sappiamo che le cose visibili seguono in modo allegorico e figurato le realtà invisibili dello spirito e certamente l’arrivo di un maremoto o l’esplosione di un astro osservabile con i nostri telescopi a decine di anni luce di distanza, ci ricordano che noi uomini siamo (fisicamente parlando) ben poca cosa nell’Universo. Nel libro della Sapienza si legge: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile» (18,14).
Lo scoppio dell’ira di Dio, dunque, sarà preceduto da un grande, profondo, pesantissimo silenzio. San Giovanni apostolo così intravede la scena apocalittica dell’arrivo del castigo finale: «Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora. Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe. I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle. Appena il primo suonò la tromba, grandine e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla terra. Un terzo della terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde si seccò. Il secondo angelo suonò la tromba: come una gran montagna di fuoco fu scagliata nel mare. Un terzo del mare divenne sangue, un terzo delle creature che vivono nel mare morì e un terzo delle navi andò distrutto. Il terzo angelo suonò la tromba e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque. La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono per quelle acque, perché erano divenute amare. Il quarto angelo suonò la tromba e un terzo del sole, un terzo della luna e un terzo degli astri fu colpito e si oscurò: il giorno perse un terzo della sua luce e la notte ugualmente. Vidi poi e udii un’aquila che volava nell’alto del cielo e gridava a gran voce: “Guai, guai, guai agli abitanti della terra al suono degli ultimi squilli di tromba che i tre angeli stanno per suonare!”» (Ap 8,1ss).
Che cosa tremenda l’ira di Dio! Non mancano terremoti, maremoti, cataclismi e stelle che investono la Terra seminando morte e distruzione. Ma perché il Signore fa precedere tutto questo da una sorta di oblio doloroso, dal soffocamento di ogni suono, dall’ovattato quietarsi d’ogni cosa che si muove? Il silenzio è certamente l’interruzione di un dialogo, di un rapporto, di uno scambio di informazione tra Creatore e creature. È la fine drammatica dell’epoca della misericordia, è il sottile diaframma che separa la pazienza di Dio, la sua infinita tolleranza protratta per secoli e millenni dallo scatenamento inesorabile ed implacabile della sua collera. Quando tra due persone finisce un amore si dice: «Non abbiamo più niente da dirci, tra di noi solo silenzio...». Ebbene il culmine dell’abominio della desolazione sarà raggiunto quando gli esseri umani cesseranno di parlare con Dio, quando la preghiera non salirà più al Cielo come l’incenso nell’aria azzurra, quando i cuori degli uomini si saranno chiusi come macigni freddi ed impenetrabili in un ostinato mutismo, arrovellati e perduti nei loro pensieri umani. Quando perfino l’Eucaristia non sarà più il segno del Sacrificio divino ma un dimenticato orpello nei Tabernacoli... Allora, e solo allora arriverà la fine.
Siamo lontani da tutto ciò? O ne siamo invece terribilmente vicini? Come leggere i segni indistinti e contraddittori dei tempi presenti che ci vedono sempre più muti, angosciati e sgomenti di fronte ad una Volontà divina che non sappiamo più comprendere, decifrare, che non sappiamo più accettare? Il senso del peccato, perfino. Abbiamo smarrito il senso del peccato. Vorremmo anteporre il nostro giudizio a quello del Signore. Vorremmo arrogarci – antica tentazione dell’Eden – il diritto di decidere da noi stessi ciò che è bene e ciò che è male. Non facciamo altro che offendere il Signore che è già troppo offeso. E questa è l’anticamera del silenzio, di un grande silenzio.