Quale più gloriosa e insieme più affascinante memoria di quella di questo santo e amabile Vescovo in cui la forza del leone si unì alla dolcezza della colomba? Invano sono passati i secoli su questa memoria: essi non hanno fatto che renderla più viva e più cara.
La sua famiglia – la gens Aurelia – era aristocratica e romana, forse di origine greca. Il padre era diventato prefetto della Gallia sotto l’imperatore Costantino, e lui, proprio per questo, era nato a Treviri nel 338 o 339 (questa la data più sicura). Lo chiamarono Ambrogio come suo padre, ma non fu subito battezzato. Venne tuttavia educato cristianamente senza però che approfondisse troppo la sua istruzione. Nel 353, morto il padre, Ambrogio quindicenne ritorna a Roma: la notte di Natale di quell’anno, la sorella Marcellina fa professione di perpetua verginità nella Basilica di San Pietro, davanti a papa Liberio.
Come i giovani del suo rango, Ambrogio studia grammatica e retorica, appassionandosi a Cicerone e a Virgilio. Tra il 361 e il 365 si reca a Sirmio per iniziare il cursus honorum, la sua carriera politica. Nel 370 è eletto consularis e mandato a reggere le province del Nord-Italia, con sede a Milano. In anni difficili, anche per gli scontri tra cattolici e ariani, Ambrogio esercita la sua magistratura in modo equo e paterno, in modo da diventare il punto di riferimento di molti.
“Ambrogio Vescovo!”
Nel 374 muore Aussenzio, “vescovo” ariano della città. Gli ariani negavano la divinità di Gesù Cristo ed erano stati condannati al Concilio di Nicea (325): se avessero prevalso, sarebbe stato lo sfascio del Cattolicesimo. Ma questo non può avvenire. Il dibattito per l’elezione del nuovo vescovo è subito tumultuoso e Ambrogio, prefetto della città, si preoccupa di mantenere l’ordine. Recatosi in chiesa, un fanciullo grida: «Ambrogio vescovo!». Tutto il popolo – che lo stima assai – ripete il grido: «Ambrogio vescovo!».
Lui fa di tutto per rifiutare: non è preparato, è sì, cristiano di animo, ma non è ancora stato battezzato... Ma i vescovi e il papa Damaso, l’imperatore Valentiniano, approvano. Il 30 novembre 374, Ambrogio riceve il Battesimo e... incredibile a dirsi ma vero, il 7 dicembre è consacrato vescovo. Ora Milano ha un vescovo cattolico, in piena comunione con Gesù, Figlio di Dio, e con il Papa.
Comincia con un impegno umilissimo: si mette a studiare sotto la guida del dotto prete Simpliciano la Sacra Scrittura e gli Autori di Teologia: Atanasio, Origene, Basilio... Ha una capacità di concentrazione straordinaria e dedica tutto il tempo che può allo studio e alla preghiera per sé e per il popolo che deve pascere con il Vangelo, con l’Eucaristia e l’azione di governo, che vuole difendere dall’eresia degli ariani, senza mai cedere di una virgola nella Verità.
Vengono tutti a interpellarlo su tanti problemi. Ambrogio si aggrappa stretto a Gesù, nel Quale sa di trovare tutto. Assai presto diventa predicatore di Gesù con un’eloquenza calda e suadente, con formule forti ed efficaci che penetrano nelle anime come dardi infuocati. Lavora per riportare alla Chiesa, in primo luogo, i preti ariani, illustrando in profondità il mistero di Gesù Cristo: tra il 378 e il 382 divulga il frutto del suo insegnamento nei trattati Sulla fede, Sullo Spirito Santo, Sull’incarnazione del Signore. Nel 381 partecipa al sinodo di Aquileia, indetto dall’imperatore Graziano, per deporre due “vescovi” ariani, Palladio e Secondino, e il prete Attalo, i quali, sottoposti a stringenti interrogatori da Ambrogio, devono cedere.
Ma l’imperatore Graziano viene ucciso e il suo successore, Valentiniano II, appena dodicenne, è sotto l’influsso della madre, Giustina, ariana. In Gallia c’è però un usurpatore che fa la voce grossa, Massimo. Nell’inverno tra il 383 e il 384, Ambrogio va in Gallia a sostenere Valentiniano e vincolarlo alla Chiesa Cattolica. Intanto a Roma, il prefetto Simmaco vorrebbe ripristinare alcuni culti pagani, d’accordo con il senato. Ambrogio interviene con una lettera imperiosa e fiera per invitare Valentiniano a non cedere alla richiesta. Il quale non cede, perché ormai, la gloria di Roma è soltanto Gesù Cristo, non gli dèi falsi e bugiardi.
Ma ecco, nella primavera del 386, gli ariani, a Milano, sostenuti dalla curia imperiale, vorrebbero per sé la Basilica Nova al centro della città. Ambrogio risponde: «Un sacerdote di Dio non può consegnare ad alcuno il suo tempio». I cattolici milanesi si stringono attorno al Vescovo e lo sostengono, anche quando ai commercianti sono imposte nuove tasse per staccarli da lui; anche quando le chiese vengono strette d’assedio per essere occupate.
Ambrogio, a capo del suo popolo, radunato in assemblea, insegna loro meravigliosi inni a Gesù, da lui composti: si canta, si prega, fino a quando il 2 aprile 386, Giovedì Santo, le truppe imperiali si ritirano tra la gioia del Vescovo e dei suoi “figli”. L’anno successivo, 387, al Sabato Santo, Ambrogio, durante la veglia pasquale, ha la gioia di battezzare un illustre professore di 33 anni, originario dell’Africa, Agostino: presto sarà vescovo d’Ippona, Dottore della Chiesa e grande santo.
Pastore e padre
Già si vede come abbia una grande cura della preghiera liturgica, così che da lui discende il rito ambrosiano, tuttora vigente nella sua diocesi. Uomo di preghiera intensa, i suoi prediletti sono i poveri che trovano in lui un padre vero, un difensore strenuo. In un tempo di povertà, in cui i poveri aumentano per i soprusi dei pochi abbienti e per l’usura che li strozza (un po’ come oggi!) Ambrogio interviene con generosità di sua tasca e scrivendo tre libretti (De Nabutha, De Tobia, De Helia), in cui grida: «Tu non dai del tuo al povero, ma gli rendi il suo». E ancora: «Che c’è di più crudele che dare il denaro e poi esigerne il doppio?».
Lavora intensamente per la formazione dei suoi sacerdoti e dei diaconi e li vuole dotti e pienamente conformi a Gesù, ospitali, affabili, di una purezza incontaminata, riflessivi e oranti. Fin dall’inizio del suo Episcopato, ha una grandissima cura della vita consacrata: le vergini, cui dedica un meraviglioso trattato, indicano in modo singolare Gesù Vergine e Agnello immacolato, vivo nella sua Chiesa. Promuove il culto dei martiri, scoprendo e diffondendo le loro reliquie, a Milano, a Bologna... Pensiamo ai martiri Gervasio e Protasio, a Vitale e Agricola. Sono essi l’immagine più autentica di Gesù Crocifisso che ha dato la vita per la Verità, in espiazione del peccato del mondo.
Vescovo della Chiesa, non teme l’autorità di alcuno; rispetta l’imperatore ma non teme di insegnare a vivere il Vangelo in tutte le sue esigenze, anche le più scomode. Nel 390 a Tessalonica l’imperatore Teodosio ordina un massacro di popolo con 7.000 vittime! Quando Teodosio rientra a Milano (allora era una delle capitali dell’impero), Ambrogio gli ordina di non entrare in chiesa (in pratica è la scomunica) se prima non fa pubblica penitenza per il delitto. L’uomo allora più potente della terra, subito recalcitra; poi vestito da pubblico penitente, chiede perdono a Dio e alla Chiesa, davanti a tutti, sulla piazza a Milano ottenendo il perdono per il Natale del 390.
«Veramente grande la figura di questo Vescovo e straordinariamente efficace l’opera che egli svolge per Chiesa e la società del suo tempo». «Al centro della sua vita, sta Gesù Cristo, ricercato e amato con intenso trasporto. A Lui tornava continuamente il suo insegnamento. Su Gesù si modellava pure la carità che proponeva ai fedeli che testimoniava di persona».
“Cristo è tutto per noi”
Le pagine e le prediche che Ambrogio dedica a Gesù sono di una mirabile bellezza, di una commovente fede e profondità e dimostrano apertamente la sua stupenda familiarità con il Redentore, la sua affezione a Colui che è tutto per la sua vita, per la Chiesa e per il mondo.
«Del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, Ambrogio parla con l’ardore di chi è stato letteralmente afferrato da Cristo e tutto vede nella sua luce». «Di qui fioriscono gli appellativi del Redentore che lo tratteggiano nella sua grandezza e benevolenza». Gesù si è fatto tutto a tutti, è il fondamento di tutte le cose e il Capo della Chiesa, la sorgente della vita, il Re e il Mediatore, il Sole di giustizia, luce, fuoco, via, gioia, l’Unico in cui possiamo gloriarci, povero e crocifisso per noi, nostro compagno, il nostro tesoro, la nostra via, la nostra sapienza, la nostra santità, la nostra vita. «Tu vedi – dice sant’Ambrogio – quanti beni ci sono dati in un solo bene».
Gesù lo si trova, prima di tutto, nella Santa Messa: «Dopo la Consacrazione – spiega Ambrogio – ti dico che ormai c’è il Corpo di Cristo... Allora vivi in modo da esser degno di riceverlo ogni giorno». Noi siamo chiamati a diventare una cosa sola con Lui mediante la sua inabitazione in noi: «Entri nella tua anima Cristo, abbia dimora nei tuoi pensieri Gesù, per togliere ogni spazio al peccato». A Lui occorre accostarsi con l’anima di Maria, Madre di Gesù, immagine della Chiesa e modello di ogni credente: «Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio».
Ma forse il vertice più alto del suo amore a Gesù, Ambrogio lo tocca quando nel De virginitate (16, 99) scrive: «Cristo è tutto per noi. Se vuoi curare le ferite, Egli è Medico; se sei riarso dalla febbre, Egli è fontana; se sei oppresso dal peccato, Egli è santità; se hai bisogno di aiuto, Egli è la forza; se temi la morte, Egli è la vita; se desideri il Cielo, Egli è la via; se fuggi le tenebre, Egli è la Luce; se cerchi il cibo, Egli è l’alimento». Dunque, non resta che una cosa da fare: «Noi ti seguiamo, Signore Gesù, ma chiamaci perché ti seguiamo: senza di Te, nessuno potrà salire. Tu sei la Via, la Verità, la Vita, il premio. Accogli i tuoi: sei la via; confermali: sei la verità; vivificali: sei la vita».
Per quanto ne sappiamo, ci sembra il più cristocentrico dei Padri della Chiesa, proprio quanto abbiamo bisogno di essere oggi: ritrovare Gesù, vivere di Gesù, farlo conoscere e amare, con passione, con la follia dei santi.
«Il mio Gesù», come scrive in una lettera (Epistolario, n. 40), è la ragione per cui l’antico Consolare eletto vescovo era vissuto e l’infaticabile Pastore avrebbe lavorato fino all’ultimo quando, pochi giorni prima di morire, «vide il Signore Gesù venire a Lui e sorridergli» – come scrive il suo biografo Paolino. Era l’alba del Sabato Santo 4 aprile 497, e Ambrogio lo accoglieva orante, con le braccia aperte, a forma di croce.