RELIGIONE
Cattolici “praticanti”?
dal Numero 46 del 23 novembre 2014
di Pierpaolo Maria Scalco

L’onesta riflessione ci spiega “chi” sono, la statistica cerca di dirci “quanti” sono, ma solo l’esperienza di ieri e di oggi ci insegna “come” e “dove” ritrovarli.

Come potremmo definire il “cattolico”? O meglio, chi può dirsi cattolico? Può certamente dirsi cattolico, chiunque creda tutto ciò che la Chiesa Cattolica insegna; chi cioè accoglie la Rivelazione divina, la quale ci viene trasmessa mediante la Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero[1].
Evidentemente dire “credente non praticante” è una contraddizione in termini. Il credere infatti comporta necessariamente delle conseguenze pratiche: se io credo che Gesù è Dio e che ha detto, fatto, insegnato e comandato determinate cose, io queste cose le osservo. Se non ci credo, non le osservo. Ergo: se non le osservo, non ci credo (salvo il caso di quelli che sant’Alfonso de’ Liguori chiama i veri pazzi, coloro cioè che pur sapendo di offendere gravemente il loro Creatore, e di meritarsi così giustamente la condanna eterna, continuano nella loro vita perversa).
Ma cosa vuol dire invece essere un cattolico praticante?
Oggi si ha una nozione molto riduttiva, e assolutamente insufficiente, di cattolico praticante. Comunemente parlando infatti si pensa a coloro che vanno a Messa la domenica e le feste di precetto. Ma questo adempimento, certamente essenziale, non costituisce che l’osservanza di uno solo dei ben Dieci Comandamenti che ogni uomo, e con maggior responsabilità ogni cattolico, deve rispettare. Ad essi poi devono aggiungersi anche i Cinque Precetti della Chiesa.
L’osservanza di tutte queste norme è obbligatoria, in quanto esplicitamente o implicitamente comandata da Nostro Signore Gesù Cristo. Ne risulta che chi, in modo abituale, non conforma la propria vita ad anche uno solo di questi precetti, non può dirsi praticante. Costui rompe così l’alleanza stabilitasi tra se medesimo ed il suo Creatore, ne guasta e disprezza l’amicizia e si trova così come staccato dal suo Corpo Mistico che è la Chiesa (Cattolica[2]).
L’equivoco sull’equiparazione del cattolico praticante con la persona che va a Messa la domenica, oltre che alla perdita o corruzione della fede, può essere in parte dovuto al fatto che, per le singole persone come per le istituzioni, il modo più facile e veloce per poter ottenere delle statistiche che indichino la partecipazione dei fedeli alla vita di fede, sia proprio quello di contare le persone che vanno a Messa.
Le statistiche, frutto di inchieste e sondaggi, sono varie e disparate. A proposito dell’Italia, per fare un esempio, qualcuna riporta un 10%, qualche altra un 20 o 25%. In realtà le cose cambiano davvero molto, a seconda della zona sondata. Se è vero che in certe aree la percentuale può ben appressarsi anche ad un 20-30%, è altrettanto vero che in altre come Roma, che è il cuore della Cattolicità, si vede in chiesa ben meno del 5%[3].
Tra le persone che vanno a Messa, però, quanti osservano gli altri Comandamenti? I giovani che vediamo nelle chiese, anche quelli che fanno parte di gruppi parrocchiali, non si comportano forse in tutto e per tutto come il resto della società contemporanea? Non hanno anch’essi rapporti al di fuori del Matrimonio? Non usano anch’essi, dentro e fuori del Matrimonio, i contraccettivi? Non vanno anch’essi in discoteca o in altri luoghi dove non c’è che invito al peccare? Non mancano nemmeno quelli che si macchiano col delitto dell’aborto. Pochi, davvero pochi, si accostano alla Comunione credendo di ricevere davvero il Corpo e il Sangue di Cristo. Pochissimi credono sul serio che Dio si è incarnato in un Palestinese di 2000 anni fa, che poi è realmente uscito dalla tomba e asceso al Cielo. E questo non riguarda solo i giovani ma anche gli anziani.
Già! Gli anziani! La gran parte delle persone che vengono a Messa sono anziane. Tra 10, 15 anni non ci saranno più nemmeno loro, e le chiese rimarranno realmente deserte.
I Pastori della Chiesa, che da tempo sono consapevoli della riduzione del numero dei “veri” cattolici, sembra non sappiano far altro che moltiplicare le iniziative pastorali in cui l’unico scopo sembra quello di voler radunare il “Popolo di Dio”. «Il Popolo di Dio? – diceva un anziano sacerdote all’omelia –, ma dove sta ‘sto Popolo di Dio? Sono tutti fuori (dalla Chiesa) a vivere in peccato mortale». In effetti, solo perché si riesce a riempire una o due volte all’anno la cattedrale (o la città), alcuni si illudono di aver fatto il proprio dovere, che tutto vada bene, che ormai è fatta e la fede sta ripartendo. E invece le cose stanno andando sempre peggio.
Ma allora che dobbiamo fare? Disperarci? No. Le cose non vanno male dappertutto. Dove la Dottrina dogmatica e morale è insegnata, nella predica come nel confessionale; dove al fedele viene mostrata la bellezza e la ricchezza della spiritualità cristiana, che a tutti, solo che si impegnino, si dispiega fin anche all’esperienza dell’unione mistica con Dio; dove le anime, a partire dai sacerdoti, si corroborano con l’abbondante preghiera e la cristiana mortificazione, proprio là, e solo là, ecco che i fedeli crescono di numero e di qualità. La Chiesa e il suo Sposo non soffrono di sterilità. Sono gli uomini che, infedeli e sempre pronti ai compromessi, ne provocano l’infecondità.

[1] Cf. Dei Verbum, n. 10.
[2] Oggi bisogna specificare...
[3] Le parrocchie romane contano, di norma, non meno di 15.000 anime. Le chiese hanno banchi per 150-200 posti (300 per le più capienti), che spesso sono per la maggior parte vuoti. Mettiamo che il parroco, quasi sempre anziano, riesca a dire 3 Messe, e mettiamo che i banchi di una chiesa capiente (250 posti?!) siano pieni (sono ipotesi non realistiche ma che aiutano a rendere l’idea). Ebbene, anche a queste condizioni “ottimali”, solo un 750 persone andrebbero a Messa la domenica, e anche se la parrocchia non avesse che 15.000 anime, nemmeno così si supererebbe il 5% di frequenza.

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