SORRIDENDO SI IMPARA
Il selvaggio “Venerdì”
dal Numero 45 del 16 novembre 2014
di Fabio Trevisan

Venerdì è un personaggio del famoso romanzo “Robinson Crusoe”. Le sue domande primitive, ma pertinenti mostrano che anche l’uomo meno istruito è capace di intuire l’importanza delle questioni riguardanti la propria esistenza e quella di Dio.

«Ma se Dio star più forte e potente di diavolo, perché non ammazzar diavolo e così finir sua cattivezza?».
Questo interrogativo posto dal selvaggio Venerdì al naufrago Robinson Crusoe nel capolavoro di Daniel Defoe (1660-1731) ci fa comprendere sorridendo che la natura semplice ed essenziale di un uomo, seppur primitivo, è capace di cogliere l’importanza delle questioni riguardanti il suo fine ultimo, dell’esistenza di Dio e del demonio.
La caratura del personaggio di Venerdì (dal nome del giorno dell’incontro con Crusoe sull’isola deserta) è stata narrata dallo Scrittore londinese con particolare accento alla sua possibilità di stupirsi e di interrogarsi, dagli affari minuti alle grandi questioni teologiche ed esistenziali. Dopo aver salvato dal naufragio quelle piccole cose indispensabili alla sua sopravvivenza non solo materiale (orologio, libro mastro, penna e calamaio), il marinaio Robinson, fuggito dalla casa paterna all’età di diciannove anni, era approdato su quell’isola dove visse per ben ventotto anni, in compagnia prima di un pappagallo parlante e poi del già menzionato Venerdì, che fu liberato da Crusoe dalla prigionia di aborigeni cannibali. Lo stesso Defoe fu fatto prigioniero nel carcere di Newgate e dovette subire la gogna pubblica per aver diffamato la Chiesa Anglicana d’Inghilterra, tanto che persino un suo libro: La via più breve per i dissenzienti del 1702 fu addirittura arso al rogo.
Nel Robinson Crusoe del 1718, quando Defoe aveva ben 58 anni, egli miscelò sapientemente fatti di cronaca reale (dal 1704 al 1709 un marinaio scozzese, Alexander Selkirk, naufragò sull’isola Agua Buena nell’arcipelago di Juan Fernandez in Cile) a finzioni letterarie, generando il prototipo del romanzo moderno, fatto di avventure sensazionali un po’ esotiche ed al contempo annotate come un diario di viaggio. Anche se il suo capolavoro fu scritto, a seconda di molti, per la necessità di pagare i debiti, non va trascurato che gli elementi di freschezza narrativa ne hanno fatto giustamente fin dagli inizi un autentico best-seller, tanto che lo stesso Defoe proseguì, senza la fortuna arrisa al primo, la saga di Crusoe con altri due romanzi (Ulteriori avventure di Robinson Crusoe e Riflessioni serie di Robinson Crusoe).
Ritornando al romanzo di successo, per comprendere l’esatta portata delle questioni dottrinali e teologiche riferite soprattutto alla catechesi di Crusoe a Venerdì, non va dimenticato che Daniel Foe (il “De” fu aggiunto dallo Scrittore intorno al 1703) scelse di non diventare pastore presbiteriano non assecondando le indicazioni e la volontà del padre, James Foe.
Il proposito buono di Robinson Crusoe nel romanzo era quello di insegnare la lingua inglese e iniziare Venerdì alla Fede cristiana: «Dopo avergli parlato un gran pezzo dell’onnipotenza di Dio, della sua avversione al peccato [...] dopo tali cose era venuto a dirgli in qual modo il demonio nemico di Dio si stanziasse nei cuori degli uomini e praticasse ogni malizia per disfare i buoni disegni della Provvidenza, rovinando il regno di Cristo su questa terra». La prontezza di intelletto e la vivacità intuitiva di Venerdì ci fa sobbalzare, con Robinson Crusoe e lo stesso Defoe, come dinanzi alla risposta candida ed evidente di un bambino alle prese con la razionalità del Dogma cristiano: «Riservarsi all’ultimo di punire il diavolo? Me non capire. Perché non ammazzarlo adesso? Non forse gran cattivo abbastanza per ammazzarlo?».

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