Appartiene ad una oscura setta, è un professore brillante, frequenta i salotti della duchessa, il successo è il suo pane quotidiano. Ma poi, un terribile lutto e la persecuzione: la sua vita è scossa, si aprono finalmente gli occhi della sua anima... può giungere un uomo simile al Sacerdozio?
In Spagna, nella seconda metà del XIX secolo, a capo degli intellettualisti più razionalisti, si segnalò Giuliano Sanz del Rio, il quale si fece propagatore di una filosofia imprestata dal tedesco Karl Krause, da cui “il Krausismo”, corrente di pensiero e di vita vissuta nell’ateismo, diventata assai vivace proprio in terra iberica.
Il Del Rio si era formato in casa un suo gruppo di discepoli che lui guidava più di un direttore spirituale. Di costoro, Marcelino Menendez y Pelayo ci ha lasciato un quadro in questi termini: «I krausisti sono una loggia, una tribù, un circolo di illuminati, una consorteria, qualcosa di tenebroso e di ripugnante a chi li incontra, per uno spirito indipendente. Quando comandavano, si distribuivano le cattedre come un bottino di conquista. Tutti parlavano allo stesso modo, tutti vestivano alla stessa maniera, tutti si rassomigliavano, perché il krausismo è cosa che imprime il carattere e modifica finanche le fisionomie, assomigliandole a quella di Sanz del Rio. Tutti erano tetri, aggrondati e cupi». Anche se un po’ diverso dallo stampo tracciato da Pelayo, tra i seguaci del krausismo, all’inizio del secolo XX, troviamo il professor Manuel Garcia Morente, spagnolo sì, ma di interessi europeistici e mondiali.
Di successo in successo...
Era nato il 22 aprile 1882, Manuel, ad Arnjonilla in Andalusia. Sua madre era cattolica e praticante. Suo padre, medico e liberale. A 8 anni Manuel fu iscritto al liceo di Bayonne, in Francia. A 9 anni perse la mamma e con lei perse anche quel minimo di fede ricevuta. A 17 anni, il baccalaureato e, due anni dopo, si laureò in Lettere alla Sorbona, dove era stato alunno dei professori Emile Boutroux e Henry Bergson, di nessuna fede cristiana.
Rientrato in Spagna, nel 1908 si trovò professore di Filosofia all’Istituzione Libera d’insegnamento, roccaforte del liberalismo e del laicismo spagnolo, la quale provvide il professor Garcia di una borsa di studio per due viaggi in Germania, per prepararlo meglio alla carriera dell’insegnamento. Nel 1912 a 30 anni, il Garcia, con una eccellente tesi sulla Estetica di Kant, si laureò a Madrid, dottore in Filosofia e Lettere. L’anno seguente, fu nominato professore di Filosofia morale all’Università di Madrid, il professore più giovane di tutta la Spagna. Non solo studiò, ma visse a fondo la filosofia di Kant: con un ateismo costruito a sistema, navigava in un’incredulità-negazione tranquilla di Dio e badò a diffondere dalla cattedra «ogni sorta di falsità e di errori», come lui stesso riconoscerà un giorno, «tutto gonfio di superbia, la superbia di un pensiero senza Dio, o con un Dio che di Dio ha solo il nome».
Vive gli anni più brillanti della sua vita, passando di successo in successo. Sulla cattedra trionfa. È fascinoso e seducente. Nei salotti della duchessa d’Alba discute di arte, di filosofia, di letteratura, dirige le dispute, controbatte da cavaliere perfetto le opinioni delle eleganti dame. Un maligno lo chiama “il filosofo delle duchesse”. Nel 1930 è sotto-segretario alla Pubblica Istruzione. Nel ’31, decano della Facoltà di Lettere e Filosofia. Nel ’32, membro della Reale Accademia delle Scienze morali e politiche. Nel ’33, si reca a Buenos Aires (Argentina) per un corso di conferenze. Dappertutto si impone con la sua intelligenza versatile, la sua personalità poliedrica. È anche appassionato cultore di musica classica. Insomma: è un perfetto senza-Dio dalla testa ai piedi.
Nel frattempo, nel 1913, si era sposato con Carmen Garcia del Cid, cattolica e molto buona. Il professore era così geloso dell’intimità familiare che vi ammetteva solo alcuni sceltissimi parenti. Dopo aver messo al mondo due bambine, Carmen morì giovanissima. Il professore ne provò un vuoto incolmabile e per tutta la vita non volle altra donna al posto della sua sposa amatissima e troppo presto perduta. Per le sue figlie senza mamma, aveva ora una tenerezza materna; con il suo aiuto avrebbero dovuto diventare due “stelle” della cultura spagnola ed europea.
Grazie a loro, si riprese dal suo lutto terribile. Tornò a essere il professore brillante, che passava dalle discussioni culturali più raffinate alle lacrime di un bambino; il narratore incantevole nella conversazione; e anche l’uomo che amava la buona tavola.
Revisione di vita
Nell’inoltrarsi degli anni ’30 del secolo XX, il professor Garcia, lucido di mente e addentro a molte cose, presentì il dramma che stava per abbattersi sulla Spagna. Le Sinistre (i comunisti) organizzarono il loro lavoro sovversivo con astuzia e tenacia diabolica. Con l’avvento della Repubblica dopo il 1931, le cose si misero di male in peggio. Calvo Sotelo, che era alla testa del “blocco nazionale”, da tutti riconosciuto come il solo capace di raccogliere attorno a sé gli elementi contrari al “fronte dei comunisti”, la mattina del 13 luglio 1936 fu preso a tradimento e fatto sparire a Madrid. L’ordine di eliminazione era stato preso da una loggia massonica a Parigi.
Immediatamente i “rossi” scatenarono la più terribile persecuzione alla Chiesa con 4.184 sacerdoti uccisi e 2.365 religiosi altresì uccisi in odio alla Fede, senza contare i fedeli uccisi per lo stesso motivo: odio a Cristo sfogato con i supplizi più atroci.
Il professor Garcia Morente era appena rientrato in Spagna dalla Francia e fu additato come criminale e destituito della carica di decano dell’Università. Il 28 agosto fu assassinato il suo genero, l’ingegner Ernesto Bonelli, anima elettissima di cattolico e di adoratore notturno di Gesù Eucaristico. Un mese più tardi, il professore era ricercato a morte. Allora fuggì a Parigi, con l’intento di richiamare con sé le figlie. Il 2 ottobre era a Parigi, povero e solo, ma presto incontrò compagni d’esilio e la Casa Editrice Garnier gli commissionò la compilazione di un dizionario franco-spagnolo. A giugno del 1937 lo raggiunsero a Parigi le sue figlie.
Allora l’esule raccontò loro che un mese prima della guerra civile di Spagna, in Francia aveva visitato il monastero benedettino di Ligugé e che ai monaci che lo accompagnavano aveva detto: «Chissà che un giorno non finirò anch’io in un monastero? In ogni spagnolo c’è un mistico che sonnecchia!».
Nel maggio 1937 ebbe dall’Argentina la proposta di una cattedra di Filosofia all’Università di Tucuman. Accettò e il 20 giugno s’imbarcò per Buenos Aires.
Ormai era un altro uomo. Nella notte tra il 19 e il 30 aprile 1937, gli era capitato “un fatto straordinario”, che lui stesso racconterà in 70 pagine al suo direttore spirituale don José-Maria Lahiguera, nel settembre 1940, in questo modo: «Non sono giunto a questo mutamento per mezzo di nuove idee; è un affare del cuore, un’opera diretta di Dio nell’anima. Abbandonato da tutti, improvvisamente sentii gli occhi di Gesù che mi guardavano nell’anima e sperimentai una consolazione divina che tuttora mi possiede. Venne lo stesso Gesù a visitarmi e a consolarmi... e allora non ebbi da fare nessuno sforzo per dare a Lui libero ingresso nella mia anima».
Avrebbe potuto liberamente negare il dono di Dio o anche suicidarsi, ma capiva che così non approdava a nulla, che l’inferno gli si apriva sotto i piedi. Si pose a sentire vari pezzi di musica alla radio, quindi L’Enfant de Jésus di Berlioz lo conquistò tutto. «Il Dio teorico – scriverà ancora – era lontano, troppo lontano, troppo astratto, troppo inumano. Ma Gesù Cristo è Dio fatto uomo, Gesù che ha sofferto come me e più di me, moltissimo più di me, questo sì che lo intendo e mi intende».
Si ricordò della scena agghiacciante in casa sua, quando i miliziani comunisti andavano a caccia di uomini da uccidere, e lui aveva visto i suoi cari stringersi insieme, inginocchiarsi e pregare con tutta l’anima, mentre lui rimaneva muto osservatore, lui che non sapeva e non poteva pregare. A Parigi, ormai in fuga dalla sua Patria e in attesa delle sue figlie, si era buttato in ginocchio a pregare, frugando nella mente le parole del Padre nostro e dell’Ave Maria che la mamma gli aveva insegnato.
Da Kant a san Tommaso... verso l’Altare!
La notte tra il 29 e il 30 aprile, dunque, aveva finalmente ritrovato la pace e si era addormentato alquanto, destatosi alle due, capì che qualcosa stava per accadere. Rimase pietrificato: si accorse che lì, nella sua camera, c’era Gesù in persona: «Egli stava lì. Io non lo vedevo, non lo udivo, non lo toccavo. Ma Egli era lì. Percepivo la presenza di Gesù con la stessa chiarezza con cui percepisco la carta su cui sto scrivendo. Lo percepivo lì presente con sicura chiarezza. Non potevo avere il minimo dubbio che non fosse Lui, Gesù vivo».
«La sua presenza mi inondava di una tale intima gioia che nulla è paragonabile al diletto che ne provavo. Gesù è infinitamente soave e mi avvolgeva con la sua carezza e il suo abbraccio come una mamma tiene tra le braccia il suo bambino».
Il razionalista, il “krausista”, l’ateo integrale aveva incontrato Gesù Cristo, Lui in persona, e non poteva far altro che vivere per Lui: Gesù solo. Ma come era potuto succedere? Mentre con tutta la sua scienza, la sua gnosi superba, marciva nell’anima, creature tutte di Dio, pregando, soffrendo e offrendo per lui, gli iniettavano la grazia divina impedendo che andasse in cancrena. Per prima, la sua adorata sposa Carmen, che aveva offerto la vita per la sua conversione. A lei si erano unite le figlie, la sorella del professore e un gruppo di religiose. La sua vita brillante e vuota, sazia e disperata, era stata presa d’assalto dalle “trincee” della preghiera e del sacrificio e buttata ai piedi e tra le braccia di Gesù, il Figlio di Dio e l’unico Salvatore.
Che fare? Acquistò un libro di Dottrina cristiana e lo studiò. Imparò le preghiere come un bambino piccolo, si istruì e accettò la Dottrina, la Legge, lo stile, la vita di Gesù Cristo nella sua anima. «Con il tempo – scrisse ancora – ricostruirò il mio edificio filosofico su nuove basi. Mediterò il Vangelo, una vita di Gesù. Oh, Gesù, Gesù, la bontà, l’amore, l’infinita bellezza, Gesù, Gesù mio!».
Otto mesi dopo, rinunciò alla cattedra di Tucuman e con i suoi ripartì per la Spagna, dove intanto, il 1° aprile 1939, i comunisti per grazia di Dio erano stati sconfitti e buttati fuori dall’armata cattolica del generale Francisco Franco, benedetta dal venerabile Pio XII, appena eletto al Soglio di Pietro. Durante la traversata dell’Atlantico, il professore lesse ai suoi cari la lettera che ora manderà al Vescovo di Madrid con estrema umiltà di cuore, chiedendogli di essere non solo accolto come convertito e cattolico nella Chiesa, ma nel suo Seminario per diventare al più presto sacerdote. Il Vescovo gli rispose: «L’attendo a braccia aperte».
Manuel Garcia Morente si confessò, ricevette la sua seconda Prima Comunione a 56 anni, con la gioia che gli squassava il cuore. Alla riapertura del Seminario, dopo le stragi perpetrate dai comunisti, il Vescovo lo accolse e lo mandò a studiare Filosofia e Teologia tomista al monastero mercedario di Poyo in Galizia. San Tommaso lo deliziava: «Solo qui – diceva – c’è la Verità assoluta ed eterna». Abiurava Kant e Krause e faceva sua la “filosofia dell’essere” di san Tommaso, preparazione e fondamento della Fede.
Il 24 dicembre 1940 fu ordinato sacerdote. Il giorno di Natale celebrò la sua prima Messa, rischiando di morire di gioia, in un pianto continuo. La più giovane delle figlie ora era entrata tra le Suore dell’Assunzione di Maria Santissima. Per desiderio del suo Vescovo, don Manuel Garcia tornò alla cattedra universitaria in abito talare. Ora, con suprema fierezza correggeva gli errori che aveva propalato e annunciava la Verità che è soltanto Gesù Cristo nella Chiesa Cattolica. Sacerdote esemplare, uomo di Dio, di preghiera, asceta e mistico!
Il 7 dicembre 1942, dopo un intervento chirurgico, fu trovato cadavere. Si era preparato a morire dal giorno della sua conversione: «Ogni volta che mi comunico – lasciò scritto – desidero morire. Dev’essere molto dolce andare da Gesù, quando Lui mi ha appena invaso con il suo Corpo e il suo Sangue».
Aveva concluso le pagine mirabili dedicate a Lui scrivendo: «Gesù inevitabilmente trascina e incanta chi lo guarda con occhi limpidi. Basta conoscere Gesù per amarlo. Ma c’è di più: Gesù è così enorme che neanche occorre molto sforzo per incontrarlo. Basta volere. Allora lo sguardo rifatto limpido incontrerà l’amoroso sguardo del divino Maestro, e l’udito sentirà il richiamo possente del buon Pastore».