Etienne Gilson è certamente uno degli esponenti più in vista, nel laicato cattolico, della scuola neo-tomista francese. La rinascita di una filosofia cristiana incoraggiata da Leone XIII con l’enciclica Aeterni Patris (1874), si dipanò per un secolo abbondante, ed ebbe come suo centro massimo di diffusione l’Europa, anzitutto l’Italia e la Francia.
Etienne Gilson è, assieme a Jacques Maritain, certamente l’esponente più in vista, o almeno uno degli esponenti più in vista, nel laicato cattolico, della scuola neo-tomista francese. La rinascita di una filosofia cristiana, ovvero esplicitamente ed orgogliosamente dipendente dal Vangelo, incoraggiata da Leone XIII con l’enciclica, mai troppo lodata, Aeterni Patris (1874), si dipanò per un secolo abbondante, ed ebbe come suo centro massimo di diffusione l’Europa, anzitutto l’Italia e la Francia.
Il grande accademico di Francia Etienne Gilson visse interamente nel secolo e nello spirito del neo-tomismo. Carmine Matarazzo, nell’ampio saggio introduttivo alle Lezioni gilsoniane, riporta un’utilissima “Cronologia essenziale della vita e delle opere” del Filosofo (pp. 68-70) che desideriamo commentare brevemente.
Nato a Parigi nel 1884, dieci anni dopo l’Enciclica summenzionata, Gilson si sposò nel 1908 ed ebbe 3 figli. Dal 1913 iniziò l’insegnamento universitario a Lille, insegnamento che continuerà una vita intera prima all’Università di Strasburgo e poi, per lunghissimi anni, alla Sorbonne di Parigi.
Nella sua ricerca attiva e fruttuosa, il Nostro ha pubblicato molti volumi di filosofia, storica e teoretica, e moltissimi saggi e articoli. Tra l’altro si è interessato, sempre con grande rigore scientifico, di san Tommaso, Cartesio, Scoto, san Bonaventura, sant’Agostino, san Bernardo, Abelardo, Dante, e in generale del pensiero cristiano medievale, confrontandolo col moderno. L’ultimo libro, pubblicato a più di 80 anni, è D’Aristote à Darwin et retour (1971). Morirà nel 1974, un secolo esatto dopo l’Aeterni Patris, che fu l’anima costante del suo lavoro e del suo impegno. In Italia, il suo più grande studioso contemporaneo e il suo più intrepido diffusore è mons. Antonio Livi il quale, come ci ricorda l’ampia Bibliografia (pp. 58-68), ha pubblicato una ventina di saggi sul Filosofo, tra cui i fondamentali Etienne Gilson: una vera filosofia per l’intelligenza della fede (2003) e Gilson: il realismo come unico possibile metodo per un’autentica filosofia (2009).
Il saggio introduttivo del Matarazzo, assai dotto e ben documentato per la comprensione del Sitz in Leben dell’opera gilsoniana, non ci soddisfa pienamente poiché, come al solito, vi si avverte, seppur soprattutto tra le righe, la volontà di leggere criticamente, ma non troppo, il pensiero filosofico moderno-contemporaneo. Vi si parla, giustamente, di «decadenza della Christianitas» (p. 10), di «fine del primato religioso, culturale, politico del cristianesimo» (pp. 10-11), e del fatto inoppugnabile, negato solo dai ciechi e da taluni progressisti, che «la progressiva secolarizzazione del mondo occidentale ha avuto come obiettivo quello di ridurre l’influenza della Chiesa sulla società e di eclissare il senso della religione e di Dio dalla cultura e dalle coscienze individuali» (p. 12, corsivo mio). Ed è importante che si dica che ciò non è stato un accidente della storia europea, ma un “obiettivo” della storia. Tuttavia il fatto che Maritain abbia individuato, rigorosamente, in Lutero, Cartesio e Rousseau «i tre pionieri della rivoluzione copernicana nei vari settori della cultura occidentale» (p. 14) non piace molto al Matarazzo, benché quel libro maritainiano sia stato apprezzato dall’allora mons. Montini; e il fatto che lo stesso Filosofo considerasse il Medioevo come «quell’epoca in cui si è realizzato un equilibrio ideale tra le istanze della fede e quelle della ragione» pare al nostro Prefattore come una «ideologizzazione» (p. 14). Ma proprio Maritain, al pari di Gilson, ha esposto fin dagli anni ’20 del XX secolo, le ragioni che spingono i cattolici ad essere non solo anti-modernisti, ragioni necessarie dopo la Pascendi (1907), ma anche anti-moderni: «Se siamo antimoderni non è certo per gusto personale, bensì perché il moderno uscito dalla rivoluzione anticristiana ce ne costringe con il suo spirito, perché esso fa dell’opposizione al patrimonio umano la sua specificità, odia e disprezza il passato, adora se stesso, e perché noi aborriamo e disprezziamo quest’odio e questo disprezzo e quest’impurità spirituale» (da J. Maritain, Antimoderne, 1922, citato a p. 14). Ma torniamo a Gilson. Il quale nel 1960 effettivamente tenne 3 Lezioni, in francese, sul tema della dimostrabilità razionale dell’esistenza di Dio, presso la Facoltà domenicana dell’Angelicum, lezioni che poi furono pubblicate, nella medesima lingua, su Divinitas 5 (1961), pp. 23-87. Ora, per la prima volta, vengono proposte al pubblico italiano, criticamente introdotte e curate. Gilson intende spiegare e difendere la validità delle 5 vie dell’Aquinate, 5 vie per la dimostrazione di Dio che il Curatore, opportunamente, ha inserito, in duplice versione latina-italiana, nella prefazione (pp. 41-44). Le 5 vie di san Tommaso sono quella del movimento (I via), della causa efficiente (II via), della contingenza (III via), dei gradi di perfezione dell’essere (IV via) e dell’ordine del mondo (V via). La bibliografia sulle 5 vie tomiste è sterminata, e già all’epoca delle lezioni di Gilson, le critiche a questo punto (decisivo) della dottrina dell’Angelico erano forti e diffuse, critiche che in radice risentono sempre delle male piante del protestantesimo e del modernismo, e degli sbandamenti del post-Concilio. A oltre 50 anni dalle Lezioni gilsoniane si può dire, senza tema d’errore, che oggi sono più numerosi, tra gli stessi cattolici, coloro che ignorano o disprezzano le vie di san Tommaso (giudicate pagane, extra-bibliche, razionaliste, autoreferenziali, confutate da Kant, improponibili dopo Auschwitz, ecc.), che coloro che ne difendono la validità teoretica e razionale, come il Magistero ha sempre ribadito (cf. Fides et ratio).
Non abbiamo lo spazio per diffonderci sulle 3 Lezioni, ma le consigliamo vivamente agli studenti di Teologia e agli apologeti, quali tutti noi, cattolici senza vergogna, dovremmo essere. Diciamo solo che la prima Lezione è dedicata alla spiegazione didattica delle 5 vie di san Tommaso; la seconda alla “problematica delle prove” dell’esistenza di Dio, all’interno della Scolastica e della Metafisica; la terza, la Lezione decisiva del volume, sta nella confutazione, ordinata e accessibile, dei tentativi di Kant (specie nella Critica della Ragion Pura, 1781) e dei successori, di annichilire la validità razionale e scientifica delle vie-prove formulate dalla metafisica classica. In tal contesto, ricorda Gilson che per san Tommaso «la conoscenza intellettuale era, per definizione, una conoscenza astratta. Quanto più l’oggetto di una scienza è astratto, tanto più le conclusioni di una scienza sono certe» (p. 116). Infatti la matematica – come la metafisica – è più certa della fisica, della chimica e della biologia; e ancor più certa di tutte le scienze umane (storia, antropologia, psicologia, sociologia, ecc.). L’esistenza di Dio, benché sia una verità non immediatamente apparente (come lo è l’esistenza del mondo), tra le verità non apparenti è la più certa che si possa immaginare. E la Teologia è la regina delle scienze: più importante e più certa di tutte le altre.
Chiudiamo citando il punto di partenza delle riflessioni di Gilson, punto di partenza oggi comunemente ignorato o rimosso: «Se si vuole dire di Dio tutto ciò che la ragione umana può dirne, occorre anzitutto stabilire che Egli esiste, poiché fino a quando non sarà certo che Dio è, non si potrà porre utilmente alcuna domanda su ciò che Egli è» (p. 75). Il valore morale della Scrittura e l’incomparabile bellezza della vita di Cristo si capiscono solo se si dà per acquisita la certezza di ragione dell’esistenza di Dio: se Dio non esistesse, infatti, chi avrebbe ispirato la Bibbia e cosa sarebbe Gesù, se non un grande uomo?
Se si continuerà a fare una «teologia senza [previa dimostrazione di] Dio» non si andrà da nessuna parte e sarà inutile continuare a parlare, specie ai giovani, di esperienza di Dio: essa per forza di cose assomiglierà ad un abbaglio o ad una mera esperienza del nulla.