RELIGIONE
“Pianto e stridore di denti”
dal Numero 37 del 21 settembre 2014
di Antonio Farina

I Vangeli sono estremamente chiari e concordi nel presentare una realtà di dolore riservata a coloro che scelgono di abbandonare Dio, vivendo fuori dalla sua Legge e senza la sua grazia. Il Maestro usa solo due parole, quanto mai dense di significato...

I Vangeli sinottici cioè quelli di san Matteo, di san Marco e di san Luca forniscono una visione unitaria ed alcune volte straordinariamente simile, delle parole, degli eventi e della vita di Nostro Signore Gesù Cristo.
Alcune volte però ci sono delle differenze che colpiscono e delle “singolarità” o peculiarità che rendono un Vangelo speciale rispetto all’altro. Per esempio san Matteo (il “pubblicano”) scrisse il suo Vangelo in aramaico, lingua della Palestina, per i cristiani convertiti dal giudaismo. San Marco invece mise per iscritto, in greco, a Roma ciò che udì dalla bocca di san Pietro ed ha come caratteristica di sottolineare come Gesù fu incompreso e respinto dagli uomini nonostante i prodigi e i miracoli strepitosi che faceva. San Luca, di professione medico e discepolo di Gesù si ritiene che sia stato compagno di san Paolo nel suo secondo e terzo viaggio e che quindi abbia riportato fedelmente l’esperienza e la testimonianza dell’Apostolo delle genti. San Luca fu uno scrittore di grande talento e conosceva particolari dell’Annunciazione di Maria Santissima e della Nascita di Gesù che solo l’Immacolata poteva riferire. Quindi ci sono diversità notevoli tra i Vangeli pur nella loro concordanza di fondo che li fa definire “sinottici” ovvero descriventi la medesima “visione” della Vita, Passione e Morte di Gesù.
Un esempio cospicuo di difformità è quello fornito dal Vangelo di san Matteo: al capitolo 8 versetto 10 l’Evangelista narra l’episodio della guarigione del servo di un centurione che si conclude con le seguenti parole di Nostro Signore: «All’udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: “In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti”. E Gesù disse al centurione: “Va’, e sia fatto secondo la tua fede”. In quell’istante il servo guarì». Questo passo è riecheggiato da san Luca (13,24) quasi con le medesime espressioni ma, sorprendentemente, non c’è traccia di centurioni e le parole di Gesù sono: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi ma non ci riusciranno [...]. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. Verranno da Oriente e da Occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi». È interessante notare che la frase: «Dove sarà pianto e stridore di denti» ricorre sei volte nel Vangelo di san Matteo ma soltanto una volta in quello di san Luca e mai negli altri. La parabola della “zizzania”, così espressiva ed efficace, è sugellata con questo avvertimento di Gesù ma è ignorata dagli altri Evangelisti. Poco più avanti (Mt 13,50) si legge: «Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?”. Gli risposero: “Sì”».
Ma ci sono altre due pericopi: quella del banchetto nuziale, nel quale si “intrufola” un personaggio che non porta l’abito bianco, e quella del servo malvagio che percuote i suoi compagni e che viene severamente punito dal Padrone tornato da un viaggio che si concludono con la medesima “formula retorica”, la prima: «Gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». E l’altra: «Lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti». Ancor più impressionante è la parabola dei dieci talenti che termina così: «Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti» (Mt 25,28ss).
Perché mai tale insistenza di Nostro Signore nel parlare di un destino finale atroce in un luogo di tenebre «ove sarà pianto e stridore di denti»? Cos’è mai questo stridore di denti che – scientificamente parlando – è un disturbo che affligge l’8-9% della popolazione chiamato “Bruxismo” per indicare il digrignare i denti dovuto alla contrazione della muscolatura masticatoria?
Il nome viene dal termine greco “brychein” che significa far stridere i denti e si manifesta specialmente durante il sonno profondo oppure, da svegli, mentre si è sotto stress se si è soggetti ad un dolore intensissimo o in preda a rabbia ed emozione incontenibile.
Il Sommo Maestro non descrive gli inferi come un “luogo particolare” della terra fatto – non so – di caverne, dirupi o abissi sulfurei ma riferisce uno stato in cui precipita l’Anima. Egli si sofferma con grande efficacia sugli effetti, morali e sensoriali, della Perdizione: tenebre (senso della vista), fornace ardente (senso del tatto), altre volte allude alla Geenna che, notoriamente, era la discarica maleodorante e fumiginosa della valle dei rifiuti in prossimità di Gerusalemme (senso dell’olfatto). Poi immancabilmente aggiunge: pianto e stridore di denti. Allora: il pianto indica in realtà un rimpianto che affligge ogni dannato: l’aver perduto per sempre il Sommo Bene per il quale si è stati creati. Lo stridore dei denti oltre a manifestare la presenza di un dolore lancinante, insopportabile ed incontenibile è anche sintomo di una rabbia furibonda verso tutti e verso tutto che li accomuna ai demoni. Terribile! È esattamente come se l’Anima si trovasse immersa in un fuoco bruciante e tormentoso in un’atmosfera di odio profondo.
Don Dolindo Ruotolo nel suo volume Chi morrà vedrà affronta questa questione spinosa che per alcuni è addirittura una “difficoltà” logica: «Come può il fuoco tormentare l’anima, i dannati e i demoni i quali sono spiriti?» (p. 40). Egli propone questa soluzione: «Noi sappiamo, scientificamente, che negli uomini le sensazioni dolorose passano per i sensi, giungono al cervello e vanno all’anima. È nell’anima e per l’anima che si percepiscono. Un morto non sente dolore, perché non ha l’anima; un anestetizzato completo non sente dolore, perché i sensi, essendo inerti per l’anestesia, non trasmettono le dolorose sensazioni al cervello e quindi all’anima [...] Ora il fuoco [dell’inferno come del Purgatorio] partendo quasi dall’anima stessa [...] è nell’anima; non ha bisogno dei sensi e dei nervi per giungervi; è una totale e tremenda sensazione di tutti i dolori corporali, senza nessuna attenuazione. Ecco perché il fuoco del Purgatorio e dell’inferno non può trovare alcuna analogia col fuoco della terra, chiamato perciò dalle anime purganti “aura freschissima”, in paragone» (p. 41). In perfetta consonanza con l’insegnamento di Nostro Signore, Don Dolindo sostiene che il “fenomeno” inferno (o Purgatorio) è endogeno nell’Anima cioè è uno stato in cui cade la nostra parte spirituale e le terribili sensazioni che ne seguono nascono dal di dentro dell’anima e non sono come quelle percepite durante la vita biologica che sono “attenuate”, quasi edulcorate, dai sensi imperfetti.
Nonostante la pena del senso sia tremenda, tutti gli Autori sacri e lo stesso Magistero ecclesiale affermano che la pena più terribile sia quella del danno dovuto alla perdita di Dio.
Sempre Don Dolindo afferma: «Nell’inferno, invece, il fuoco tormenta le anime o gli spiriti in una disperazione spaventosa, perché quel fuoco è il loro stato, volontariamente ed ostinatamente scelto; e poiché il dolore disperato eccita terribilmente l’ira, sono in uno stato di tremendo odio e si tormentano a vicenda [...] La sofferenza disperata genera il disordine e il sempiterno orrore, come disse Gesù» (p. 43). L’intensità delle pene è proporzionata esattamente alle colpe commesse. Se a tutto ciò si aggiunge che in quello “stato” non può giungere all’anima alcuna consolazione da parte dell’Immacolata, come accade invece nel Purgatorio, si conclude che la realtà vera che si cela dietro quelle due parole di Gesù «dove sarà pianto e stridore di denti» è più cruda, straziante e coinvolgente di qualunque descrizione umana, prolissa e dettagliata. Perfino più efficace della Divina Commedia di Dante Alighieri. Ma questo è nello stile di Dio: a buon intenditor poche parole.

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