di Florian Kolfhaus
Cantagalli, Siena 2014, € 9
Dopo il Concilio Vaticano II c’è chi ha parlato di «epoca glaciale mariana». In effetti, nel periodo post-conciliare si è registrato un drastico affievolimento del culto a Maria Santissima. Persino la tradizionale preghiera del Santo Rosario sembrava essere solo un retaggio del passato. E se è vero che il Concilio ha ribadito il culto di iperdulia da riservare alla Madonna, bisogna pure ricordare che nella discussione circa l’opportunità o meno di elaborare un documento a parte sulla Vergine Santissima, la spuntarono quei padri conciliari che preferirono parlare della Madonna all’interno della Costituzione Lumen gentium. E nell’affrontare il tema, la commissione preparatoria del testo rifiutò di inserire, come richiesto dal cardinale Cerejeira, Patriarca di Lisbona, a nome di 113 vescovi, un particolare riferimento al Rosario tra le pratiche di pietà e devozione raccomandate dalla Chiesa. Oggi la situazione è senza dubbio migliorata, tant’è che questa preghiera, così cara al popolo cristiano, non è più vista come fumo negli occhi. Del resto, quando il Concilio «invita ad astenersi con ogni cura da ogni falsa esagerazione, come pure da un’eccessiva grettezza di spirito» (pp. 28-29) nel culto a Maria, non fa che ribadire ciò che la Chiesa ha sempre insegnato.
Per recitare con frutto il Santo Rosario, mons. Florian Kolfhaus, Officiale presso la Segreteria di Stato e insigne teologo, ha scritto questo agile testo. Nel libro, l’Autore offre edificanti meditazioni sui misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi, svolgendo le sue riflessioni all’insegna di un “massimalismo mariano” davvero encomiabile, soprattutto ai giorni nostri, in cui la teologia sembra preferire una visione di Maria Santissima quale “donna feriale”, creatura tra le creature, non diversa dalle altre donne della storia. «Non pochi teologi, spesso sulla base di considerazioni ecumeniche discutibili, propagandano un “minimalismo mariano” e mettono in guardia dal pericolo di esagerazioni, come se l’onesto e sincero amore per Maria dispiacesse al Figlio o lo mettesse da parte» (p. 28). Come prova di questo sano massimalismo, mons. Kolfhaus si dichiara sostenitore della tesi “immortalista”: «Maria non è morta. [...] Il suo ritorno a casa era così come Dio lo volle per Adamo ed Eva, se non avessero peccato. [...] Almeno una persona su questa terra doveva vivere senza peccato e dipartirne senza morire. Almeno una volta, vi doveva essere un amore così forte e puro, che non innalza soltanto l’anima a Dio, ma con impeto estatico, strappa anche il corpo dalla strettezza di questo mondo» (p. 103).
L’Autore spiega brillantemente che nel Cattolicesimo il culto a Maria non è affatto secondario: il cattolico infatti non può non essere mariano. Nell’amore alla Madonna, come insegna san Massimiliano Kolbe, il “folle dell’Immacolata”, non si esagererà mai abbastanza, perché mai l’uomo potrà amarla quanto l’ha amata suo Figlio. Non bisogna aver paura, quindi, di pregare Maria, perché il culto a Lei nulla toglie a Gesù, anzi, è da Lui voluto. D’altra parte, stando anche a quanto scritto da san Luigi Maria Grignion de Montfort, attraverso Maria si giunge più facilmente a Cristo. Per diventare santi e arrivare a Gesù è necessario andare a scuola dalla Madonna, che ci istruisce proprio con il Rosario: «Chi lo recita – scrive Kolfhaus – studia la teologia in ginocchio. Il Rosario, infatti, è nato dal desiderio di contemplare Gesù con e attraverso Maria, per imparare a conoscerlo meglio e ad amarlo di più» (p. 11). Eppure «ci sono ancora opinioni che considerano il culto di Maria un’esagerazione o che vi scorgono nient’altro che un atto di sentimentalismo religioso. De Maria numquam satis rispondono i credenti [...]. Su Maria infatti non si dice mai a sufficienza e un vero tributo a Lei non può mai essere considerato esagerato» (p. 25). Solo la Madonna, infatti, unica tra tutte le creature, può fregiarsi del titolo di Madre di Dio. Certamente, come ogni creatura, anche Maria è stata creata dal nulla. Come tutti i figli di Adamo, anche Ella ha avuto bisogno di Cristo Salvatore e Redentore, il quale non l’ha purificata dal peccato – come tutti noi grazie al Battesimo – ma l’ha preservata e santificata per renderla “piena di grazia”. Ciò che Cristo è e possiede (de condigno), grazie alla sua natura divina unita con quella umana, voleva comunicare a sua Madre per alzarla (de congruo) sul suo stesso trono. Infatti, «la Chiesa utilizza i titoli cristologici anche per la Madre di Gesù in forma femminile: Re e Regina, Mediatore e Mediatrice, Salvatore e Salvatrice, il nuovo Adamo e la nuova Eva. Santa Caterina da Siena (1347-1380) chiama Maria Redemptrix, “Redentrice”. Maria è così coinvolta nell’opera di Redenzione di Cristo da poter letteralmente affermare che non esiste altra via oltre a Lei, che conduca a Gesù» (pp. 26-27).
L’Autore ricorda poi che il Rosario «è una preghiera che può essere recitata da chiunque: dai bambini agli anziani, dai malati a chi gode ottima salute, in macchina o a casa davanti ad un’immagine di Maria» (p. 14). È il Salterio della Madonna, donato da Maria stessa a san Domenico per convertire gli eretici albigesi. Attraverso la ripetizione regolare dell’Ave Maria viene rafforzato e affinato il sensus fidei dei fedeli: si ottengono grandi grazie e si vincono tante battaglie. Non a caso, mons. Kolfhaus nota che «le crociate sono state vinte con il Rosario in mano: la battaglia di Lepanto, in ricordo della quale fu istituita la festa della Madonna del Rosario, la vittoria contro l’assedio turco di Vienna, che ancora oggi festeggiamo come Santissimo Nome della Beata Vergine Maria, e il ritiro pacifico delle truppe russe dall’Austria, per il quale i credenti avevano recitato pubblicamente il Rosario ogni giorno» (pp. 13-14). Ecco allora che «la strategia di successo della missione e della nuova evangelizzazione non consiste nel compiere continuamente nuove azioni, per quanto possano essere utili, ma nello sperare sempre di più nell’intervento di Dio, piuttosto che nell’attività umana e pertanto nel rivolgersi a Lui in primo luogo» (p. 13).
Insomma, soprattutto oggi bisogna ripartire dal Rosario, e il libro di mons. Kolfhaus «che altro non vuole essere se non un sostegno allo studio della “teologia in ginocchio” è con speranza un contributo alla competizione “massimiliana”, cioè di massimalismo mariano, riguardo all’aumento sempre maggiore della lode per Maria» (p. 34). «Voglia Dio che si prenda parte con ardore alla gara bandita da San Massimiliano Kolbe e che insieme a lui si aspiri a superarsi gli uni gli altri nell’amore per Maria» (p. 35). È l’augurio che ci facciamo anche noi.