ATTUALITÀ
Come ti faccio un presidente: l’influenza dell’economia sulla politica
dal Numero 25 del 22 giugno 2014
di Lazzaro M. Celli

L’elezione di Jimmy Carter a presidente degli USA può essere considerata emblematica per riflettere sulla potente influenza esercitata dal sistema economico in politica.

Il gran numero di elettori che non si è recato alle urne, unitamente a quanti hanno scelto di votare scheda bianca o renderla volutamente nulla, ha inequivocabilmente manifestato la sfiducia dei cittadini verso la politica.
«È tutto un mangia, mangia!», si sente ripetere da tanti. Evidentemente sempre più persone si convincono che tra economia e politica ci sia un legame strettissimo. Tuttavia la relazione è avvertita dalla maggior parte, in senso molto vago, anche per il ruolo fuorviante dei media, spesso omissivo rispetto ad una corretta informazione.
Uno studio sull’influenza esercitata dal sistema economico su quello politico, probabilmente ci farebbe perdere nella notte dei tempi, ma quando si tocca questo argomento, non si può fare a meno di sottolineare il ruolo che il club Bilderberg assume oggi sul quadro politico internazionale.
Un caso emblematico può essere considerato l’elezione di Jimmy Carter a Presidente degli Stati Uniti d’America. Nell’autunno del 1973, uno dei più grossi banchieri mondiali, lo statunitense David Rockefeller, membro fondatore del gruppo Bilderberg, s’interessò di Carter, allora Governatore della Georgia; lo invitò a cena nella sua residenza londinese e il politico accettò con entusiasmo. Carter si era reso complice di un banchiere coinvolto in alcune operazioni illecite e Rockefeller aveva in mano le armi per ricattarlo, tramite gli uomini del suo sistema bancario. L’ambizione del candidato presidenziabile fu l’altro ingrediente per coronare l’infelice connubio.
Dopo la sua elezione a Presidente, Carter affidò posti strategici della sua Amministrazione a ben 291 membri legati ad organizzazioni volute dal banchiere statunitense.
Naturalmente i discorsi della campagna elettorale del futuro presidente erano tutti indirizzati verso la denuncia dell’alleanza tra banche e politica, definita addirittura diabolica. Carter affermava che un élite economica e politica prendeva decisioni senza dover rispondere a nessuno dei propri errori e deplorava questo stato di cose, prendendo in giro, così, gli elettori che l’avrebbero votato e credevano in lui.
Il suo primo discorso di politica estera fu stilato da un gruppo di persone di cui la maggior parte apparteneva al Bilderberg group, una grande lobby che vuole governare i destini dei popoli. Va da sé che se queste lobby hanno il potere di scegliersi un presidente di uno Stato importante, come quello americano, hanno pure il potere di accatastare, come legna da ardere, i politici non graditi.
Un dato rilevante evidenziato dall’agenzia di sondaggi d’opinione, la Gallup, fu che solo il 5% dei delegati del suo partito avrebbe voluto Carter come Presidente degli USA. Fu così che cominciò un massiccio bombardamento mediatico che si concluse convincendo gli americani che Carter fosse proprio l’uomo giusto. Ancora una volta l’uso dei media, come strumenti di formazione delle opinioni, diede i suoi risultati e, a riprova di quanto male può fare chi ne detiene il controllo, Carter ottenne il 5% in più dei voti rispetto al candidato rivale presente nel suo partito. «Il fatto è – conclude Daniel Estulin, autore di un libro/denuncia di chi regge le redini del mondo – che conta poco chi vince, l’epicentro del potere rimane sempre tra le persone che vogliono imporre un unico mercato globale».
Siamo poi veramente dei poveri illusi, se pensiamo che anche la politica europea risenta dell’influenza di potenti lobby?

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