ATTUALITÀ
Quel 12 maggio del 1974
dal Numero 22 del 1 giugno 2014
di Fabrizio Cannone

Un’interessante panoramica dei vari schieramenti che ruotavano attorno alla spinosa questione del divorzio nell’anno 1974, sarà utile per comprendere quale sia stato e sia il male da combattere.

Il 12 maggio del 1974 si ebbe in Italia uno di quegli eventi storici che hanno delle cause e delle conseguenze nettamente meta-storiche. Mentre la città di Roma esultava per la vittoria della sua più antica squadra di calcio, i cittadini italiani furono invitati alle urne per un Referendum che doveva mantenere o abrogare la legge divorzista da poco introdotta nell’ordinamento della Repubblica.
«La vittoria del fronte divorzista andava, oggettivamente, oltre le più rosee previsioni»[1]. In effetti, i votanti erano stati «33 milioni e 29 mila elettori su 39 milioni e 497 mila iscritti nelle liste elettorali, per una percentuale pari all’88,1% [...]. I sì [contrari al divorzio] raggiunsero quota 13 milioni e 188 mila (40,9%), mentre i no superavano i 19 milioni e 93 mila voti (59,1%). Rispetto alla disponibilità di partenza lo schieramento antidivorzista aveva perso almeno 2 milioni e 700 mila voti, in larga misura cattolici e democristiani: se si confrontano i voti delle elezioni politiche del 7 maggio 1972 si nota che i partiti anti-divorzisti (Dc-Msi) avevano ottenuto il 6,6% in meno, mentre i partiti divorzisti aumentavano, complessivamente, nella misura dell’8%» (p. 175). Inoltre, tanto per completare un quadro che fa riflettere e dovrebbe provocare le nuove generazioni cattoliche e amanti dell’Italia a sacro sdegno, nella stessa Urbe di Roma, «il fronte anti-divorzista aveva perso ben 17 punti. Lo scarto a favore del no era stato più notevole in Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Lazio, mentre le regioni in assoluto più divorziste furono la Val d’Aosta (75,1%), la Liguria (72,6%), l’Emilia-Romagna (70,9%), Piemonte e Friuli Venezia Giulia (oltre il 60%)» (p. 175).
Il punto di partenza per un cattolico, e perfino per un semplice patriota (fosse pure di orientamento laico) deve essere questo: il divorzio è un grande male, è un’ingiustizia, è un’assurdità politica e sociale. Se esiste il divorzio, più o meno rapido che sia, viene meno il matrimonio. E questo è così vero che in tutti i Paesi che per secoli fondarono la loro stabilità sulla solidità della famiglia, dopo 40-50 anni di divorzio registrano sempre meno matrimoni e sempre più convivenze “libere” ossia senza alcun vincolo che non sia il fugace sentimento. Il divorzio legale poi rende il matrimonio un “contratto a tempo” e anche i meglio intenzionati avvertono, inevitabilmente, l’usura del tempo e della fatica. I giovani nati dopo il ’74 infine, se si sposano, lo fanno sempre con un retro-pensiero: poi si vedrà, se va male, ritento...
Se la società è una famiglia di famiglie, e se il divorzio distrugge la famiglia naturale, la normativa divorzista distrugge a termine l’intera società, trasformandola in una massa amorfa e indifferenziata di individui, in cui non c’è più il popolo, né alcuna educazione dei bambini (con 4 o più pseudo-genitori ma senza veri padri e vere madri), né esiste più alcuna protezione sociale, sicurezza, stabilità e solidarietà tra le generazioni. Cose lampanti che oggi abbiamo sotto gli occhi tutti noi italiani.
Ma quali furono le cause e le conseguenze dell’introduzione del divorzio ovvero del primo e più grave segno dell’incombente apostasia di massa del popolo italiano? Quali ne furono le ragioni prossime e remote? Il Libro di Giambattista Scirè, pur se chiaramente di parte divorzista, offre al lettore attento molteplici spunti di riflessione e di analisi. Anzitutto l’Autore fa rapidi cenni ai due schieramenti contrapposti, i divorzisti (avversi al matrimonio indissolubile) e gli anti-divorzisti (contrari alla dissolubilità). E qui si scorge l’impossibilità logica di essere sempre e soltanto pro e mai contro: chi è per la famiglia (secondo il Vangelo), deve essere contro il divorzio, l’aborto, l’omosessualità, la poligamia, l’adulterio, ecc. Ma molti cattolici degli anni ’70 vollero essere contemporaneamente per la famiglia e per il divorzio: e proprio questa aporia fu con-causa della vittoria dei nemici di Dio e della Patria.
Il fronte divorzista, molto eterogeneo, era composto, come ricorda Scirè, dai «gruppi femministi, la Lid, i radicali, le avanguardie intellettuali laiche (Abc, L’Espresso e altre riviste), i più importanti quotidiani nazionali (Corriere della Sera), i comunisti [...], i socialisti, il movimento dei cattolici democratici per il no di Gozzini, Scoppola, La Valle, Prodi, i vari gruppi del dissenso religioso, come i Cristiani per il socialismo o le riviste di controinformazione, che appoggiarono le battaglie sul divorzio, mentre l’associazionismo cattolico parve dividersi al suo interno (Azione cattolica, Acli, Fuci)» (p. IX). Secondo lo Scirè, «dentro la Chiesa, la posizione dell’episcopato stesso non si presentò univocamente contraria [al divorzio], come appariva pubblicamente e come spesso si tende a credere (per esempio, la posizione più possibilista del cardinale Pellegrino, vescovo di Torino, o quella di monsignor Bartoletti, vescovo di Lucca, furono ben diverse da quelle intransigenti dei cardinali Poma, Siri, Fiordelli e altri [...]. Anche dentro la Dc si evidenziarono posizioni difformi [...]. Schierati apertamente contro il divorzio e a difesa della famiglia tradizionale erano, inoltre, il Msi e i comitati civici per il referendum sul divorzio, messi in piedi da alcuni intellettuali cattolici intransigenti, in particolare il CNRD di Gabrio Lombardi» (pp. IX-X).

Tra i giornali furono divorzisti: Il Corriere, La Stampa, Il Messaggero, Paese Sera, L’Unità, Il Secolo XIX, La Nazione e i settimanali Panorama, L’Espresso e L’Europeo; ma lo furono anche i rotocalchi femminili di più alto livello culturale, come Annabella, Amica, Stop e Grand Hotel (solo questi 4 rotocalchi vendevano oltre 2 milioni di copie!). Contrari furono: L’Osservatore Romano, Il Popolo, Avvenire, Il Gazzettino, Il Tempo. Limitiamoci un momento alle posizioni interne al mondo cattolico, diviso ancora una volta, fra transigenti (per il divorzio) e intransigenti (per il matrimonio come istituito da Cristo).
Il confronto tra le dichiarazioni dei transigenti e degli intransigenti, 40 anni dopo, la dice lunga su chi sia stato buon profeta, seppur di sventura, e chi abbia ingannato il popolo italiano, magari ammantandosi di evangelico ottimismo. «Secondo Lombardi, il divorzio e l’aborto non erano altro che piccole cime di un iceberg, mentre altre più pericolose cime stavano emergendo: pornografia, droga, omosessualità» (p. 1). In effetti, a 40 anni dal divorzio abbiamo sdoganato e liberalizzato, il che vuol dire promosso e incoraggiato, proprio la pornografia, il consumo di droga e il massimo peccato di lussuria, cioè l’omosessualità. In un discorso riportato sul Corriere della Sera del 28.4.1974, un battagliero Fanfani sosteneva che «dopo il divorzio, in Italia, sarebbe stato possibile perfino il matrimonio tra omosessuali». E aggiunse: «Magari vostra moglie vi lascerà per scappare con qualche ragazzina» (p. 1). Ed è proprio ciò che sta avvenendo (La vita di Adele). D’altra parte se il divorzio ha abolito de jure la famiglia in Italia, chi resisterà mai ai nuovi progressi della società?
Ma chi erano i “cattolici del no”, ovvero quei cattolici, almeno di nome, che volevano sovvertire il matrimonio e la famiglia in Italia? Scirè ne dà un’ampia ricostruzione. Noi li nomineremo appena, giacché certi malfattori vanno ricordati in aeternum. Si schierarono per il no, ovvero per il divorzio: la Gioventù Aclista, l’associazione Pro civitate christiana, parte dell’Azione Cattolica, parte della Fuci e i Cristiani per il Socialismo. «Il 16 febbraio scendevano in campo 82 esponenti del mondo cattolico, che divennero presto più di 200 [...]. Si trattava di un folto gruppo di cattolici, docenti universitari, magistrati, giornalisti, saggisti, sindacalisti, che, nell’imminenza del referendum [...] sottoscrivevano una dichiarazione che faceva appello a tutti i “democratici di fede cristiana”, affinché rifiutassero con il loro voto la proposta abrogazionista, affermando così i valori di convivenza civile e di libertà religiosa essenziali in una società pluralistica e democratica» (p. 155). Ma in quel frangente, doveva prevalere la “libertà religiosa” o il Vangelo? E se uno tiene alla libertà religiosa più che al Vangelo è un cristiano o un apostata? Tale vile appello fu firmato da molti nomi emblematici: «La Valle, Montesanto, Masina, Orfei, Meucci, Battistacci, Gabaglio, Passerin D’Entreves, Scoppola, Pedrazzi, Alberigo, Paolo Brezzi, Fabro [che nulla ha a che vedere con padre Cornelio Fabro, intrepido anti-divorzista], Magister, Francesco Traniello, Sabino Acquaviva, Franco Bassanini, Pier Giorgio Camaiani, Pio Montesi, Tiziano Treu, Ettore Rodelli, Luigi Macario, Pierre Carniti, Angelo Romanò, Stefano Minelli, Giancarlo Zizola, Arturo Parisi, Paolo Prodi, Ezio Raimondi, Emanuele Ranci Ortigosa (cui si aggiunsero poi anche Romano Prodi, Mario Pastore, Leopoldo Elia, Boris Ulianich, Gozzini, Gorrieri, Pratesi e altri)» (pp. 155-156). Altri cattolici anti-indissolubilità furono don Enrico Chiavacci, Ambrogio Valsecchi, don Paolo Franzoni, padre Turoldo, padre Balducci, e Carlo Carretto, il profeta di Spello. Tutti costoro avevano in comune una visione modernista del Cattolicesimo, un antifascismo senza compromessi e una simpatia per la Sinistra, a volte anche estrema. Modernismo, antifascismo e progressismo furono i fattori decisivi della distruzione della famiglia in Italia: nessuno lo dimentichi. I dati statistici poi confermano in modo palpabile il concetto che il divorzio, se esiste ed è legale, ferisce a morte il matrimonio. Nell’anno stesso del Referendum ci furono in Italia 404.000 matrimoni e 24.000 separazioni; nel 1984 i matrimoni erano scesi a 298.000 e le separazioni aumentate a 34.000; nel 1994 i matrimoni sono stati 291.000 e le separazioni 51.000; nel 2003 i matrimoni sono stati 257.000 e le separazioni 81.000. E nel 2014? Se la forbice continuerà a contrarsi il divorzio, in mezzo secolo, avrà cancellato il matrimonio in Italia (benché un 5-10% continuerà a sposarsi in chiesa o al comune).
La distruzione della famiglia è passata dal divorzio, dall’aborto e finirà forse col matrimonio gay. Noi dobbiamo lottare contro queste enormità per il bene della famiglia, della Chiesa e della Patria. Ma se il modernismo religioso è stato la radice di quell’apostasia, noi non dobbiamo limitarci a lottare per l’indissolubilità del matrimonio, ma per la scomparsa rapida del modernismo, e di tutti gli annessi errori teorici e pratici (come il liberalismo, il relativismo etico, il progressismo, il darwinismo, l’evoluzionismo, la teoria del gender, ecc.).

 [1]G. Scirè, Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa e società civile dalla legge al referendum (1965-1974), Mondadori, 2007, p. 174.

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