A 40 anni dalla sua morte, molti italiani lo ricordano ancora per i suoi interventi di grande scienziato in Tv, specialmente in occasione delle conquiste spaziali. Ma quanti lo hanno incontrato non dimenticano il suo volto trasfigurato quando parlava di Dio.
«Non era per noi soltanto un padre, ma anche un compagno di giochi. Se si giocava a bocce, dovevamo lasciarlo vincere, altrimenti rimaneva male. La sua gioia era quella di giocare a pallone con noi. Erano partite giocate con grande agonismo».
Così Maria Pia descrive sulla rivista Oggi (12 giugno 1974) il suo papà, professor Enrico Medi, grande scienziato noto in Italia e nel mondo. Era un uomo di una bontà e di una semplicità estreme. Si faceva piccolo con le sue bambine, accompagnandole a scuola e giocando con loro. Conquistava i suoi allievi con il fascino del suo sapere straordinario e della sua generosità.
Non era certo uno sprovveduto o l’ultimo arrivato: scienziato, deputato al Parlamento, amministratore civile, consulente tecnico in gravissime questioni, dirigente di partito e di associazioni cattoliche, proveniva da studi severi ed era impegnato sulle più avanzate frontiere della ricerca scientifica.
Carriera di un uomo
Era nato il 26 aprile 1911, a Porto Recanati, nelle Marche. Compiuti gli studi classici all’Istituto Massimo di Roma, si era laureato in Fisica pura sotto la guida di Enrico Fermi a 21 anni, nel 1932. Quasi subito fu nominato assistente dell’Istituto di Fisica all’Università di Roma; conseguì la libera docenza in Fisica terrestre nel 1937 e nel 1942 vinse la Cattedra di Fisica sperimentale presso l’Università di Palermo. Nel 1949, diventò Direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica, poi titolare della Cattedra di Fisica terrestre all’Università di Roma. Una carriera brillante, luminosa, invidiabile.
Ma non è tutto. Il 2 giugno 1946, veniva eletto deputato all’Assemblea costituente, riconfermato fino al 1953 alla prima legislatura della Repubblica, nelle liste della DC. Poi gli incarichi non si contano più: vicepresidente dell’Euratom con sede a Bruxelles, poi membro del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, capogruppo in Campidoglio per la DC, deputato per la terza volta.
Le scienze erano la sua passione. «Sono felice – diceva – di essermi dedicato a questo settore per conoscere e ammirare le meraviglie profuse da Dio nell’immensità del creato».
Eccezionali i suoi studi biologici sulle materie che rigenerano le cellule e sulle cure dei tessuti colpiti da radiazioni atomiche. La prima tesi al mondo sul neutrone porta la sua firma. Le prime esperienze sul radar sono state fatte da lui. Fu il primo a studiare i fasci ionizzanti dell’alta atmosfera, confermati poi dallo scienziato americano Van Allen. Formidabili i suoi studi e le soluzioni tecniche che diede alle periodiche disastrose inondazioni del Polesine e in altre difficili situazioni, in cui pose la sua scienza al servizio dell’umanità, e specialmente della sofferenza umana.
L’innamorato di Dio
Gli italiani – e non solo gli italiani – poterono ammirarlo la notte del 21 luglio 1969, quando l’astronauta Armstrong sbarcò sulla Luna ed Enrico Medi commentò con acume geniale e chiarezza eccezionale lo storico evento. Decine di milioni di ascoltatori rimasero inchiodati al televisore a sentirlo e gli scienziati della NASA lo ammirarono senza fine. Da quella notte d’estate, venne chiamato dal gran pubblico «lo scienziato della luna».
Enrico Medi amava immensamente la scienza e si studiò di renderla accessibile e simpatica a tutti. Quando parlava, lo capivano anche i bambini. Pure gli avversari politici restavano affascinati dalla sua personalità; la scienza, sulle sue labbra, irradiava luce, la luce di Dio.
Da dove gli veniva questo fascino, questa capacità di “contagiare” gli altri? Un giorno qualcuno gli domandò: «Professore c’è contrasto tra scienza e fede?».
Rispose: «È come se tu mi domandassi se c’è contrasto tra i piedi e la testa. I piedi camminano, la testa li guida sulla via da percorrere. I piedi sorreggono la testa e la testa guida nella luce il cammino tentennante dell’uomo».
Ogni giorno, passava un lungo tempo a leggere la Sacra Scrittura e in ogni pagina dell’Antico e del Nuovo Testamento vi trovava Gesù Cristo vivo. Meditava e pregava con la fede semplice di un bambino e la lucidità del grande uomo di scienza. Ogni giorno andava alla Santa Messa e si accostava alla Comunione eucaristica e Gesù diventava l’Amico divino insostituibile, l’intimo della sua vita, la passione ardente della sua anima, Colui che lo spingeva ad amare e a donarsi senza tregua in posti di alta responsabilità. Quando tornava dalla Messa, con l’anima ricolma di Gesù, si raccoglieva ancora in silenzio e scriveva le sue riflessioni sul Vangelo ascoltato in ogni giorno. Ne sono nate pagine splendide, degne di un autore spirituale, di un mistico. Grazie alla riflessione assidua sulla Sacra Scrittura e alla meditazione sui grandi Maestri del Cattolicesimo, primo tra tutti san Tommaso d’Aquino, era diventato un credente eccezionale, ricco di una fede pensata (“fides cogitata”), granitica. Qualcuno disse che era un fanatico. Medi rispondeva sereno e lieto: «Credo in Dio come sul fatto che cinque per otto fa quaranta. Allo stesso modo credo nella legge di Ohm: quando vedo un filo staccato, so che la corrente non passa né potrà passare mai finché non si riattacca il filo. Se questo è fanatismo religioso, sì, io sono un fanatico».
L’apostolato del Vangelo
«La forza di papà Enrico – scrisse la figlia Maria Pia Medi – è sempre stata la fede. In lui non c’è stato atteggiamento, gesto, insegnamento, rapporto umano che non portasse la sua testimonianza di apostolato per la gloria di Dio. Per natura era soprattutto un mistico».
Quando parlava alle folle Enrico Medi si trasfigurava, «parlava come se una voce interna parlasse ed egli trasmettesse. Qualcuno parlava per lui, dentro di lui. Il filo logico, a un certo punto cedeva all’invasione del sentimento e al colloquio con gli ascoltatori succedeva il colloquio con un Altro; allora parlava non agli ascoltatori, ma a Gesù e alla Madonna, come se fosse in chiesa e i suoi colloqui dinanzi alle platee erano momenti di vera elevazione» (L’Osservatore Romano, 28 maggio 1974).
Un giorno, in una borgata di Roma, dove doveva parlare, lo accolsero a fischi e sassate, con un baccano indiavolato. Ma lui non ebbe paura di proclamare la Verità, rischiando anche sulla sua pelle. La sua era una proclamazione felice, fascinosa, che nasceva dal cuore. Un giorno, un ateo, uscendo da una delle sue conferenze, disse a chi gli chiedeva di partecipare di nuovo agli incontri con Enrico Medi: «Non verrò più. Quell’uomo è terribilmente contagioso!».
Le aule universitarie e civiche, le sale parrocchiali e le piazze, uomini dottissimi e influenti e gli umili che egli prediligeva, sentirono, in Italia e all’estero, la sua calda testimonianza di fede.
Autore di studi scientifici autorevolissimi, l’ultimo libro (Un grande tesoro, Sei, Torino 1971), Enrico Medi lo dedicò a commentare i Misteri del Rosario. Amava la Madonna con la semplicità e la fiducia di un bambino tra le braccia della mamma. Ogni giorno era stato fedele al Rosario e si addormentava stringendo tra le mani la corona. Diceva nel suo ultimo scritto: «I cambiamenti profondi... hanno portato la desolazione nei cuori. Ma i germi profondi, fondamentali della vita non cambiano. Ciò che è vero, buono, santo, resta, non muta con l’andare dei tempi e del vento: tutto ciò che è stabile, fermo, vivificante nella semente che Dio dona ai suoi figli. Noi cristiani abbiamo questa semente: la grazia di Dio. Il nostro tempo è tempo di meditazione e di preghiera. Un potente, sicuro e soavissimo modo di pregare e di meditare insieme alla Chiesa, al Corpo mistico di Cristo, dal Cuore Immacolato di Maria, la nostra Madre Celeste, è a noi venuto da secoli: il Rosario».
La morte, quando giunse per lui, troppo presto, il 26 maggio 1974 (40 anni fa) all’età di soli 63 anni, non fu un trauma, ma il dolce andare incontro al Cristo, Luce e Amore che aveva cercato in continuazione come uomo di scienza e con la sua fede di fanciullo. Il giorno dei funerali, quando la sua bara usciva dalla chiesa di Sant’Ignazio in Roma, la folla poté sentire, in un brivido di emozione, la registrazione dell’ultimo saluto del prof. Enrico Medi alla terra: «Così è la nostra vita, la vita nel cammino della Verità. Lavoriamo, cerchiamo, fatichiamo, versiamo lacrime, veniamo alla ricerca del Sole che è la Verità... A un certo momento il Sole folgoreggiante brucia illuminando le nostre pupille. Con questa luce divina, con questa speranza, in questa attesa, amici, io vi saluto».