ATTUALITÀ
Ricordo dell’enciclica “Veritatis splendor” 20 annni dopo
dal Numero 18 del 4 maggio 2014
di Enrico M. Romano

Uno dei “pilastri” del Magistero di Giovanni Paolo II, la “Veritatis splendor” mira a proteggere la sana Dottrina per fronteggiare la crisi della Fede e della Morale... Quale attualità e significato ancora possiede a 20 anni di distanza?

Il 2013 ha visto il ventesimo anniversario della pubblicazione dell’enciclica Veritatis splendor, uno dei documenti dottrinali più importanti di Giovanni Paolo II. Purtroppo, essendo un documento fortemente contrario alla “libertà di coscienza”, al liberalismo, al laicismo, alla laicità quale principio etico-politico dello Stato moderno, il suo anniversario è stato del tutto dimenticato.
Sia il suo spirito anti-moderno di fondo, sia moltissime delle sue affermazioni salienti e impegnative, sia infine gli autori citati e la chiarezza complessiva del testo, lo hanno reso per molti teologi e pastori uno di quei documenti da obliare in fretta, da cancellare del tutto e verso cui non si reclama nessuna memoria e nessuna “pericolosa” continuità.
Come sintetizzare per il lettore del Settimanale quei 120 magnifici paragrafi e le 184 importanti citazioni in essi contenute? Impossibile: bisogna leggerla e studiarla! Qui vogliamo solo presentarla al lettore dando la voglia di acquistarla e meditarla.
Anzitutto, giova notare che l’Enciclica si pone come il testo per eccellenza di tutto il Magistero morale di Giovanni Paolo II, e uno dei documenti più impegnativi e autorevoli, assieme alla Fides et ratio, all’Evangelium vitae e alla Dominus Iesus. La discontinuità che si scorge subito, in tal caso, non è tra Magistero pre-conciliare e post-conciliare – che pure in un certo senso esiste secondo il discorso di Benedetto XVI del 22.12.2005 – quanto principalmente, tra i punti fermi del Magistero post-conciliare, espressi nei documenti sopra menzionati, e la prassi teologica di Facoltà e riviste cattoliche, ambienti ecclesiali e insegnamento catechistico comunemente impartito, almeno dall’Humanae vitae in qua.
Il n. 4 precisa l’oggetto dell’Enciclica, individuandolo in una riflessione «sull’insieme dell’insegnamento morale della Chiesa, con lo scopo preciso di richiamare alcune verità fondamentali della Dottrina cattolica che nell’attuale contesto rischiano di essere deformate o negate». Tra gli errori che l’Enciclica condanna – si tratta di un testo stracolmo di condanne (come ogni dottrina della misericordia deve essere) – c’è «l’influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità» (n. 4). In tal senso, Giovanni Paolo II rileva «la dissonanza tra la risposta tradizionale della Chiesa e alcune posizioni teologiche, diffuse anche in seminari e facoltà teologiche, circa questioni della massima importanza per la Chiesa e per la vita di fede dei cristiani» (n. 4, corsivo mio). Che direbbe il santo Pontefice oggi? Questa dissonanza è andata aumentando negli ultimi 20 anni o si è miracolosamente annullata? Secondo la nostra visione, la dissonanza allora già forte è ora quasi totale, fino al punto che difficilmente troverebbe spazio in «seminari e facoltà teologiche» il teologo che volesse insegnare la «risposta tradizionale della Chiesa», come auspicato da papa Wojtyla.
Giovanni Paolo II si rivolge ai vescovi per compattarli nella difesa della sana Dottrina, «con l’intenzione di precisare taluni aspetti dottrinali che risultano decisivi per far fronte a quella che è senza dubbio una vera crisi, tanto gravi sono le difficoltà che ne conseguono per la vita morale dei fedeli» (n. 5). Recentemente anche il card. Müller in un bell’articolo sull’Osservatore Romano, parlando del Sacerdozio e dei suoi problemi, usava molte volte la parola crisi per indicare le mutazioni ereticali dell’identità sacerdotale nell’ultimo mezzo secolo di storia della Chiesa. Qui è il Magistero pontificio a individuare, 30 anni dopo l’ultima Assise ecumenica, una serissima crisi nell’insegnamento della Morale: e c’è ancora chi, mentendo, si ostina a dire che sarebbero i “tradizionalisti” (?) ad inventarsi una crisi post-conciliare che esisterebbe solo come rari abusi sotto controllo!!! Eh, no! Se è in crisi l’insegnamento morale della Chiesa e la stessa concezione del Sacerdozio, come dimostrato da Müller, la Chiesa dopo il Concilio è entrata in una profonda crisi, senza neppur parlare dell’immane crisi dottrinale, liturgica, teologica, pastorale, disciplinare...
Giovanni Paolo II vuole apertamente confutare la diffusa opinione «che mette in dubbio il nesso intrinseco e inscindibile che unisce tra loro la fede e la morale, quasi che solo in rapporto alla fede si debbano decidere l’appartenenza alla Chiesa e la sua unità interna, mentre si potrebbe tollerare nell’ambito morale un pluralismo di opinioni e di comportamenti, lasciati al giudizio della coscienza soggettiva individuale o alla diversità dei contesti sociali e culturali» (n. 4). Ho idea che oggi molti membri della Chiesa (docente?) la pensino proprio così, e ciò è grave. Addirittura secondo certi cardinali sarebbe possibile negare la parola di Cristo e ammettere il divorzio e il secondo matrimonio dei cristiani! Chi pensa questo può avere ancora la virtù di fede? Lascio la risposta alle autorità competenti. Il Pontefice polacco insegna che la Fede e la Morale sono i criteri di appartenenza alla Chiesa: senza la Fede non si è cattolici ovviamente, ma neppure lo si è negando esplicitamente una verità della Morale, specie una verità evidentemente facente parte del Depositum fidei. Il cattolico che pecca, poniamo contro il Sesto Comandamento, resta un cattolico benché incoerente; ma il cattolico che insegna che la contraccezione e l’aborto, l’omosessualità e il divorzio sono comportamenti leciti, non è più cattolico ed ha apostatato dalla Fede, anche senza rendersene conto. Bisogna dirle queste cose, a scanso di equivoci.
Secondo l’Enciclica inoltre, «il bene è appartenere a Dio, obbedire a lui, camminare umilmente con lui praticando la giustizia e amando la pietà» (n. 11). Altro che laici buoni: o buoni o laici!
Il Papa per introdurre il tema morale all’attenzione del lettore, inizia richiamando l’episodio del celebre dialogo tra Gesù e il giovane ricco, secondo il racconto di Matteo (cf. 19,16-21), offrendone un commentario splendido, degno di un Dottore della Chiesa (cf. nn. 6-24). Impossibile ripercorrerlo, neppure per sommi capi. Ma il nucleo centrale sta nell’inseparabilità tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, e altresì nella permanente validità dei 10 Comandamenti, anche nel contesto neo-testamentario delle Beatitudini, all’insegna del Maestro: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti» (Mt 19,17). Infatti, se è vero che le Beatitudini «non coincidono esattamente con i comandamenti» e li elevano, è anche vero che «non c’è separazione o estraneità tra le beatitudini e i comandamenti» (n. 16). Innumerevole è però la serie dei teologi (im)moralisti che predica il contrario, ovvero che dopo le Beatitudini del Nuovo Testamento, sarebbero superati i Comandamenti dell’Antico Testamento. Quindi chi oggi segue i Comandamenti, per questi teologastri, sarebbe un fariseo mentre chi li viola sistematicamente avrebbe lo spirito del Vangelo! In quante prediche sacerdotali abbiamo sentito tali fandonie!
Ma la vita morale non è meno importante della purezza della fede e «l’unità della Chiesa è ferita non solo dai cristiani che rifiutano o stravolgono le verità della fede, ma anche da quelli che misconoscono gli obblighi morali a cui li chiama il Vangelo» (n. 26, corsivo mio). Oggi, in moltissimi contesti cattolici, coloro che ricordano l’esistenza di obblighi morali sono visti come “nemici del Vangelo” che avrebbe introdotto la “legge della libertà”, col permesso pratico di vivere come detta la propria coscienza!!! Certo, la (vera) libertà è importante, ma come spiega sant’Agostino, «la prima libertà consiste nell’essere esente da crimini... come sarebbero l’omicidio, l’adulterio, la fornicazione [ogni rapporto sessuale esterno al matrimonio], il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini [...], comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l’inizio della libertà, non la libertà perfetta» (cit. al n. 13).
Concludendo, ribadisco che è nel solo Magistero della Chiesa, ben compreso e letto alla luce della Tradizione e della Scrittura, che conosciamo la Volontà di Dio, e non certo nelle parole umane degli uomini, fossero pure teologi o prelati.

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