Un ampio sguardo lanciato sulla politica estera dimostra come in alcuni Paesi, non ancora caduti nella trapola del “politicamente corretto”, è possibile rifiutare e legiferare contro l’ideologia del gender.
Ha suscitato molto clamore il fatto che il presidente ugandese Yoweri Museveni abbia firmato una legge anti-gay, approvata in Parlamento lo scorso dicembre malgrado le forti pressioni internazionali (leggasi minacce) ricevute. Tale norma prevede una serie di misure preventive che possono sembrare eccessive, soprattutto agli occhi di un Occidente ormai alla deriva intellettuale, morale e culturale, come l’ergastolo per i recidivi, la denuncia obbligatoria delle persone omosessuali e il divieto di qualsiasi forma di propaganda, ma che riflettono almeno in parte il tentativo di arginare un fenomeno, quello dell’ideologia del gender, che sta assumendo contorni sempre più preoccupanti e che minaccia seriamente la salute morale e materiale delle popolazioni tutte. In realtà, la inusitata durezza della legge ugandese mira a proteggere soprattutto i minori sia dalla propaganda gay sia dalla violenza a cui possono essere sottoposti; la norma, infatti, tende a punire severamente gli atti di omosessualità “aggravata” (ossia la violenza contro i minori, fenomeno di certo non estraneo al mondo omosessuale vista la forte e statisticamente accertata correlazione tra omosessualità e pedofilia) e la diffusione di messaggi inneggianti al comportamento contro natura. C’è da dire che il presidente africano Museveni ha recentemente firmato anche una legge contro la pornografia che vieta la presenza in Tv di persone vestite in modo inappropriato o scandaloso e che monitora le attività su internet dei cittadini. Insomma, mentre l’Occidente legifera allo scopo di “istituzionalizzare” la perversione, altri Paesi ancora immuni dal virus del politicamente corretto legiferano in senso contrario, dimostrando tra l’altro forti dosi di coraggio: in una nota, Washington ha annunciato che rivedrà le relazioni con l’Uganda, compresi i programmi di assistenza per il contrasto alla diffusione dell’Aids (non tutto il male viene per nuocere...); gli USA, continua la nota, «avvieranno una revisione interna delle relazioni con il governo ugandese in linea con le nostre politiche anti-discriminatorie e i principi che riflettono i nostri valori».
Eppure, l’Uganda non è l’unico Paese ad essersi accorto del pericolo insito nella pseudo cultura genderista e della follia collettiva di cui è consapevole preda l’Occidente relativista. È utile, a questo punto, fare una breve carrellata delle principali realtà che negli ultimi tempi hanno dato prova di volersi discostare dal comune modo di intendere le relazioni omosessuali.
Australia. La Corte Costituzionale australiana ha vietato, con un suo pronunciamento, i matrimoni gay nella Nazione. La sentenza è uscita pochi giorni dopo la celebrazione delle prime nozze omosessuali nella capitale federale, Canberra, dove il Parlamento aveva votato una legge che permetteva il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
India. La Corte Suprema indiana ha annullato una sentenza di un tribunale di New Delhi che nel 2009 aveva legalizzato l’omosessualità. La decisione è giunta in seguito a diverse petizioni di associazioni religiose contrarie alla depenalizzazione del reato previsto dal Codice penale indiano (introdotto durante l’epoca coloniale britannica), in base al quale sono vietate le relazioni tra adulti omosessuali consenzienti perché considerate contro natura.
Nigeria. Il presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha firmato una legge, approvata all’unanimità dal Parlamento nel maggio dello scorso anno, che prevede condanne con pene detentive che possono arrivare fino a 14 anni a «chiunque si registri, operi o partecipi ad attività di club, società ed organizzazioni gay, chiunque abbia una relazione gay pubblica o contragga un’unione civile o un matrimonio con una persona dello stesso sesso».
Croazia. Il referendum promosso dall’iniziativa civica «nel nome della famiglia» contro i matrimoni omosessuali ha registrato la schiacciante vittoria dei sì, malgrado gli appelli del governo, del presidente della Repubblica, di una larga parte dei media e del mondo accademico, che nelle settimane precedenti avevano invitato i croati a non avallare questa presunta forma di discriminazione.
Interessante notare che i promotori, spalleggiati con forza dalla Chiesa Cattolica croata, hanno dichiarato di essere stati spinti a tale iniziativa referendaria dopo che a maggio in Francia sono state legalizzate le nozze gay, «per prevenire che lo stesso accada anche in Croazia». Con questa modifica, la Croazia si è unita a Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Bulgaria, i cinque Paesi dell’UE che hanno già una definizione esclusivamente eterosessuale del matrimonio nelle rispettive Costituzioni.
Russia. Il Parlamento russo ha approvato una legge che vieta la propaganda omosessuale su tutto il territorio nazionale e per di più, con un provvedimento ad hoc, il premier Putin ha bloccato ogni trattato con gli altri Paesi europei ed in particolare con Francia, Spagna e Gran Bretagna circa le adozioni di bambini russi, perché tali Stati contemplano il matrimonio gay.
Le anime più sensibili e tolleranti tendono a ritenere inaccettabili norme che puniscono il comportamento omosessuale, ma occorre considerare che nella quasi totalità dei casi elencati, tali misure restrittive mirano essenzialmente ad impedire la propaganda omosessuale, ossia tutte quelle manifestazioni pubbliche (pubblicità, gay pride, comportamenti scandalosi, ecc.) che possono costituire occasione di scandalo per la popolazione, soprattutto minorile. È chiaro che tali provvedimenti finiscono per limitare, anche fortemente, la libertà stessa della persona con tendenze omosessuali ma è altresì opportuno ricordare che l’errore, o ciò che non è conforme al diritto naturale, non ha diritti e non può averne, pena la sua propagazione nel tessuto sociale a danno dell’intera collettività. D’altra parte, la pacifica convivenza tra i fautori della teoria del gender ed il resto della popolazione rappresenta una pura utopia. L’invocazione del falso principio di non discriminazione per acquisire agevolazioni o diritti (dunque guadagnare posizioni) costituisce il primo strumento di lotta delle avanguardie rivoluzionarie, le quali non si accontentano di raggiungere qualche obbiettivo, ma mirano ad abbattere la legge naturale e ad instaurare una vera e propria dittatura al contrario. La legge sulla cosiddetta omofobia, già presente in alcuni Paesi europei e dibattuta anche in Italia, è l’esempio di tale ribaltamento legislativo: in questo caso, ad essere fortemente ristretta è la libertà di tutti coloro che credono nell’esistenza di soli due sessi e concepiscono la famiglia come fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.