L’Alighieri fu intimamente mariano. Nella Divina Commedia il suo itinerario è certamente mosso dalla Vergine Maria, ch’egli chiama la rosa, il bel Zaffiro, la Regina del Cielo. Da questa elevatissima Poesia un invito a contemplare l’eccelsa Donna, alta più che creatura.
Sembra esserci un discreto accordo tra gli studiosi di Dante Alighieri, il nostro sommo Poeta, nel fissare la data dell’inizio della composizione del Paradiso, la III cantica della Divina Commedia, attorno al 1314, quindi 700 anni fa. Prova ne sia la lettera che Dante scrisse a Cangrande della Scala nel 1316, dedicandogli appunto il Paradiso e commentandogli i primi canti del medesimo in fase già avanzata di elaborazione.
Un altro anniversario dantesco riguarda il padre Franco Mazzarello dell’Ordine Somasco, che abbiamo ben conosciuto, essendo nato a Costigliole d’Asti, nel 1913, finissimo interprete dell’Alighieri e autore, tra le sue cose belle, di un volumetto di 40 pagine, gioiello di fede e di letteratura cristiana: Maria nella Divina Commedia.
Ivi Dante è tratteggiato come figlio devotissimo di Maria Santissima in una sintesi stupenda di fede, amore e poesia. Ne presentiamo i “frammenti” più belli.
«Donna gentil...»
Dante bambino, così presto orfano della mamma, la cara “donna Bella”, lo vediamo raccogliersi pensoso e commosso presso l’immagine della Madonna nella sua casa e presso gli altari mariani di Firenze. Adolescente studioso presso le scuole dei Francescani e dei Domenicani, tra Santa Croce e Santa Maria Novella, a Firenze, sua città natia, Dante si arricchì di forte cultura e sull’esempio di san Francesco, «il Serafico in ardore» e di san Domenico «di cherubica luce uno splendore», scoprì e visse un amore confidente alla Vergine Madre di Gesù, l’Uomo-Dio.
Giovane e uomo maturo, nello studio, negli incontri di società, sul campo di battaglia, nell’arengo delle dispute civili e politiche e negli anni dolorosi dell’esilio, quando imparò «come sa di sale lo pane altrui», al suono della campana dell’Angelus, tra le mura di Firenze o presso campanili lontani dalla sua città, negli anni suoi di «exul immeritus» (esule innocente!) salutava Maria, la Madre amatissima, «il nome del bel Fior che io sempre invoco / e mane e sera».
Sicuramente, egli sentì nella sua esistenza l’influsso benefico e “marianizzante” del grande Mistico e cultore della Madonna, san Bernardo di Chiaravalle, colui che aveva composto la celebre preghiera con il ritornello: «Guarda la stella, chiama Maria», e che si conclude: «Ipsam sequens, non devias; ipsam rogans, non desperas; ipsa propitia pervenis» (Se la segui non sbagli; se la preghi non disperi; se Ella ti è propizia, arrivi alla meta).
Ed è così che Dante credente, letterato e uomo politico, teologo tomista, fu profondamente mariano come lo sono i grandi, lo sono i santi.
Tuttavia ci fu nella sua vita un momento di sbandamento, «la selva oscura» di cui parla con termini drammatici all’inizio della Commedia: era lo sbandamento suo e dell’umanità che andava tralignando dalla retta via.
A questo punto, è Maria Santissima («donna gentil nel ciel che si compiange / di questo impedimento...) a mandare Virgilio, quindi Beatrice, in altri termini, a muovere con la sua intercessione la ragione e la fede in soccorso di Dante e dell’uomo oppresso dal peccato e dalle sue tragiche conseguenze.
Grazie a Lei, Madre buona, Dante ritrova la luce e le energie per intraprendere il cammino verso la Salvezza. Dalla caligine densa dell’inferno, giusta punizione per il peccato, si avvierà, per il sentiero dell’espiazione, sulla «montagna dalle sette balze» del Purgatorio, a spiccare il volo verso il Paradiso, fino alla «candida rosa dei beati» e alla visione di Dio.
È questo per Dante il cammino di illuminazione, di redenzione e di Salvezza. Per lui e per l’umanità che egli rappresenta e simboleggia. Ed è cammino condotto sotto gli occhi di Maria Santissima, la Madre Celeste, come se una voce dicesse al Poeta: “Coraggio, cammina, Ella ti guarda, Ella ti attende Lassù, per introdurti alla contemplazione e al godimento di Dio”.
«Vergine Madre»
Della Madonna, nell’Inferno non si parla se non nel canto II. Nel Purgatorio invece, dove le anime espiano la pena per le loro colpe, Maria è sentita come modello di ogni virtù, da meditare, da ricopiare quando si è ancora in vita: nessuna creatura fu di essa più umile, più caritatevole, più dolce, più alacre nel bene, più povera, più temperante, più pura.
I canti del Purgatorio sono disseminati di questi esempi mariani. Ma è nel Paradiso che Dante fa la sua celebrazione più alta della Madonna Santissima, segno che il ricordo di Lei lo rapiva, lo esaltava, lo innalzava alla Vetta. La sua è mariologia cattolica più pura, sulla sequela della santa Tradizione cattolica, trasmessa dalla Chiesa e illustrata, prima di lui, da san Bernardo, san Francesco d’Assisi, i santi Dottori Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio, e giunta fino a noi anche nelle figure luminose di san Massimiliano M. Kolbe e di San Pio da Pietrelcina.
Gli appellativi più belli della fede e della poesia, Dante li ha offerti alla Madonna per glorificarne il “trionfo”, insieme al trionfo di Cristo, così come possiamo leggere nei canti XXIII, XXXI e XXXII del Paradiso che serbano, in uno stile unico e insuperabile, i titoli mariani più veri e commoventi.
Maria è «la rosa in che il Verbo divino carne si fece»; «il bel Zaffiro del quale il Cielo più chiaro s’inzaffira», «la Regina del Cielo, ond’io ardo tutto d’amor»; «la Regina / cui questo regno è suddito e devoto»; «la faccia che a Cristo più si somiglia».
Chi volesse saperne di più, legga il libro di Alfonso d’Amato, O. P., Dante, l’uomo e il profeta, Bologna 1990, e vi troverà tutto su Dante, filosofo, poeta, teologo e apostolo cattolico; e sulla sua Commedia davvero divina, perché poema di Cristo e di Maria, «il poema sacro / cui pose mano e cielo e terra» (Par. XXV, 1-2).
Guidato dalla Madonna, Dante giunge alla meta del suo itinerario: Dio. Ma è Maria, pregata da san Bernardo, a introdurlo nell’intimo della Trinità divina. Lì la poesia e la fede di Dante toccano il punto più sublime: è il canto XXXIII del Paradiso, la preghiera di san Bernardo alla Madonna: «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio», con tutto quello che segue.
Nessuno ha mai celebrato la Madonna così; il pensiero teologico mariano Dante lo trasfigura in poesia stringata e altissima, quale nessun poeta ha osato prima di lui né oserà in futuro.
Questo canto sarà introdotto nella Liturgia delle ore, come inno del Comune della Vergine Maria. In una parola, è diventata preghiera liturgica e ognuno può far propria questa preghiera di Dante: non so se ce n’è un’altra più bella per invocare ogni giorno Maria Santissima.
La Madonna ascolta il suo Poeta e ascolta ogni uomo, anche il più disperato: «Li occhi da Dio diletti e venerati, / fissi ne l’orator, ne dimostraro / quanto i devoti preghi le son grati; / indi a l’Eterno Lume si drizzaro». In una parola, i credenti venerano Maria, perché è Dio stesso che la ama e la venera come Madre sua, e le “obbedisce”, quando Ella lo prega per noi.
Così si chiude la Divina Commedia, itinerario di un uomo simile a noi, dal peccato alla Salvezza, compiuto sotto lo sguardo e per l’intercessione “onnipotente” della Madre che a Dio sempre ci conduce, se noi le diciamo il nostro “sì” e le diamo la mano.
La Divina Commedia è il poema della fede, “il poema di Cristo”, ma anche “il poema di Maria”. Così Dante, uno dei più grandi spiriti dell’umanità (e non solo dell’Occidente), ha amato la Madonna e l’ha accolta nella sua vita, perché è Cristo Crocifisso che ce l’ha lasciata come Madre.
Che dire e che fare? In fondo, Dante sembra dirci: “Se sei felice, perché già cammini sulla via di Cristo, ringraziala perché Ella è Causa nostræ lætitiæ (la causa, la sorgente della nostra gioia). Ma se sei un povero che piange nella selva oscura del peccato e del dolore, vittima delle belve che percorrono il mondo, adesso non piangere più. C’è Lei, la Madre dell’Uomo-Dio e nostra, più madre di tutte le madri: prendila con te in casa tua e vedrai i miracoli nella tua vita”.