Siate benigni, modesti ed esemplari. Non giudicate gli altri, ma voi stessi.

Un giorno, un fraticello lacero e smagrito aveva chiesto a un gruppo di pescatori presso Reggio Calabria, che avevano appena tirato le barche in secco, la carità di essere traghettato sino a Messina. Quelli, data un’occhiata al cielo solcato da grossi nuvoloni, gli risposero: «Ci spiace, fratello, il mare, tra poco, sarà un inferno». L’umile frate non si scompose: buttò il mantello sull’acqua, vi salì sopra e con quella fragilissima imbarcazione, facendo vela a se stesso, raggiunse le coste di Messina in Sicilia! Costui era san Francesco da Paola, taumaturgo illustre, operatore di miracoli già da vivo, noto e stimato per santità e carismi in mezza Europa.
Quando il re Luigi XI di Francia, malato di un morbo incurabile, sentì la morte vicina, chiese al Papa Sisto IV di inviargli un santo che lo facesse guarire; il Papa gli mandò Francesco da Paola. Passando per Bornus e Frejus, per recarsi in Francia, fece sparire con la forza di Dio le diffuse epidemie che vi trovò. Al re Luigi non portò la guarigione del corpo, ma la conversione dal peccato alla vita di grazia santificante e lo preparò per il Paradiso. Questa è la cosa davvero urgente per tutti.
San Francesco nacque a Paola, un piccolo borgo sulla scoscesa scogliera calabrese. A 12 anni, affascinato da Gesù e volendo seguirlo come san Francesco d’Assisi, entrò tra i Francescani e poi per qualche tempo ne vestì il saio. Dopo un viaggio ad Assisi e a Roma, lo lasciò e andò a nascondersi in un luogo selvaggio non lontano da Paola, tutto dedito a vivere in compagnia di Gesù solo, nella preghiera, nella penitenza e nella solitudine. Era come sparito: per lungo tempo nessuno lo vide più e di lui non si seppe più nulla.
Lo trovarono per caso, anni dopo, alcuni cacciatori che inseguivano un capriolo. La scoperta ebbe un po’ il sapore di un miracolo: un bel gruppo di giovani, desiderosi di vita pura, di silenzio, di preghiera e di contemplazione – controcorrente all’incipiente “umanesimo” paganeggiante e lussurioso –, dai vicini paesi presero a recarsi al romitorio dove il loro coetaneo viveva in intimità con Gesù.
Qualcuno si fermava, qualche altro tornava a casa. Con i rimasti Francesco formò una piccola comunità che, in breve arricchita da altre vocazioni, diventò l’Ordine religioso dei “Minimi”, un gradino più in giù dei “Minori” di san Francesco d’Assisi. Ai tre classici voti della vita consacrata (castità, obbedienza e povertà), il Santo eremita della Calabria aggiunse il voto del digiuno e della più rigorosa astinenza dalle carni in Quaresima... Un ordine di penitenti, di asceti. Francesco realizzò tutto ciò quando aveva solo 19 anni, un vero enfant prodige della vita religiosa: il più giovane Fondatore di Ordini nella storia della Chiesa.
Penitente, eremita e grande taumaturgo, sempre al servizio dei poveri e dell’umile gente “del lavoro” che a quei tempi subivano molte angherie da parte dei “baroni” locali. Il nostro Santo denunciava pubblicamente le loro malefatte, invocando giustizia e minacciando terribili castighi divini a chi opprimeva i poveri. Tra questi vi era il re di Napoli, Ferrante d’Aragona: Francesco non si intimidì, ma prese ad attaccarlo con intrepido coraggio fino a colpirlo nel vivo. Il re tentò con le buone maniere di farlo tacere, quindi passò alle cattive, arrivando ad assediare il convento dove l’uomo di Dio dimorava con i suoi confratelli. Francesco si ricordò di essere taumaturgo... e sparì, quando i soldati pensavano di averlo catturato. Re Ferrante pensò di “comprarlo” con il denaro: un giorno in cui il Santo passava per Napoli, diretto in Francia, lo invitò a pranzo a corte e gli offrì una borsa con sonanti monete d’oro. Francesco ne prese una, la spezzò e... ne uscì sangue: «Sire – disse al re – questo è il sangue dei poveri che voi opprimete e che grida vendetta al cospetto di Dio».
La sua caratteristica era la “minorità”, anzi il farsi “minimo” davanti a Dio: quindi una vita di umiltà, di fiducia, di confidenza totale in Dio, di ascesi e di rinuncia, tutto mosso da un ardente amore a Gesù Crocifisso, unico suo Signore, unico suo Amore e unico suo Tesoro. Alla sua “minimità” (ci sia concesso questo “termine” che dice tutto di lui) si ispiravano altri Santi, più vicini a noi nel tempo, nel clima della superba modernità e post-modernità. Ci piace citare un “grande” della terra, il nobilissimo prof. Francesco Faà di Bruno (1825-1888), militare, professore di matematica all’università di Torino e poi sacerdote, Fondatore di opere a non finire, tra le quali le Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio... e l’umilissima santa Clelia Barbieri (1847-1870), 23 anni appena, Fondatrice delle Suore Minime dell’Addolorata.
Visse sino a 91 anni, il Santo eremita di Paola: morì il 2 aprile 1507 a Plessis-les-turs in Francia. Era Venerdì Santo e si leggeva la Passione di Gesù: quando il lettore lesse: «Gesù, chinato il capo, rese lo spirito» (Gv 19,30), Francesco andò incontro a Dio. Nel 1519, a soli dodici anni dalla morte, Papa Leone X lo iscrisse tra i Santi.