
Nel 1858, a Lourdes, l’Immacolata ripeté a santa Bernadette: «Penitenza, Penitenza, Penitenza», e a Fatima chiese ai tre Pastorelli di pregare e di fare penitenza per riparare le offese fatte a Dio e per salvare le anime dalla dannazione eterna.
I richiami materni della Madonna sulla necessità della penitenza per l’espiazione dei peccati degli uomini e per la riparazione delle offese fatte a Dio trovarono pieno compimento nella vita di padre Pio da Pietrelcina, umile figlio di san Francesco. Sin dal Sacrificio del Calvario per la redenzione dell’uomo Dio ha suscitato delle anime generose che, associate al Sacrificio di Gesù, si offrono per la salvezza delle anime. Padre Pio è stato anche lui una di queste anime vittime che con le loro penitenze e sacrifici placano l’“ira” di Dio. Nel suo Epistolario rivelò al direttore spirituale come Gesù stesso lo avesse scelto perché lo aiutasse nell’opera della salvezza delle anime: «Gesù si sceglie delle anime e tra queste, contro ogni mio demerito, ha scelto anche la mia per essere aiutato nel grande negozio dell’umana salvezza. E quanto più queste anime soffrono senza verun conforto tanto più si alleggeriscono i dolori del buon Gesù» (Ep. I, n. 98). Padre Pio, con i suoi innumerevoli sacrifici, alleggeriva i dolori di Gesù ed espiava i peccati. San Paolo nella sua Lettera ai Colossesi scriveva: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo per il suo Corpo che è la Chiesa» (Col 1,24); tutta la vita di padre Pio potrebbe, dirsi a ragione, che fu una ripetizione di questa affermazione dell’Apostolo delle genti. Il Santo non solo completava quello che manca ai patimenti di Cristo con le sue mortificazioni, ma fu un altro Cristo Crocifisso che, con il proprio sangue, il sangue delle stimmate, riscattava i peccatori.
Padre Pio con le sue penitenze voleva espiare per i peccati di tutti gli uomini, non solo della terra ma anche per tutte le anime del Purgatorio. Chiedeva di essere caricato dei castighi di tutti i peccati per soddisfare alla giustizia divina e liberare i fratelli.
Nel 1920 scrisse a padre Benedetto: «Sono pronto a tutto, purché Gesù sia contento e mi salvi le anime dei fratelli» (Ep. I, n. 569). E successivamente, nel corso del 1921: «Sento la forza di rinunziare a tutto purché le anime tornino e amino Gesù» (Ep. I, n. 582). «Ho lavorato, voglio lavorare; ho pregato, voglio pregare; ho vegliato, voglio vegliare; ho pianto e voglio piangere sempre per i miei fratelli d’esilio» (Ep. I, n. 609). Soffrire per salvare e liberare le anime, riparare le offese arrecate a Gesù e vedere Dio amato da tutti gli uomini: furono questi i motivi delle continue penitenze di padre Pio.
Consapevole della sua missione di sacerdote crocifisso e vittima, egli si interponeva tra Gesù e le anime per prendere su di sé, come un nuovo “Agnello”, i castighi meritati per i loro peccati. Padre Agostino da san Marco in Lamis, nel suo Diario, annotò un’estasi di padre Pio datata 3 dicembre 1911, in cui gli si presenta Gesù tutto piagato con una spada in mano, la spada dell’ira di Dio che vuole colpire gli uomini: «Gesù mio – disse padre Pio – come mai questa mattina così piagato? Te n’hanno fatto delle grosse oggi? Quante profanazioni nel tuo santuario... Gesù mio perdona, abbassa quella spada. La spada se deve cadere, trovi solo il mio capo... Sì, io voglio essere la vittima... mandami anche all’inferno, purché ti amino e si salvino tutti, sì, tutti». Anima eletta, dotata di carismi eccezionali e sempre a contatto con Dio, ben poteva capire quale fosse la santità di Dio, i rigori della sua Giustizia e capiva anche la bruttezza e la gravita del peccato e quanto dispiaceva a Dio.
Il lungo martirio delle stimmate, le persecuzioni, le malattie, le pene interiori, senza dimenticare le percosse senza numero inflittegli dal demonio, fecero di padre Pio l’“uomo dei dolori”, una vittima di espiazione. Solo la purezza del suo amore per Dio e per i fratelli d’esilio potrà spiegare tanta generosità e magnanimità nel sacrificarsi per le anime ad immagine di Gesù Crocifisso.
Il peccato è offesa che merita castigo e riparazione e richiede espiazione in questa o nell’altra vita. Nel peccato stanno l’offesa alla santità di Dio e il disprezzo del suo amore. L’offesa vuole espiazione e l’ingratitudine la riparazione; perciò la Chiesa ci insegna a fare penitenza per i nostri peccati e ci invita continuamente alla conversione, sradicando dal nostro cuore il peccato.
Come potrebbe spiegarsi che le anime sante, le quali s’impegnano per evitare il minimo peccato volontario, vogliono sempre fare penitenza per espiare i peccati propri e soprattutto quelli degli altri, mentre invece noi, che pecchiamo e offendiamo di continuo Dio anche ad occhi aperti, facciamo di tutto per vivere comodamente escludendo dal nostro vocabolario ogni espressione che si rapporti con la penitenza? Chiediamo a padre Pio di ottenerci la grazia di accogliere anche noi il messaggio della Madonna a Fatima che ci raccomanda di pregare e di fare penitenza per noi e per tutte le anime che si perdono, compiendo bene i nostri doveri e accettando tutti i sacrifici che Dio ci chiederà. di Reine Akeke