SANTO NATALE
Il presepe come trincea e il Natale come dramma
dal Numero 01 del 5 gennaio 2025
di Guido Vignelli
La grotta di Betlemme è simile ad una trincea militare perché, con la sua presenza, mira ad opporsi alla logica del mondo. Il Natale, infatti, non è solo gioia e serenità, ma è anche dramma, perché perseguitato da Erode, simbolo dei tiranni dei nostri giorni. Ma la vittoria sarà sempre di Cristo.
Con i tempi miseri e squallidi che corrono, è necessario celebrare al meglio il Santo Natale. Ma bisogna ricordarsi che, oggi più di ieri, questo sacro evento non è solo festa, gioia, serenità; è anche mistero, dramma, conflitto, come afferma una bella pagina del capolavoro saggistico di Gilbert K. Chesterton, L’uomo eterno (parte II, capitolo I). Secondo Chesterton, l’allegria della grotta di Betlemme era simile a quella che anima una trincea militare, una postazione d’avanguardia nel territorio nemico, la quale mira audacemente a opporsi al mondo e ai suoi avversi poteri. La Sacra Famiglia si rifugia nella grotta natalizia non solo perché ignorata e disprezzata dal mondo, ma anche perché temuta e minacciata dal satanico “principe di questo mondo” e dai suoi agenti terreni. Ad esempio, il re Erode – agente del nemico infernale – non tollerava l’arrivo del Redentore celeste, perché temeva che la sua nascita costituisse una rivendicazione di legittima sovranità spirituale in faccia agli illegittimi tiranni terreni, una implicita dichiarazione di guerra contro di loro. In modo grossolano, Erode intuiva la pericolosità del Natale, perché capiva che quel divino Neonato è un sovrano geloso che vieta di “servire due padroni” e che quindi pone una drastica alternativa: scegliere se essere per Lui o contro di Lui. I Re Magi hanno scelto di omaggiare e servire il Re celeste, al quale giustamente offrono non solo il dono penitenziale della mirra e quello adorante dell’incenso, ma anche quello regale dell’oro; essi sono manifestazione della vera sovranità culturale e politica, sono prefigurazione dei futuri sovrani cristiani della storia umana. Invece Erode, immagine della tirannia empia e feroce, ha scelto di far uccidere quel supposto rivale, perché teme che la sua nascita prepari la sua deposizione dal trono regale; non potendo identificarlo, per essere sicuro fa uccidere tutti i bimbi nati in quei giorni. E così, il neonato Redentore, è costretto a salvarsi andando in momentaneo esilio. Non accade forse così anche alla Chiesa? Leggiamo Chesterton: «Erode ebbe il suo posto nel dramma miracoloso di Betlemme, perché egli costituisce la minaccia alla Chiesa militante e, fin dall’inizio, la pone in stato di persecuzione e nella necessità di combattere per salvarsi […]. Se non ci rendiamo conto della presenza del Nemico, ci sfuggirà non solo il senso del Cristianesimo ma anche quello del Natale […]. Il Cristianesimo è anche sfida e combattimento. Mentre è deliberatamente esteso fino ad abbracciare ogni aspetto della verità, esso è anche fermamente schierato contro ogni sorta di errore; convince ogni sorta di uomini a combattere per lui, usa in guerra ogni sorta di armi, allarga la conoscenza delle cose pro e contro le quali si combatte con tutte le arti». Ogni epoca ha i suoi nuovi Erode che temono la fede, perseguitano la Chiesa, minacciano i fedeli, uccidono gli innocenti. Tuttavia, i tiranni di oggi lo fanno in nome di valori quali “legalità”, “pace e sicurezza”, “qualità della vita”, “libertà di pensiero”, “diritto all’autodeterminazione”, obbligo di garantire “pari opportunità”, dovere di “includere e non discriminare”. I tiranni di oggi perseguitano i fedeli usando metodi democratici, ossia appellandosi alla “solidarietà globale”, alla “volontà popolare”, alle votazioni dei Parlamenti, alle sentenze delle Magistrature, alle direttive delle Commissioni Europee. Ma si tratta pur sempre di crimini legalizzati, ad esempio effettuati tramite aborto, contraccezione abortiva, selezione embrionale, eutanasia, espianto prematuro di organi. E così, l’odierna tirannia proclama che “nessuno tocchi Caino”, ma non proclama parimenti che “nessuno tocchi Abele”; così, si abolisce la pena di morte per i colpevoli, ma la s’introduce per gli innocenti. Eppure, la giustizia impone che non si può mettere sullo stesso piano l’innocente e il colpevole, realizzare la “pari opportunità” per il bene e il male. Bisogna pur scegliere, e il non voler scegliere significa ridurre la difesa della vita umana innocente a una questione privata e quindi indegna di pubblica tutela, abbandonando pilatescamente Abele nelle mani di Caino. Insomma, se il presepe ci dipinge uno scenario di gioia e di festa, il Natale diventa presto anche teatro di dramma e di conflitto; ma un dramma che prepara il prodigioso trionfo della Risurrezione sulla morte, un conflitto che preannuncia la finale vittoria di Cristo su satana, della Chiesa sull’anti-chiesa e quindi anche dei Re Magi su Erode.
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