La santità di Padre Pio si manifesta non tanto nei fenomeni mistici e straordinari, ma soprattutto nelle sue virtù eroiche. Mirabilmente splendette la sua vivissima fede, anche nelle più tenebrose prove della vita.
In quest’Anno della fede che volge al termine per imparare come si vive la virtù della fede, dobbiamo guardare ai santi perché sono essi che ci insegnano giorno per giorno, nelle nostre difficoltà quotidiane, a vivere non solo secondo la ragione umana e la visione umana, ma secondo la ragione illuminata dalla fede, secondo quella visione soprannaturale che ci fa vedere noi stessi e gli avvenimenti della nostra vita nell’ottica di Dio.
San Pio è stato un gigante della fede. La sua vita spirituale così ricca di doni mistici straordinari, di carismi, di favori celesti potrebbe indurci a pensare che non abbia richiesto lo sforzo della fede. E invece grandi, lunghe e profonde sono state le prove che hanno richiesto l’esercizio eroico della fede: innanzitutto le prove spirituali, quelle volute da Dio stesso, poi le prove esterne quelle che gli sono provenute dalle autorità ecclesiastiche e dagli uomini.
Se apriamo il suo Epistolario scopriamo che accanto alle estasi e rapimenti di cui era favorito, viveva momenti di oscurità totale nei quali a sorreggerlo era la fede pura. Nella prova misteriosa della sua permanenza a Pietrelcina, fuori dal convento, scrive il 25 agosto 1915: «Avvenga quello che Dio ha stabilito di me; ma io in ogni modo spererò sempre in Lui e la mia voce sempre più forte si innalzerà: “Etiam si occideris me, in te sperabo”... Non ne posso quasi proprio più, mi sento tutto venir meno, all’infuori di quel tenue filo che è la fede, che per me è l’unico punto d’appoggio in questo mare tempestoso» (Epistolario I, p. 643).
Nella notte oscura dell’anima lo assalgono le penose tentazioni contro la fede: «Ci sono certi momenti che vengo assalito da violente tentazioni contro la fede [...]. Di qui nascono ancora tutti quei pensieri di sconforto, di diffidenza, di disperazione e persino, non inorridite padre, per carità, di bestemmia» (ivi, p. 910); «Prego di continuo, ma la mia preghiera non si eleverà mai da questo basso mondo. Il cielo, padre mio, sembrami divenuto di bronzo; una mano di ferro è posata sulla mia testa: ella mi respinge di continuo lontano lontano [...]. Mi sforzo di stare alle assicurazioni di chi tiene le veci di Dio, ma nell’anima non può mai scendere un raggio di luce. Una credenza secca, senza alcun conforto e solo bastevole a non gittare l’anima nella disperazione. [...] Non è l’incredulità che così mi fa parlare, ma sibbene è l’acerbità del dolore, che si è impossessata di tutto l’essere mio. Compatite un povero cieco che va errando nel più fitto buio di un’alta notte» (ivi, pp. 751-752).
Ci sono molte pagine dell’Epistolario nelle quali il giovane Sacerdote descrive questo stato di estrema desolazione nella quale solo una «credenza secca» lo salva dalla disperazione. Questa oscurità interiore sembra aver accompagnato il Santo per tutta la sua vita. Alla luce di questo squarcio sull’anima di San Pio si può intuire la ragione per la quale strappava tante anime dall’incredulità e le conduceva nel cammino di fede: prendeva per sé le tenebre dell’empietà e dell’incredulità e donava alle anime che a lui si accostavano la luce della grazia e della fede.
«La fede – testimonia don Pierino Galeoni – gli faceva conoscere intimamente lo spirito di Dio e in Lui ogni altra creatura. Penetrava nella vita di Dio sino al punto da squarciare ogni velo di mistero, specialmente del Figlio di Dio, per quanto possibile all’umana intelligenza [...]. Per la fede Padre Pio si perdeva in Cristo, perché Cristo vivesse in lui. Per la fede Dio dimorava in lui e lui in Dio: essa difatti fa vivere i giusti, muove a conversione i peccatori, sposta le montagne e dona la salvezza [...]. Noi lo vedevamo sempre sereno, visibilmente curvo sotto una croce invisibile, ma lieto nelle sofferenze» (Pierino Galeoni, Padre Pio, mio padre, pp. 21-22).
La fede lo sosterrà anche nelle incomprensioni, sospetti, calunnie e condanne ingiuste che contrassegneranno la sua missione di sacerdote stimmatizzato. Nella sua eroica visione di fede seppe vedere tutto come Volontà di Dio e come occasione per unirsi alla Passione di Gesù. Nel 1921 cominciarono le accuse calunniose presso il Santo Uffizio e la serie di interventi di Visitatori apostolici che dovevano studiare il caso “Padre Pio”, le sue stimmate, i suoi presunti fenomeni mistici, il “fanatismo” di coloro che lo circondavano, specie delle donne. Questo periodo ebbe un triste epilogo: nel giugno del 1931 il Santo fu privato di ogni facoltà del sacro ministero, potendo celebrare la Santa Messa soltanto nella cappella interna della clausura e col solo inserviente. Quando il superiore gli notificò il decreto del Sant’Uffizio, «egli alzando gli occhi al cielo – testimonia lo stesso superiore – disse: “Sia fatta la volontà di Dio”. Poi si coprì gli occhi, chinò il capo, e più non fiatò. Cercai di confortarlo, ma il conforto egli lo trovò solo in Gesù pendente dalla croce, perché, poco dopo, tornò in coro a pregare e vi restò fino alla mezzanotte ed oltre. In seguito mai fece neppure la minima lagnanza in tutti e due gli anni della dura prova; ma sempre, come al solito, docile, umile ed obbediente e paziente con tutti. A quelli che cercavano in qualche modo di confortarlo, mai fece un lamento e né un minimo accenno contro le autorità: per lui era la volontà di Dio» (Padre Raffaele D’Addario, Brevi cenni riguardanti la vita di Padre Pio, manoscritto).
Padre Aurelio di Iorio che fu vicino al Padre durante il periodo di segregazione racconta che «si mostrava sempre ilare e confortato e per non impressionare me, mi rileggeva qualche capitolo della Storia dei Papi del Pastor. Parecchie volte lo ritrovavo con le lacrime agli occhi. Gli domandavo del perché di queste sofferenze e, anche allora mai mi disse una parola amara per la condanna ricevuta. Avendo conosciuto poi da estranei il vero motivo della sua segregazione ero io a dir male dei condannatori. Mi riprendeva dolcemente: “Dobbiamo vedere nei superiori la volontà del Signore”» (dalla Positio).
Questa “fede incandescente” egli la viveva e la faceva vivere anche ai suoi figli spirituali. Ad un suo figlio spirituale disse: «Figlio mio, la fede è un dono di Dio, ma chiediamola con cuore fiducioso e, quando l’avremo ottenuta, facciamo attenzione a non mai perderla». E ad un’altra persona diceva spesso: «La fede è preghiera e si alimenta con la preghiera». Chi entrava nell’atmosfera spirituale che circondava il Santo si sentiva quasi catapultato in una dimensione tutta soprannaturale che portava a vivere una vita elevata agli altipiani della fede.
Come un giorno ai suoi figli, il Santo esorta anche noi a crescere nella fede e ci dice: «Il più bel credo è quello che prorompe dal tuo labbro nel buio, nel sacrificio, nel dolore, nello sforzo supremo di una infallibile volontà di bene; è quello che, come una folgore, squarcia le tenebre dell’anima tua, è quello che nel balenar della tempesta, ti innalza e ti conduce a Dio».