SANTO NATALE
Adorazione degli angeli
dal Numero 47 del 15 dicembre 2024
di Mario Caldararo
Il dipinto l’“Adorazione degli angeli” è un’istantanea fotografica del momento centrale della storia: l’Incarnazione. Lo splendore della mangiatoia si contrappone con il tempio pagano nello sfondo: segno che il Bambino divino, adorato dagli angeli, è l’unico che ha portato all’uomo la vera salvezza.
La dirompente e rivoluzionaria forza del Cristianesimo è quella di un Dio che si fa uomo e vagisce tra le braccia dell’Immacolata e percorre le strade della storia arrivando a bere fino all’ultima goccia il calice dell’umanità e del dolore, penetrando nel baratro della morte. Nessuna religione ha mai immaginato qualcosa di neanche lontanamente simile ad un Dio che si fa uomo. La nascita di Gesù coincide con l’Incarnazione del Verbo, per cui parlare della Natività di Gesù è fare un discorso teologico: infatti i primi sette Concili ecumenici, di cui l’ultimo fu il Concilio di Calcedonia, furono concili cristologici. Proprio a proposito dei due misteri più grandi della vita di Gesù, i due abbassamenti della nascita e della morte, la storia dell’arte ha dato libertà alla fantasia nel proclamare con i colori la cristologia. L’opera che leggiamo insieme è conosciuta come Natività ma sarebbe ancor meglio chiamarla Adorazione degli angeli. L’autore è Charles-André van Loo, il più noto di una famiglia di pittori olandesi che visse tra l’inizio e la metà del ’700, il quale nella raffigurazione della Natività si è cimentato diverse volte. La scena è un notturno con due fonti di luce, dall’alto una luce divina che irrompe come raggi che fendono le nubi sulle quali sono poggiati cherubini, e poi la luce che emana il Bambino che rappresenta il centro del dipinto incorniciato e sottolineato dal candore luminoso dei lenzuolini. L’ambientazione sono i ruderi di un tempio e questo è un topos iconografico presepiale con un intento apologetico: i ruderi sono i templi della vecchia religione pagana politeista e lo splendore decaduto di quei marmi è sostituito dallo splendore perenne della mangiatoia. In primo piano una sella. Se molti sono i rimandi biblici ed evangelici al giogo, la referenza liturgica più prossima è quella del canto delle profezie, conosciuto come Regem venturum, che nella sesta profezia canta: «Nascetur nobis parvulus et vocabitur Deus fortis; / ipse sedebit super thronum David patris sui et imperabit; / cuius potestas super humerum eius». Adagiato sulla paglia secca il chicco di grano nato per morire: Gesù che mollemente adagiato riposa, roseo, serenamente vegliato dal sorriso della Madre che in un gesto delicatissimo, che traspare anche se dipinto, aggiusta i lenzuoli poveri di Colui che, nato nudo sulla paglia, morirà nudo sulla nuda Croce. In secondo piano san Giuseppe che compie un gesto enigmatico che può essere letto in due modi. Quelle mani protese verso il Bimbo divino e quello sguardo verso l’alto possono indicare affidamento del Bambino da parte di san Giuseppe oppure un misto tra perplessità e dubbio. Infine troviamo sulla sinistra una piccola schiera di tre angeli in ginocchio e in atteggiamento di adorazione. Già degli angeli in ginocchio erano posti, sotto forma di effigie, sul coperchio dell’Arca dell’alleanza, ma ora davanti a loro hanno il Corpo e il Sangue dell’Alleanza vera ed eterna. Gli angeli sono stati i primi adoratori del Verbo Incarnato. Il dipinto sembra quasi un’istantanea fotografica del momento in cui la Madre divina posa il Figlio nella greppia, anche il tempo che sempre è inesorabilmente transeunte si ferma in contemplazione dell’Eterno senza limiti. Al di là dei caratteristici presepi che, con minuziosa ricerca e lavoro, si “affannano” per mostrare l’alternarsi del giorno e della notte e di pastori e botteganti intenti nelle loro attività, dobbiamo ricordare che il presepe è un’istantanea fotografica, come questo quadro, un’istantanea di questo momento centrale e cronologicamente divisivo della storia proprio come narrato nel Protovangelo di Giacomo nel quale ascoltiamo san Giuseppe narrare quel momento in cui persino l’aria si ferma ad adorare: «Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell’aria e vidi l’aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non l’alzavano dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull’acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso».
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