I FIORETTI
Fedele figlio del Serafico Padre
dal Numero 34 del 15 settembre 2024

Tra le devozioni da praticare quotidianamente, annotate nei Frammenti di “Diario”, padre Pio tra l’altro scrive: «Novene: […] al padre s. Francesco» ( Ep. IV, p. 1022). 


Quella verso il Serafico Padre san Francesco fu una devozione tutta particolare che non poteva assolutamente mancare a colui che fin dalla nascita portò il nome del Poverello d’Assisi e che nella vita ne sarebbe divenuto degno figlio e fedelissima copia. Appena quindicenne aveva già fatto anche la scelta dell’Ordine in cui realizzare quella decisione di consacrarsi a Dio maturata fin dalla più tenera età, e nel rispondere alla chiamata divina così diceva: «Dove meglio potrò servirti, o Signore, se non nel chiostro e sotto la bandiera del Poverello di Assisi?» (Ep. III, p. 1007). Più tardi, a chi voleva indurlo a lasciare la dura vita cappuccina per le precarie condizioni di salute, con la tempra dura dei Forgione e fissato nell’ideale della fedeltà, rispose: «Quando uno ha dato la parola a san Francesco non può ritirarla». E, come riferisce padre Agostino da San Marco in Lamis nel suo Diario, fu proprio il Serafico Padre che gli apparve per avvertirlo della decisione dei superiori di mandarlo in famiglia a causa della persistente malattia: «O Serafico Padre mio – diceva padre Pio in estasi –, tu mi scacci dal tuo Ordine? Non sono più tuo figlio? La prima volta che mi appari, padre san Francesco, mi dici di andare a quella terra di esilio? Ah, Padre mio, è volontà di Dio? Ebbene fiat» (Diario, p. 50). Il nome di san Francesco compariva quasi sempre nelle sigle con cui iniziava le sue lettere e per molti anni, nella chiesetta di Santa Maria delle Grazie, celebrò la Santa Messa quotidiana all’altare dedicato a san Francesco. Più volte san Francesco gli apparve insieme a «Gesù, la Mammina, l’Angioletto, san Giuseppe» (Ep. I, p. 252) e spesso lo accompagnava all’altare e al confessionale insieme alla Mamma celeste. Padre Agostino, nel Diario, descrive anche la commozione con cui padre Pio seguì dalla finestra del Coro la processione della statua di san Francesco svoltasi a san Giovanni Rotondo nel 1939, in occasione della proclamazione del Serafico Padre come Patrono d’Italia.
Ma la sua devozione si esprimeva principalmente nel cercar di divenire ogni giorno sempre più degno figlio del Serafico Padre e suo imitatore. A tal scopo chiese a Nina Campanile di pregare Gesù per lui: «Parlagli per me – così le scriveva il padre in una lettera –, che mi faccia la grazia di essere figlio meno indegno di san Francesco, che possa essere di esempio ai miei confratelli in modo che il fervore continui sempre e si accresca sempre più in me da far di me un perfetto cappuccino» (Ep. IV, p. 1010). 


Del Serafico Padre cercava di imitare e uguagliare l’amore a Gesù nel mistero della Natività, nella presenza dell’Eucaristia, nel dramma della Passione; ne ammirava e imitava la predilezione e l’amore tenero e filiale alla Santissima Vergine, e, verso la chiesetta di Santa Maria delle Grazie, nutriva, come san Francesco per Santa Maria degli Angeli, una speciale predilezione. Come il Serafino d’Assisi, padre Pio nutriva una grande venerazione per gli angeli e soprattutto per l’arcangelo san Michele e anche nell’amore per le più umili creature rispecchiava il “cantore di Dio”, tanto da soffrire, come riporta padre Pellegrino Funicelli, per un uccellino ucciso da un frate al quale ricordò: «Ma San Francesco non faceva così».
Sull’esempio del padre san Francesco, padre Pio si propose la pratica delle più belle virtù, specialmente delle più difficili che caratterizzarono il Poverello di Assisi: l’umiltà e la povertà. Ricordando il Serafico Padre che si riteneva un vile vermiciattolo, padre Pio era convinto di essere il peggiore peccatore, indegno di portare l’abito di san Francesco, e a una persona che lodava la sua bontà rispose: «Non so come quest’abito di san Francesco che porto, non se ne scappi d’addosso». Umiltà che lo portava a schivare ogni lode, a domandare perdono ai confratelli per i fastidi arrecati, a obbedire ai superiori come un cadavere, a gridare il Mio Dio e mio tutto di san Francesco.


La povertà serafica, che tanto amò il padre san Francesco, brillò come veste fulgida nella vita di san Pio, che la osservò, oseremmo dire, fino allo scrupolo. Abiti usati e cingoli logori, ma ben puliti, avevano la sua predilezione, e la sua cella era quella di un povero frate. Rifiutava cose superflue e non convenienti alla povertà. Una volta che gli si voleva installare in cella un condizionatore d’aria per sollevarlo dalla calura estiva che lo opprimeva, il padre addolorato osservò: «Che dirà il Serafico Padre?». Un giorno padre Onorato, scherzando, gli si avvicinò con un metro da sarto in mano dicendo di dovergli prendere la misura dei pantaloni perché con le innovazioni che stavano per venire era meglio esserne provvisti; a quel punto padre Pio scattò e con tono risoluto gli gridò: «Hai perduto la testa!? Io sono vissuto e morrò con questo abito benedetto indosso, hai capito?».


Con il suo esempio, padre Pio suscitò molte vocazioni alla vita religiosa e al Terz’Ordine Francescano che aveva molto a cuore; egli era convinto che il francescanesimo fosse il rimedio ai mali della società perché «lo spirito di San Francesco […] è tutto spirito di Gesù Cristo» (Ep. III, p. 1050). 
Vogliamo risanare le piaghe di questo mondo? «Fa’ conoscere a tutti san Francesco ed il suo vero spirito» ci dice padre Pio, assicurandoci che: «Grande è il merito che ti sarà serbato lassù» (ivi, p. 1079).  

 

di Suor M. Eucaristica Pia Lopez

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