Anche quest’anno si è celebrata la Giornata Nazionale per la Vita. Una breve ma ricca riflessione sul messaggio rilasciato dalla CEI per l’occasione ci permetterà di comprendere quali debbano essere le priorità nella lotta da intraprendere e quali le contraddizioni da evitare.
Domenica 4 febbraio, la Chiesa italiana ha celebrato la “Giornata Nazionale per la Vita” (GNPV) numero 46. E per capire l’essenza della celebrazione basta fare una piccola sottrazione. Ovvero 2024, l’anno in corso, meno 46. Si ottiene così 1978, l’anno tragico della votazione e dell’approvazione della legge 194.
La famigerata legge sull’interruzione di gravidanza, dopo una propaganda martellante e deformante, fu sostenuta da PCI, PSI, PSDI, PRI e PLI. Sigle che diranno poco ai lettori più giovani, ma che ben rappresentavano lo schieramento laico e
anti-umanista nel parlamento di allora. Alcuni di quei partiti guardavano ancora alla Mosca sovietica, da cui attingevano ideali, simboli e “valori”: come il diritto all’aborto, introdotto in Russia dopo la rivoluzione di Lenin del 1917.
Furono contrari, al tempo, la Chiesa e le sue istituzioni, con in prima fila il neonato Movimento per la Vita di Carlo Casini, la Democrazia Cristiana di Benigno Zaccagnini e il Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante. Ma non mancarono cattolici e sacerdoti favorevoli all’aborto e progressisti contrari. Tra questi ultimi si ricordi la voce profetica di Giorgio La Pira, padre costituente e sindaco di Firenze, che definirà la 194 come una legge “integralmente iniqua”.
Il messaggio della CEI, per la giornata, si intitola “La forza della vita ci sorprende. Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?”. Partendo da una citazione biblica, si denunciano le tante incapacità, politiche e culturali, di «riconoscere il valore della vita».
Come spesso negli ultimi anni, i vescovi non si limitano alla difesa della vita prenatale, ma allargano il discorso alle varie vite “di scarto” dell’odierna società edonistica. Tra queste quella del “migrante”, del “lavoratore”, della “donna”, dei “malati e disabili gravi”, la cui vita è spesso «giudicata indegna di essere vissuta».
La stessa vita dei bambini, «nati e non nati – scrivono i vescovi – viene sempre più concepita come funzionale ai desideri degli adulti», e così «sottoposta a pratiche come la tratta, la pedopornografia, l’utero in affitto o l’espianto di organi». Prassi ormai diffuse e tollerate dall’alto.
«In tale contesto – prosegue il messaggio episcopale – l’aborto, indebitamente presentato come diritto, viene sempre più banalizzato», per non dire propagandato e promosso, «anche mediante il ricorso a farmaci abortivi o “del giorno dopo” facilmente reperibili».
Ovviamente ogni vita vale, inclusa quella dei criminali e dei balordi, e ogni esistenza perciò è degna di essere protetta. Si potrebbe dire, ribaltando uno slogan riduttivo e ideologico che viene dagli Stati Uniti, che «All lives matter».
Secondo i vescovi d’Italia quindi, «tante sono le vite negate», a cui in vario modo «la nostra società preclude di fatto la possibilità di esistere o la pari dignità con quelle delle altre persone». Certo.
È diverso però, ci permettiamo di farlo notare ai presuli, battersi per salvare il migrante dall’affogamento in mare – cosa ovviamente buona e giusta –, ma su cui tutti sono d’accordo, e lottare per la vita “dal concepimento alla morte naturale”, cosa su cui ogni accordo sembra impossibile.
Anzi, molto spesso, quelle stesse istituzioni europee che fanno della difesa dello straniero o della donna una loro bandiera, poi, con ciclopica incoerenza o con una coerenza di tipo ideologico e non dichiarato, lottano contro l’embrione, per l’eutanasia, il suicidio assistito e altri “delitti di Stato”.
Un esempio paradigmatico di ciò lo si ha nella vicina Francia, uno dei paesi in Europa che accoglie più stranieri e immigrati, e che si pone come avanguardia nella tutela dei diritti delle donne. Il che la porrebbe in apparente sintonia coi vescovi italiani e la Giornata Nazionale per la Vita.
Ma proprio Macron e i suoi hanno appena approvato l’inserimento del diritto all’aborto nella Costituzione francese (493 parlamentari a favore e solo 30 contrari). Ed è triste che gran parte dei conservatori e dei patrioti, dai Repubblicani di Éric Ciotti (40 su 62) al Rassemblement National di Marine Le Pen (46 su 88) abbiano appoggiato una legge fortemente voluta dall’estrema sinistra di Mélanchon. L’iscrizione del diritto di aborto nella Costituzione, infatti, oltre al valore simbolico, sarà usata, secondo tutti i giuristi, contro ogni obiezione di coscienza dei medici e ogni manifestazione anti-aborto.
Se quindi, come conclude il messaggio della CEI, «il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili», allora Giorgia Meloni, che presiede uno dei governi più sensibili alla crisi demografica e alla tutela della maternità, deve intervenire presto a sostegno della vita.