«La regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità» (Rb I): è questo l’incipit e la nota dominante della Regola bollata di san Francesco d’Assisi, regola che nel corso di otto secoli di Francescanesimo ha formato schiere innumerevoli di santi. Tra questi spicca lo stigmatizzato del Gargano, san Pio da Pietrelcina, figlio fedelissimo del Serafico. San Pio ha fondamentalmente radicato l’intera sua vita religiosa, svoltasi quasi interamente nel convento dei Cappuccini di san Giovanni Rotondo, sull’osservanza fedele della Regola e delle Costituzioni, salvezza e santificazione dei religiosi. «Osserva ciò che devi osservare e sarai santo», disse un giorno a un religioso che gli chiedeva cosa dovesse fare per diventare santo; «manteniamoci costanti nell’esatta osservanza di esse e saremo perfetti» (Ep IV, p. 256), scrisse ancora a fra Gerardo, religioso cappuccino che gli chiedeva consigli per progredire nella via della perfezione.
Con l’avvicinarsi dell’VIII centenario dell’approvazione della Regola,è questa osservanza che vogliamo ripercorrere, a nostra e altrui edificazione.
“Sono figlio dell’obbedienza”
«Frate Francesco promette obbedienza e ossequio al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. E gli altri frati siano
tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori» (Rb I).
San Pio si dichiarava «figlio umilissimo e obbedientissimo della Chiesa» e del Vicario di Cristo, il papa, e possiamo realmente dire che l’intera vita di padre Pio è stata regolata dall’obbedienza, mossa soprattutto dall’amore profondo che egli nutriva per la Santa Madre Chiesa e dalla brama di uniformare, fondere la propria volontà con quella di Dio.
Per la Chiesa nutrì sempre venerazione e amore filiale, anche quando la mano di questa Madre percuoteva il figlio con provvedimenti e restrizioni. Nonostante il dolore per le limitazioni al suo ministero sacerdotale, san Pio rimase docile e sottomesso.
Padre Pio considerava l’obbedienza «l’unica cosa a Lui [a Dio] più accetta e per me unico mezzo di sperar salute e cantar vittoria» (Ep I, p. 807). Egli infatti non badò a sacrifici né rinunce pur di adempiere quella volontà di Dio manifestatagli dai superiori. Chi ama obbedisce, asseriva il Serafico Padre, e l’amore di san Pio per Gesù fu tale da spingerlo a sottomettersi prontamente e con amore alle obbedienze più crocifiggenti. Omnia vincit amor.
La regina
«I frati non si approprino di nulla, né casa né luogo o alcuna altra cosa [...]. Questa è, fratelli miei carissimi, l’eccellenza dell’altissima povertà, che vi costituisce eredi e re del regno dei cieli, facendovi poveri di cose e ricchi di virtù» (Rb VI).
San Pio fu un perfetto figlio del Serafico e ne ricalcò le orme amando la povertà fino a farla sua “sposa”. Quando, ad esempio, per ragioni di salute, i superiori vollero che nella sua cella fosse sistemato un termosifone, si oppose con tutte le sue forze. «Se mi vedesse il Serafico Padre san Francesco!», protestò. Solo l’obbedienza poté far sì che accettasse l’installazione dell’impianto.
Come leggiamo nella Regola bollata, la povertà evangelica è quella virtù che ci fa rassomigliare maggiormente a Dio, infinitamente ricco e povero allo stesso tempo. Padre Pio ha vissuto questa realtà ed è stato tanto ricco di beni soprannaturali, trasfusi in grazia ai milioni di anime che a lui ricorrevano, quanto povero di beni materiali.
La povertà di san Pio da Pietrelcina non fu soltanto spirituale, ma anche materiale. La povertà francescana ? quella autentica ? è infatti interna ed esterna; è la ricchezza e la gloria dei figli di san Francesco, e san Pio vi fu fedele con concretezza e minuziosità. Un esempio della sua povertà conventuale lo ritroviamo nel cibo. Tra i cibi egli preferiva quelli semplici e comuni, quelli della povera gente, e se qualche volta era costretto a prendere qualcosa di particolare, lo faceva solo per obbedienza.
Il giglio profumato
«Ordino fermamente a tutti i frati di non avere vicinanza o colloqui con donne tali da ingenerare sospetto» (Rb XI).
La purezza e l’angelicità di san Pio potremmo definirle superlative. Stigmate e profumi dalla fragranza verginale erano i segni esterni della sua immacolatezza. Venne a contatto con numerose figlie spirituali, per le quali nutrì sempre un amore soprannaturale, informato dall’amore per Dio. Il suo amore purissimo per le anime non era altro che un’emanazione e una partecipazione dell’amore di Cristo, che predilesse in particolare le anime verginali: «Scorgo in voi, mie carissime figliole, una grande occasione di benedire Dio per le vostre anime, che io amo con affetto grandissimo [...]. Ciò che accade dei vostri piccoli propositi, mie carissime figliuole, credete a me, che vi parlo da padre e fratello affettuosissimo, non è niente di ciò che le vostre fantasie vogliono darvi a persuadere» (Ep III, p. 505).
Vita di comunione fraterna
«E ovunque sono e si troveranno i frati, si mostrino familiari tra loro» (Rb VI).
Padre Pio amava teneramente la vita fraterna e la comunità religiosa, soprattutto quando questa era esemplare ed edificante perché poteva trarre esempi di sprone reciproci. I confratelli erano oggetto di premure delicatissime da parte sua e sapeva animare la comunità con la sua innocente allegria e con i suoi scherzi. Un giorno i frati dovevano fare il vaccino, ma il buon padre Bernardo mostrava un certo timore... Padre Pio, che amava divertirsi, con la complicità dei confratelli, che emisero urla di dolore al momento della puntura, giocò uno scherzetto al pauroso padre Bernardo che sbiancò all’udire di quelle urla dicendo: «Piuccio, io ho paura; sono vecchio; ho fatto la guerra. Non me la faccio la vaccinazione!».
Alla luce di quando detto possiamo concludere che san Pio è stato tra i santi francescani che si sono maggiormente assimilati al loro santo fondatore, raggiungendo la vetta di tale assimilazione con il dono delle stigmate, portate nel suo corpo per cinquant’anni. San Pio da Pietrelcina è allora la testimonianza più eloquente di come ogni francescano possa raggiungere la più alta cristificazione ? e quindi la più alta santità ? osservando perfettamente quella Regola che lo stesso Serafico ha definito “via della perfezione, chiave del Paradiso” (cf 2Cel 208: FF 797). E così sia per ciascuno dei figli del Poverello d’Assisi!
di Gianmaria Pio Manetti