I FIORETTI
La notte e la croce /2
dal Numero 38 del 8 ottobre 2023

A cominciare dal 19 luglio del 1915, padre Pio comincia a parlare del suo stato interiore con un realismo mai usato prima: «La mia anima è posta dal Signore a marcire nel dolore. Il mio stato è amaro, è terribile, è estremamente spaventoso. Tutto è oscuro intorno a me e dentro di me» (Ep. I, p. 612). Comincia una fase difficile, la sua fede viene messa a dura prova: Dio non si fa vedere, Dio tace, siamo di fronte al momento kenotico della desolazione e solitudine come quelle del Cristo sulla Croce: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato» (Mt 27,46; Mc 15,34). Ma padre Pio non si ribella, non dà le spalle alla croce fuggendo, ma le offre per farsi inchiodare con e come Cristo e attendere così alla propria purificazione e alla salvezza di tante anime a lui affidate. Sa che non c’è carezza più amorosa di questa; sa che Dio castiga chi ama (cf Ap 3,19; Gdt 8,27), e che la Croce è il gioiello di cui Egli è più geloso; sa che Dio ha il diritto di metterci alla prova. Diritto che diventa dovere nel momento in cui l’uomo chiude ogni spiraglio alla grazia divina che pertanto deve agire quasi con violenza per trasformare, a forza di colpi di martello e di scalpello, quel cuore di marmo indurito dal e nel peccato. E padre Pio conosce bene questa tecnica del divino Artista, perché più volte Dio ha esercitato il suo “diritto” provandolo nel corpo e nell’anima, non per punirlo per le sue colpe, ma per fare di lui una pietra d’angolo “dell’eterno edificio”: «“Con ripetuti colpi di salutare scalpello e con diligente ripulitura soglio preparare le pietre che dovranno entrare nella composizione dell’eterno edificio”. Queste parole mi va ripetendo Gesù ogni qualvolta mi regala nuove croci. Ora sì, mi sembra che le parole di Nostro Signore, che mi sembravano tanto oscure: “L’amore si conosce nel dolore, e questo lo sentirai nel corpo”, si vanno facendo luce nel mio intelletto» (Ep. I, pp. 329-330).
Questo momento di oscurità, di prova, tragicamente esistenziale, padre Pio lo rivela nelle lettere ai padri spirituali e alle figlie spirituali, non solo per ricevere guida ma anche per fare da guida a quanti come lui vivono sulla propria pelle momenti di difficoltà e di aridità spirituale. Bellissime sono le parole di incoraggiamento rivolte ad Antonietta Vona in una lettera del 21 maggio 1918: «Figliuola mia, non temere le tempeste del rigido inverno, perché a misura che questo sarà più rigido, tanto più la primavera sarà ricca di fiori ed il raccolto sarà più abbondante. Checché dica e faccia il tentatore, Dio va ottenendo in te il suo mirabile fine, quale è di completare la tua piena trasfigurazione in Lui» (Ep. III, p. 858). Verso la fine del 1915 il tormento della notte oscura si fa più intenso, si aggiungono i problemi della vita militare; chiede al Signore di liberarlo dal servizio militare, sostituendo questa con qualsiasi altra prova. Dopo il 3 novembre del 1917 verrà esonerato per motivi di salute, eppure «Dio è avvolto in una nube; ma stranamente Dio non è soltanto oggetto della sua affannosa ricerca, ormai diventa sempre più soggetto operante in lui». 
Ma come è riuscito il nostro Santo a camminare, anzi dovremmo dire a volare, in questa fitta e oscura coltre di nebbia? «È con la fede che padre Pio naviga in questa densa nebbia», una fede che fra immense difficoltà si va purificando e rafforzando attraverso un percorso salvifico-esistenziale che pian piano farà completamente spazio a Dio. «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1), insegna san Paolo. Essa dunque equivale a sicurezza e fiducia assoluta in Dio, a prescindere dall’oscurità in cui è immersa l’anima. Anzi, la fede si misura proprio nell’ora della prova, quando cioè i sostegni umani – della ragione, della prudenza e della salute – e le grandi illusioni, improvvisamente, si dileguano. Se allora la fede non crolla, significa che essa poggia sulla “roccia” delle promesse di Dio e sulla parola e persona di Cristo, e perciò porterà frutti in abbondanza.
Le lettere di padre Pio che vanno dal marzo del 1918 al novembre del 1919 denunciano ancora solitudine, smarrimento, aridità, ma egli «è pienamente consapevole che questa sua straziante situazione è comunque un momento di grazia». Dal buio della notte a poco a poco emerge un flusso di nuove energie, di origine non più naturale, che dà nuovo slancio alla sua intensa vita apostolica: dalla notte alla luce... è la quiete dopo la tempesta. La stessa esperienza è vissuta da Edith Stein che così la descrive: «L’anima può considerare l’aridità e l’oscurità come felici indizi: indizi che Dio le sta al fianco liberandola da se stessa, strappandole di mano l’iniziativa». E ancora: «Davanti a noi sembra spalancarsi un abisso e la vita ci trascina inesorabilmente, poiché ci spinge avanti e non tollera alcun passo indietro; ma mentre crediamo di precipitare, ci sentiamo nelle mani di Dio, che ci sostiene e non ci fa cadere. E in tal vivere non solo diviene chiara la sua esistenza, ma anche ciò che è, e la sua essenza ci diviene visibile nelle sue irradiazioni ultime: la forza che ci sorregge, in cui si annullano tutte le forze umane, che ci regala una vita nuova, quando crediamo di essere morti intimamente, che tempra la nostra volontà, quando minaccia di paralizzarci, questa forza appartiene a un essere onnipotente». 
Nel luglio del 1918, «nel giorno del Corpus Domini, durante un’estasi, padre Pio, spinto proprio da una nuova “forza interna” sentì il desiderio intenso di offrirsi vittima, secondo l’intenzione del papa [Benedetto XV], per la fine della guerra. Padre Pio legge questo nuovo momento di purificazione come la risposta di Dio alla sua offerta vittimale. Padre Pio è consapevole di essere stato attratto da Cristo nella sua opera redentiva e che quindi questo abbandono da parte di Dio non è altro che salire con Gesù sull’altare dell’olocausto». 
Alla scuola di queste “figure della storia universale” impariamo a camminare, vivere e operare alla luce della fede, che deve rischiarare i momenti in cui sul nostro cammino si staglia forte e imperiosa l’ombra della croce. Non c’è ombra, se non c’è luce. Si tratta allora di mettersi dalla parte giusta, di guardare e soffermarsi non tanto sull’ombra in se stessa ma sulla luce che, infrangendosi sulla croce, la genera. Con questa luce, che è la scelta di fede e di tutto ciò che essa comporta e richiede, si troveranno le risposte alle domande che la vita, la sofferenza, la morte ci pongono, perché la fede – è il pensiero luminoso di sant’Agostino –, con volo audace, s’innalza ad altezze che la ragione umana non raggiungerà mai.  

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